mercoledì 26 marzo 2025

Ortica

  • Titolo: Ortica
  • Titolo originale: Nettle
  • Autrice: Bex Hogan
  • Traduttrice: Chiara Beltrami
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9791223200520
  • Casa editrice: Giunti
Trama 


In un regno fatato, una ragazza sfiderà creature potenti per salvare chi ama. Ortica non è una ragazza come le altre; da piccola è stata trovata in un cespuglio di ortiche, alle cui punture sembra immune. La donna che l'ha cresciuta e amata, e che lei chiama nonna, ora è malata. Per salvarla, Ortica si dichiara pronta a fare «qualsiasi cosa», incluso chiedere aiuto al capriccioso re delle fate, Locryn, che si dichiara disposto ad aiutarla se lei riuscirà a portare a termine tre incarichi apparentemente impossibili. È un'impresa che porterà Ortica a incontrare nuovi amici, un vero amore e grandi pericoli, perché là dove regna la magia nulla è come sembra.

Recensione e commento



Può accadere che il genere di libri a cui Ortica appartiene sfoci nel trito e nel prevedibile in modo scontato invece che rassicurante. Non mi sento di dire questo del romanzo in questione, perché per quanto il punto di arrivo della trama fosse abbastanza comprensibile fin dall’inizio, Ortica riesce in molte cose dove molti altri sbagliano.

Prima di tutto il numero di pagine: può sembrare una cosa di poco conto, ma in realtà il ridotto numero di pagine indica che la storia non è stata tirata per le lunge dove non ce n’era bisogno. Infatti, in questa fiaba moderna ci vengono presentati gli elementi della trama in modo stringato senza che vi sia mai il bisogno di dilungarsi in spiegazioni. Questo modo di sintetizzare senza banalizzare viene adoperato anche nelle dinamiche, che si inanellano una nell’altra in modo molto fluido e riescono a raccontare anche lassi di tempo relativamente lunghi in poche righe. Il tutto, messo assieme, riesce nell’intento di non annoiare mai e si ottiene una storia misurata che non fa mai il passo più lungo della gamba: Ortica fa esattamente quello che promette, senza cercare di essere di più, infilando tematiche che rischia di non trattare adeguatamente, come invece succede spesso a libri dello stesso tipo.

La solidità del romanzo è evidente anche nella costruzione dei personaggi, specialmente in quella della protagonista che, una volta tanto, è davvero sveglia e capace. Ortica chiede sì aiuto a un cast di altri personaggi ma mette sempre assieme da sola gli indizi senza che le vengano forniti. E a questo proposito, la quest è una delle più credibili che abbia mai letto, perché è fatta di lunghi tentativi infruttuosi prima che venga trovata una quadra e, come sappiamo sin dai tempi del Mago di Oz, lei aveva già con sé tutto ciò che le serviva.

È interessante vedere come alcuni degli elementi delle fiabe classiche siano presenti ma rivisitati. Ortica, infatti, ha il compito di creare un indumento fatto con la pianta di cui porta il nome, ma a differenza della fiaba dei cigni selvatici, lei non viene ferita dalle ortiche, anzi, è immune alle loro punture. Anche la protagonista stessa, che dapprima cerca una soluzione per salvare una vita che non è la sua, deve trovare un equilibrio per aiutare il prossimo senza sacrificarsi, trovando la propria strada senza annullarsi mai per nessuno. E in effetti, il finale stesso è misurato quanto il resto della storia, perché si tratta di una crescita per certi versi dolorosa, ma mai fatta di rinunce: l’accettazione di sé può essere un processo crudele, ma il risultato regalerà la serenità. 

Ortica è un libro coccola che è arrivato per me in un momento perfetto. Non è una storia grandiosa che racconta di imprese epiche in modo teatrale, ma un racconto molto individuale e personale. È un commovente ritorno a casa e un delicato romanzo sulla crescita e sullo spiegare le proprie ali ed è stata proprio la sua morigeratezza a emozionarmi. Se desiderate immergervi in una storia fatata dal ritmo incalzante che non faccia scivoloni e che vi accompagni in un periodo di sovraccarico mentale, la gentilezza di Ortica potrebbe fare al caso vostro.

mercoledì 19 marzo 2025

Gli Immortali di Meluha

  • Titolo: Gli Immortali di Meluha
  • Titolo originale: The Immortals of Meluha
  • Autore: Amish Tripathi
  • Traduzione: Maxidia Srl
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788834746417
  • Casa editrice: Fanucci
Trama 


1900 a.C. L’area che gli indiani moderni associano erroneamente alla civiltà della valle dell’Indo, per gli abitanti di quell’epoca era la terra di Meluha, un regno quasi perfetto creato molti secoli prima dal signore Ram, uno dei più grandi re mai esistiti. Ma quell’impero, un tempo fiero e rigoglioso, e i suoi governatori suryavanshi furono costretti ad affrontare gravi pericoli poiché il loro fiume principale, il venerato Saraswati, si stava lentamente prosciugando. Non solo: erano costantemente sotto attacco a causa delle continue incursioni armate provenienti dalla terra dei chandravanshi, a est. L’unica speranza risiedeva in un’antica leggenda: “Quando il male raggiunge proporzioni epiche, quando sembra che tutto sia perduto e che i tuoi nemici abbiano trionfato, un eroe emergerà dalle tenebre.” Era il rozzo tibetano Shiva l’eroe di cui parlavano le leggende? Voleva davvero esserlo? Travolto da un destino improvviso, dal senso del dovere e dall’amore, avrebbe guidato la vendetta dei suryavanshi e distrutto il male? Un romanzo avventuroso che si basa sulla leggenda che ruota intorno al mito di Shiva, una lotta senza scrupoli tra bene e male sia nella profondità dell’anima che sul campo di battaglia.

Recensione e commento


In questi anni sto cercando di ampliare i miei orizzonti come lettrice e di non focalizzarmi solo sulla letteratura occidentale. Quando Fanucci editore mi ha proposto la lettura di Gli Immortali di Meluha ho subito colto l’occasione con entusiasmo e curiosità.

Ebbene, le mie aspettative sono state solo parzialmente rispettate perché, sebbene io abbia compreso gli intendi di Amish, non sempre, a mio avviso, è riuscito a portarli a compimento con efficacia. Questo accade principalmente perché non mi è stato ben chiaro il pubblico di riferimento: se il lettorato a cui si rivolge principalmente è quello indiano, allora ci sono troppe spiegazioni di fenomeni culturali a cui quella società è già abituata perché ci vive immersa, come il sistema castale e altre dinamiche religiose che conosce perché le vive quotidianamente; se il lettorato è quello occidentale, allora il tipo di narrazione non è adatto a raggiungere il pubblico di riferimento perché alcune strutture narrative sono un po’ superate, prima fra tutte quella dell’eroe che supera gli ostacoli senza alcuna difficoltà. Raccontare una storia epica con una figura mitologica che è diventata una divinità sicuramente non è semplice, il mio problema come lettrice non è stato tanto nella storia in sé, che ha tutti gli elementi che servono per essere memorabile, quanto nella mancanza di conflitto interno al personaggio. Infatti, la trama è legittimamente incentrata su intrighi politici e smottamenti sociali da risolvere, eppure, Shiva vacilla raramente. Certo, a parole rinnega spesso di essere un messia con la verità in tasca, ma nei fatti non sbaglia un colpo e tutto quello che tocca diventa oro, ha sempre delle idee che salvano la vita a chi in quel momento è in difficoltà anche quando qualcun altro avrebbe potuto arrivarci prima di lui. E in effetti, tenendo conto di tutto questo, immagino che sia proprio lo stile di scrittura il problema principale, più che la storia in sé, non tanto perché manca di immersività, dal momento che ho letto moltissimi libri bellissimi che non hanno uno stile di scrittura immersivo, quanto proprio per la caratterizzazione dei personaggi che è eccessivamente dicotomica per essere credibile.

Un altro problema che ho riscontrato è quello degli anacronismi, che anche in questo caso è ricollegabile a quello della confusione del pubblico di riferimento. Ci sono troppe spiegazioni scientificamente accuratissime che non possono essere credibili in un romanzo storico ambientato nel 1900 a.C., anche nel contesto della letteratura fantasy ci sono dei limiti alla sospensione dell’incredulità. Infatti, si parla di lunghezze d’onda, di ossidazione delle cellule e di tossine, tutti argomenti che, a spanne, sono stati studiati per secoli ma che hanno sicuramente avuto una chiusura almeno tre o quattromila anni dopo. Nei momenti in cui si discuteva dell’esistenza di un gas chiamato ossigeno o della natura dei colori, che esistono perché un oggetto respinge solo determinate lunghezze d’onda, la sospensione dell’incredulità veniva completamente meno perché è il contesto storico a far sì che sia così.

A parte quest criticità, il romanzo in sé è abbastanza scorrevole, si legge in poco tempo anche perché non ci sono particolari fasi di stop in cui ci si potrebbe piantare, anche perché sono appunto gli eventi che si susseguono, tra alleanze, attacchi terroristici e complotti, a essere la parte interessante. Ho molto apprezzato anche le numerose critiche che l’autore muove verso il suo Paese, specialmente per quanto riguarda la misoginia. Infatti, si scaglia apertamente, anche nelle note alla fine, contro chi sostiene che la violenza di genere abbia un’origine riconducibile al periodo di cui lui scrive e spiega che questo sia un falso storico da combattere. Nel romanzo inserisce numerose donne in posizione di potere e/o istruite ai massimi livelli nella propria professione e non esita nemmeno a definire la violenza sessuale come una pratica abominevole che deve essere arginata al più presto. Potrebbe sembrare scontato, ma non lo è, dato che il tasso di stupri in India è allarmante, e si parla solo di quelli denunciati, per cui è encomiabile che un autore che ha raggiunto un pubblico tanto vasto abbia utilizzato il suo potere mediatico per denunciare un fenomeno che nella sua società viene criminalizzato ancor meno che nella nostra.

Concludendo, Gli Immortali di Meluha è un libro un po’ confuso per quanto riguarda i suoi intenti, ma che presenta degli aspetti interessanti che però non sono sufficienti a farne più che un libro di puro intrattenimento. È una piacevole lettura domenicale che magari vi aiuterà a scoprire qualcosa della cultura indiana e della sua Storia

mercoledì 12 marzo 2025

Il Mondo di Roccanon

  • Titolo: Il Mondo di Roccanon
  • Titolo originale: Roccanon’s World
  • Autrice: Ursula K. Le Guin
  • Traduttore: Riccardo Valla
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804762836
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama

Ai confini della Galassia c'è un mondo abitato da tre razze umanoidi: gli Gdemiar, cioè il Popolo d'Argilla, che vivono sottoterra; gli eterei Fiia amanti della luce; e infine i Liuar, dei clan guerrieri che hanno istituito una sorta di società feudale. L'etnologo terrestre Rocannon, in una missione di studio per conto della Lega di Tutti i Mondi, raggiunge quel pianeta, dove anche i ribelli alla Lega hanno una propria base. Questi riescono a distruggere l'astronave dello scienziato e a ucciderne i compagni. Rimasto solo e senza possibilità di ritorno, Rocannon inizia un lungo cammino che lo porterà dove non avrebbe mai immaginato: nel cuore della leggenda. Primo libro del ciclo dell'Ecumene, Il mondo di Rocannon (1966) inserisce elementi tipici della fantascienza in uno scenario da Età del Bronzo eroica, dando vita a un mondo nel quale astronavi ultraluce si affiancano a destrieri del vento e il mantello dell'invisibilità diventa una tuta ipertecnologica. Un universo di meraviglia ispirato alla mitologia nordica, che nasconde una profonda riflessione sull'antropocentrismo e su cosa sia "l'altro".


Recensione e commento

Nonostante Il Mondo di Roccanon sia al momento il libro i Ursula K. Le Guin a essermi piaciuto meno (e questo la dice lunga) costituisce comunque un punto di partenza importante per cominciare a destreggiarsi nella produzione fantascientifica dell’autrice. 

Infatti, per quanto Le Guin abbia rinnegato questa definizione, questo romanzo è considerato il primo del ciclo dell’Ecuneme, ovvero una serie di romanzi che non sono, o almeno non sempre, collegati tra di loro, ma che sono ambientati nello stesso universo, quello della Lega di tutti i Mondi, la quale raccoglie sotto di sé tutti i pianeti in cui esiste l’umanità.

Si tratta del primo e si sente, a mio avviso, soprattutto perché in realtà segue moltissimi dei canoni del fantasy classico, soprattutto nel viaggio dell’eroe che viene trattato nel modo abbastanza tipico dell’ high fantasy. Infatti, per quanto la trama prenda piede su un pianeta sconosciuto, il protagonista, Roccanon appunto, incarna il trope del white saviour, e attorno a lui, eroe rimasto il solo della sua specie su un pianeta straniero, nascono miti e leggende da tramandare per generazioni. In linea con questo concetto, la prosa è epica, altisonante, risuonante e l’attrezzatura fantascientifica tecnologicamente avanzata si mescola a manufatti magici la cui origine si perde nel tempo.

Inoltre, anche elementi tipici del fantamedioevo, sotto certi aspetti, vengono mantenuti: sul pianeta senza nome sono presenti varie specie umanoidi con vari gradi di intelligenza che, sebbene in modo non esplicito, potrebbero fare riferimento a elfi e nani. Tutto ciò rende di fatto Il Mondo di Roccanon un romanzo fatto di commistioni di generi che tocca vari temi, dalla perdita, alla comprensione della diversità, alla redenzione. 

Sono curiosa di leggere nei seguiti, Il Pianeta dell’Esilio e La città delle Illusioni, dove porterà questa storia, nella speranza che anche i due romanzi successivi vengono ripubblicati nella stessa uniform edition che dà finalmente lustro anche nel nostro Paese a un’autrice tanto influente.


mercoledì 5 marzo 2025

Ritrovato e Perduto

  • Titolo: Ritrovato e Perduto
  • Titolo originale: The found and the lost
  • Autrice: Ursula K. Le Guin
  • Traduzione: Teresa Albanese, Pietro Anselmi
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804798514
  • Casa editrice: Mondadori

Trama

Popolazioni con misteriosi poteri magici in grado di plasmare il destino di intere civiltà. Realtà parallele nate nella notte dei tempi. Astronavi in preda al fanatismo religioso. Ritrovato e perduto è un viaggio attraverso mondi straordinari, dove la magia si intreccia con la scienza e l'umanità si rivela nei suoi lati più sorprendenti. Questo volume raccoglie i pluripremiati racconti lunghi (o novellas) di Ursula K. Le Guin, molti dei quali ambientati nei celebri universi da lei creati, quello di Terramare e quello dell'Ecumene. Ogni racconto è una finestra su una realtà nuova e unica: come Libellula, in cui una giovane donna, in nome del cambiamento e della libertà, sfida regole e pregiudizi tentando di entrare nella Grande Casa di Roke, tradizionalmente riservata agli uomini; o Herne, un testo lirico e malinconico che si concentra sulla memoria, le tradizioni e l'identità culturale di un popolo. O ancora Paradisi perduti, una narrazione di viaggio e scoperta, dove i personaggi, diretti verso un pianeta lontano, riflettono su ciò che significa trovare un luogo e chiamarlo casa. Tredici piccole gemme di un'autrice considerata una delle voci narrative più importanti del Novecento, non solo all'interno del genere fantastico e fantascientifico.


Recensione e commento



Non ho amato ogni singolo racconto o romanzo breve di questa raccolta, ma quelli che ho amato mi sono entrati indelebilmente dentro. Partiamo con ordine.

In quest’antologia si spazia tantissimo con i generi di cui Le Guin ha scritto: ci sono racconti storici, altri allegorici, allucinatori e deliranti, altri ancora, invece, sono tratti dalle Leggende di Terramare, mentre altri sono parte del ciclo fantascientifico dell’Ecumene per concludere con storie e romanzi brevi che non sono parte di nessuna saga.

Ciò che più ho preferito della scrittura di Le Guin, come sempre, è la capacità di approfondire e al tempo stesso esprimere i concetti con sintesi sconfinata. Ad esempio, in La Questione di Seggri avrebbe potuto essere molto più dicotomico se fosse stato scritto da un’altra penna, ma Le Guin è riuscita a trattare il ribaltamento dei ruoli di genere senza trasporre gli stereotipi di genere in modo simmetricamente invertito. Anzi, l’autrice riesce a raccontare di un mondo in cui il rapporto tra donne e uomini è di 16:1, per cui gli uomini sono rari, tenuti in gran conto per la riproduzione e per questo hanno tutti gli onori ma non tutti i privilegi. Non hanno libertà, dato che la libertà comporta scelte e responsabilità. Vengono chiusi in dei castelli in cui restano esclusivamente tra di loro fino al raggiungimento della maturità sessuale, ovvero il momento in cui sono venduti ai bordelli nella speranza di fecondare una donna e ricevere più soldi. In questo bellissimo racconto, in cui ci viene mostrata un’ambientazione approfondita con poche pennellate, e tramite il punto di vista individuale dei personaggi assistiamo a ciò che non è che l’inizio di una lotta che porterà alla parità tra i generi, un percorso lungo, faticoso e formato tappe da raggiungere nel corso dei secoli.

Alcuni racconti sono stati crudi e scioccanti, come Liberazione di una Donna, in cui viene affrontato il tema dello schiavismo e dell’ oppressione. Anche qui, i termini il tono sono tutto fuorché retorici: siamo a cavallo di una rivoluzione che, anche in questo caso, ci viene raccontata attraverso un punto di vista individuale. Infatti, tutto il contesto precedente al sovvertimento dello status quo è presentato tramite gli occhi dell’allora inconsapevole protagonista, nata schiava ma che tra le schiave è privilegiata poiché il suo aspetto canonicamente attraente le risparmia il lavoro pesante e la rende animaletto domestico della nobiltà. Grazie al suo flusso di coscienza magistralmente descritto ci rendiamo conto di quanto sia sbagliato quello che vive ogni giorno nella sua vita fatta di abusi che lei non percepisce come tali perché è talmente immersa in un mondo abituato allo schiavismo da non vederci nulla di male. La rivoluzione porta sì la consapevolezza, ma anche il dolore di perdere quel poco di privilegio che si aveva, quel briciolo di sicurezza e agio non tanto materialmente parlando, quanto in termini di vita conosciuta. Smettere di essere schiava e prendersi la propria libertà non è semplice perché non basta aprire le porte della gabbia per poter scappare: sopravvivere consiste nell’accontentarsi di essere oggetti, ma vivere davvero comporta un grado di sforzo difficile da accettare per l’intera fetta di popolazione che è stata assoggettata per generazioni. 

Le Guin non è mai banale nemmeno quanto scrive romanzi brevi su argomenti apparentemente abusati. Esistono, infatti, moltissime altre storie che raccontano di un seme di umanità che si chiude in una navicella spaziale in viaggio per secoli in attesa di approdare su un nuovo pianeta da abitare. Eppure, come sempre, il suo punto di vista mi ha stupita e ha mostrato lati della psiche umana che non avevo preso in considerazione. Paradisi perduti ci racconta di un’umanità che ha imparato a considerare il viaggio stesso lo scopo della sua esistenza, molto più della destinazione. È un romanzo sull’interrogarsi. In questa storia, la navicella spaziale su cui abitano gli umani è diventata il mondo intero, al punto che gli abitanti si domandano quanto abbia senso per loro portare a termine un viaggio che è stato pensato e programmato cinque generazioni prima. L’umanità che abita la Discovery comincia a considerare il viaggio l’essenza stessa dell’esistenza, che ha importanza inquanto tale, a prescindere dalla destinazione. Parla di un’umanità diversissima da quella che è coraggiosamente partita dalla Terra e che ha ormai paura di rischiare. La nuova sfida è reimparare ad avere a che fare con pericoli, incognite e dissensi, oltre al trovare la risposta di quale sia il senso della propria vita: se sia il viaggio un viaggio senza meta o la destinazione per cui tale viaggio è stato intrapreso. Questa è stata decisamente la storia che mi è piaciuta di più di tutta la raccolta e mentre ne scrivo ho già voglia di rileggerla. 

Se avrete la pazienza di aspettare, oppure deciderete di saltare i racconti che non vi convincono, poiché in una raccolta di tredici storie non tutte possono fare al caso vostro, troverete sicuramente qualcosa nelle vostre corde: la penna di Le Guin spazia in registri e generi al punto che Ritrovato e Perduto costituisce un catalogo delle sue abilità e saprà indirizzarvi verso le opere della sua produzione che vanno bene per voi.

mercoledì 12 febbraio 2025

The raven cycle

  • Titolo: The Raven Cycle - La serie
  • Titolo originale: Raven Boys/The Dream Thieves/Blue Lily, Lily Blue/ The Raven King
  • Autrice: Maggie Stiefvater
  • Traduzione di: M.T. Locatelli 
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804771081
  • Casa editrice: Mondadori
Trama


Agli studenti della Aglionby Academy, conosciuti come Ragazzi Corvo, non manca nulla: soldi, bellezza, macchine costose. Gansey, però, è in cerca di qualcosa di più: Owen Glendower, un antico re gallese che, secondo le leggende, giace addormentato sotto una montagna. Nella sua ricerca è affiancato da Adam, che frequenta la scuola con una borsa di studio ed è pieno di risentimento verso l'ambiente privilegiato che lo circonda; da Ronan, un'anima selvaggia divisa tra rabbia e disperazione; e da Noah, tanto attento a cogliere i dettagli quanto taciturno. Blue appartiene a una famiglia di veggenti, ma finora non ha mostrato di avere alcun dono; non crede di poter vedere gli spiriti delle persone destinate a morire, eppure, la notte della vigilia di San Marco, le appare quello di Gansey. Quando lo incontrerà in carne e ossa, ne resterà inspiegabilmente affascinata, e la sua vita finirà per intrecciarsi con il sinistro e strano mondo dei Ragazzi Corvo. Curato da Alessia Merlo e Rossella Pinto, il volume comprende i romanzi The Raven Boys, The Dream Thieves, Blue Lily, Lily Blue, The Raven King e i quattro racconti extra Opal, Opal. A Minor Raven Boys Holiday Drabble, A Very Declan Christmas, 300 Fox Way Holiday Piece.

Recensione e commento

Se avessi letto questa serie al momento della sua uscita, e non una decina di anni dopo, l’avrei sicuramente amata. Infatti, credo fermamente che la mia mancanza di attaccamento emotivo sia dovuta al fatto che sono spaventosamente fuori target.

Ciò non toglie che Raven Boys sia una serie con moltissimi pregi e che rappresenta una ventata d’aria fresca in un panorama di libri young adult che sembrano ormai tutti usciti da una catena di montaggio. Incredibile che per avere qualcosa di nuovo si debba ricorrere a libri scritti un decennio fa, ma il bello di un romanzo è che può aspettare sullo scaffale per sempre e coglierti al momento perfetto. Infatti, superato il primo terzo del libro, la storia procede in modo sorprendente, soprattutto per chi ormai ha fatto il callo alle eroine belle bellissime che non sanno di esserlo e che sono tenute in ostaggio dai propri ormoni. Qui non ci sono ragazzi e ragazze di una bellezza disarmante ma, fondi fiduciari illimitati a parte, degli adolescenti credibili con molti altri interessi che non riguardino l’accoppiarsi. Secondo me proprio qui arriva il primo colpo da maestra dell’autrice, che ci fa credere proprio dall’incipit che ci sarà una storia d’amore molto centrale e invece non sarà così, dato che saranno i personaggi a trainare la lettura, perché non c’è un unico vero protagonista, ma cinque ragazzi e ragazze ugualmente caratterizzati, con i propri problemi, paure e ambizioni. Ed è per questo, probabilmente, che il primo terzo del libro rappresenta uno scoglio: ci sono cinque psicologie da delineare, cinque vite da spiegare per bene, per cui l’azione non inizia per un bel pezzo. Eppure, una volta che si entra davvero negli eventi, si perdona facilmente la lentezza iniziale perché funzionale a costruire i colpi di scena che si susseguiranno.

Neanche a dirlo, la mia preferenza personale va a Blue, una protagonista che ha da sola più personalità di tutte le eroine ya contemporanee. L’ho subito apprezzata per la sua convinzione e i suoi principi incrollabili, oltre che per il suo non essere stereotipata nemmeno a livello estetico. A livello puramente personale, i personaggi maschili mi sono piaciuti un po’ meno, ma a loro credito va detto che sono ragazzini realistici, non palestrati superdotati con l’aspetto di trentenni consumati dalla vita.

Raven Boys è una serie adattissima a chi cerca uno young adult pulito e un po’ vecchio stile. È una serie leggera ma non frivola e scalda il cuore grazie ai suoi personaggi che sembrano uscire dalle pagine talmente sono vividi. Il mio unico rimpianto è di non averla letta prima.

mercoledì 5 febbraio 2025

Lucifero - Angels before Men

  • Titolo: Lucifero - Angels before Man
  • Titolo originale: Angels before Man
  • Autore: Rafael Nicolas
  • Traduttrice: Naomi Toffalori 
  • Lingua originale: inglese 
  • Codice ISBN:
  • Casa editrice: Giunti
Trama


In un paradiso eterno, l'angelo più bello e giovane di tutti, Lucifero, lotta con la vergogna e la timidezza, in cerca della sua vera identità. La compagnia degli altri angeli e la vicinanza del Creatore sono sterili palliativi per la sua anima incerta, in una pace solo momentanea. Fino a quando l'amicizia speciale che instaura col potente arcangelo Michele scombina inesorabilmente l'ordine di ogni cosa: le dolci carezze, la complicità esclusiva e la devozione impura che nutrono l'uno per l'altro scateneranno le ire di un Dio geloso e vendicativo .
Lucifero, punito nella carne e nello spirito, comprende allora una verità fondamentale: se è riuscito a creare qualcosa di nuovo – il peccato – significa che esiste del divino anche in lui. E che il potere può essere sovvertito. Anche a costo della sua condanna.


Recensione e commento

DISCLAIMER: POTREBBE URTARE LA VOSTRA SENSIBILITÀ SE CREDETE IN DIO

Stravolgente completamente le vostre aspettative su questo libro, perché Lucifero - Angles before Man non è il libro che credete. Non è un romantasy e non contiene i trope che pensate, anzi, è un romanzo coraggiosissimo che affronta temi spinosi in cui la storia d’amore è abbastanza marginale e funzionale a raccontare altre cose.

Ma andiamo con ordine. Tutta la prima parte di Lucifero è estremamente esistenzialista, parte dalla sua creazione per mano di Dio che gli realizza un corpo e lo manda poi a vivere tra gli altri angeli nel Paradiso. In questa fase, Lucifero pone domande, si interroga sulla sua natura, su quella degli angeli e del Paradiso stesso, non ricevendo mai risposte e sentendosi dire che si preoccupa eccessivamente perché il Paradiso è perfetto e deve solo goderselo. In effetti, per tutta questa frazione di libro, il Paradiso è praticamente un’utopia, dove non ci sono mai problemi veri, gli angeli lavorano per hobby, poiché l’eternità è lunga da affrontare, e nessuno di loro ha dei difetti caratteriali insopportabili pur avendo delle psicologie chiare e delineate. Solo che quando si scrive di un’utopia, allora il conflitto deve necessariamente rientrare dalla finestra. La finestra è proprio Lucifero, perché il conflitto non è fuori, ma interiore al personaggio, che cerca lo scopo della sua esistenza, che non si accontenta della monotonia e che è sempre alla ricerca di qualcosa. In questa fase noi che leggiamo non proviamo antipatia per Lucifero, bensì tenerezza, perché la sua irrequietezza non è quella del giornalista d’inchiesta che con convinzione va all’assalto, ma quella di un bambino impaurito che cerca conferme e poi di un adolescente che insegue la sua strada e non trova una guida.

Procedendo con la lettura, poi, ci si sente via via più a disagio nel Paradiso, perché, come in tutte le utopie, a un certo punto si sente che qualcosa non va. In Paradiso esiste l’esperienza del dolore. Gli angeli si feriscono, si tagliano, possono subire danni fisici e tuttavia guariscono sempre. Eppure, proprio questo fa sorgere delle domande al protagonista: perché esiste il dolore? Da qui parte una catena di considerazioni, anche inconsce, di Lucifero che attribuisce la maggior parte di questa sofferenza al corpo. Dio poteva lasciare che gli angeli fossero puro spirito, invece li dota di un corpo che è soggetto al dolore e non riesce a darsi una spiegazione. Mentre portavo avanti la lettura mi sono accorta, inoltre, che in questo Paradiso esiste il contrappasso. Infatti, Lucifero è l’angelo più bello di tutti, viene ammirato e apprezzato per la sua bellezza, spesso in modo superficiale, ma lui non riesce a sopportare il suo corpo, non solo non apprezza la sua bellezza, ma fa fatica anche solo a guardarsi allo specchio, così come non apprezza nemmeno l’esperienza dei corpi degli altri. Come il suo caso, ci saranno altri contrappassi, sempre piccoli, quasi nascosti, proprio perché sono quella scheggia di crudeltà che è stata celata nel creato in modo che non ci si possa mai godere pienamente quel che si ha.

La relazione d’amore, sulla quale il marketing ha fatto leva, è funzionale alla crescita personale di Lucifero e a mostrarci un rapporto che non sia disfunzionale. Michele, ci viene detto appena appare in scena, è orgoglioso e questo ci viene raccontato come un difetto. Ma cosa dovrebbe essere l’orgoglio se non consapevolezza del proprio valore? Grazie alla relazione con lui, Lucifero impara ad apprezzare sé stesso e smette di odiarsi. A questo proposito, penso sia doveroso fare una precisazione, perché probabilmente da quanto ho scritto finora non è comprensibile: in tutta questa parte del libro c’è solo pura innocenza, non esiste il sesso e non esiste l’amore romantico come lo intendiamo noi umani. Tutto è estremamente pulito e vissuto in modo tenero, quasi infantile, tanto che per quattrocento pagine non c’è nemmeno una parolaccia.

Eppure, nonostante questo, la loro relazione, innocente e dolce, è comunque un rapporto favorito rispetto a quello che i due hanno con Dio. Qui casca l’asino. Dio è un personaggio che appare in scena, non ci viene raccontata la sua fisicità, ma sappiamo quasi tutto su alla sua psicologia. Dio vuole che gli angeli siano modesti, quindi non va bene che siano consapevoli dei propri pregi, e vuole essere adorato sopra ogni cosa, ne deriva che sia molto contrariato dal fatto che Lucifero e Michele si amino in modo privilegiato. Alla sua prima apparizione, e per molto tempo ancora, Dio sembra il leader di una setta, si fa versare da bere, imboccare il cibo, gli angeli cantano per lui e vuole essere adorato. L’amore che Lucifero, in modo apparentemente spontaneo ma in realtà frutto di una manipolazione emotiva, gli dona va in una sola direzione, in contrapposizione a quello con Michele, che invece viaggia su un doppio binario, orizzontalmente, poiché è un dare e avere. Dio appare manipolatorio, narcisista, a tratti sfuggente. Dà e toglie a suo piacimento, è il genitore che rinfaccia al figlio di averlo messo al mondo, è il mentore che parla con frasi criptiche, è il padrone consapevole che il cane non lo morderà perché gli dà da mangiare. Dio è il manipolatore insicuro che usa il pugno di ferro appena sente che sta perdendo la presa sulla sua vittima eppure ha una reputazione tale che tutti lo definiscono infinitamente buono, anche quando è lui per primo a compiere il male. Perché è lui che lo ha creato.

La sua figura, comunque, si presta a varie stratificazioni di significato delle quali quella letterale non è sicuramente da sottovalutare, perché ci fa domandare perché Dio venga considerato buono quando lui ha creato tutto, incluso il male, e quando non esita a punire in modo agghiaccianti quelli che lo contrariano, come succede numerose volte anche le Vecchio Testamento. Le domande continuano, perché viene mostrata anche l’assurdità di proibire cose che sono possibili proprio perché i mezzi per compierle ci sono stati forniti da lui, tipo il libero arbitrio. Perché avere la possibilità di disobbedire se quando succede arriva il diluvio universale? Quanto sono effettivamente libere le nostre scelte e quelle degli angeli se la dicotomia è lasciare la gabbia aperta ma uscirne equivale a morte certa? In questo senso, sicuramente Dio può rappresentare anche semplicemente i dettami religiosi e i suoi dogmi. Del resto la Bibbia è un testo pieno di contraddizioni scritto nel corso di migliaia di anni da centinaia di uomini diversi, per cui, dato che la volontà di Dio è inconoscibile (ammettendo che esista), allora queste contraddizioni sono della religione, più che sue. Infine, Dio rappresenta chiunque detenga un enorme potere: lui può letteralmente togliere la voce a chi dice cose che non gli piacciono o che lo danneggerebbero, e che se venissero raccontate comunque, la sua reputazione è ferrea al punto che tutti faranno victim blaming. “Lo conosciamo, lui è infinitamente buono, non farebbe mai una cosa del genere! Sicuramente sei tu che lo hai provocato, devi averlo portato all’esasperazione, prima di te non era mai successa una cosa simile, per cui la colpa è per forza tua”. Sostituite il nome“Dio” con quello di qualsiasi uomo potente dalla facciata intonsa accusato di molestie e il gioco è fatto.

E infatti, proprio dopo un terribile evento che Lucifero subisce per mano di Dio, la sua psiche si spacca definitivamente. Lucifero si dissocia e c’è dissonanza tra le sue azioni e il modo in cui lo fanno sentire, tra quello che vuole e che crede di volere. A supporto di questo, anche la prosa comincia a diventare frammentata, la sintassi si distrugge via via e il flusso di coscienza dice tutto e il contrario di tutto. Alla fine, Lucifero non inventa niente: non inventa i peccati, quelli esistevano già, il suo merito è quello di renderli evidenti e dare un nome a ciascuno di loro, mostrando il fondo di crudeltà che è sempre esistito, perché alla fine per chi è un Paradiso, se non per Dio, affinché sia lui a fare ciò che vuole?

Lucifero è il libro che non vi aspettate, è coraggioso e fuori dagli schemi. Nell’approcciarvi a questa lettura stravolgete completamente le vostre aspettative e date un’occhiata ai trigger warning. È sicuramente una lettura divisiva, ma mai gratuitamente blasfema. Gli sarebbe bastato veramente poco per essere sfacciato e sopra le righe, ma Nicolas Rafael ha preferito un approccio morigerato che degenera solo alla fine, quando la vittima mette in atto un circolo vizioso da cui non riesce a uscire per dare senso al suo trauma. 

mercoledì 29 gennaio 2025

Orfeo - Musica e Tenebre

  • Titolo: Orfeo - Musica e Tenebre
  • Autore: Luca Tarenzi
  • Lingua originale: italiano
  • Codice ISBN: 978880909930520
  • Casa editrice: Giuntici
Trama


Orfeo compie la sua discesa nelle tenebre alla ricerca di Euridice, superando tutti gli ostacoli e arrivando fino al Signore dei Morti, che gli concede di riportarla sulla Terra a patto che Orfeo stesso non si volti mai a guardarla finché non saranno tornati nel mondo dei vivi. Ma durante la risalita (che si rivela una battaglia continua) il giovane arriva a comprendere la vita innaturale a cui costringerà la sua amata nel farla tornare tra i vivi. Decide dunque di lasciarla andare, pur senza abbandonare l'ossessione di ricongiungersi a lei in qualche modo. Nel suo viaggio negli Inferi, inoltre, scopre che gli dei non sono altro che anime umane mai passate oltre, e divenute talmente potenti da proclamarsi padroni del destino degli uomini. Contro questa tirannia, che ora gli sembra inaccettabile, comincia a progettare la ribellione definitiva. Il secondo libro di una trilogia fantasy potentissima e coinvolgente.

Recensione e commento

 
Il retelling mitologico non è mai semplice da scrivere, perché il rischio è sempre quello di banalizzare un’opera universale scritta da un genio letterario. Per Tarenzi non era semplice mantenere alto il livello della storia, in questo secondo capitolo della trilogia dedicata a Orfeo, eppure c’è riuscito.

In Orfeo - Musica e Tenebre seguiamo il protagonista e i suoi compagni nei regni terreni per quasi metà libro, li vediamo interagire con popoli diversi, districarsi in intrighi di corte e ciò che è più avvincente è proprio l’inserimento della vicenda di Orfeo in un contesto mitologico più vasto, dove anche altre storie leggendarie, come quella di Giasone e Medea e quella di Ercole, si dipanano fornendo dei pretesti credibili e di più ampio respiro per cui gli eventi accadono.

E in questo clima di complessità, nel senso buono del termine, che le psicologie dei secondari vengono approfondite, mostrandoci dei lati nascosti di figure che spesso percepiamo come macchiettistiche. Medea non è “la donna che ha ucciso i suoi figli”, non ancora e non solo quello: è una persona con grande forza d’animo, sicuramente machiavellica ma armata solo per la propria libertà.

“Quel gelido pezzo di marmo che è mio padre può tenersi tutti i suoi cuscini assieme a qualunque altra cosa mi abbia dato perché era suo dovere darmela. Ringrazio gli dèi per l’istruzione che ho ricevuto, perché è solo grazie a quella se posso lottare, ma non ringrazio per nient’altro al mondo.”

Così come Ercole, personaggio che viene spesso percepito con la superficialità riservata a chi  viene giudicato solo per il proprio aspetto, si dimostra non un energumeno senza cervello, ma un uomo pieno di rimpianti, diventato saggio grazie a tutto ciò che ha passato e che mostra il rovescio della medaglia, ovvero tutto ciò che di negativo le sue imprese gli hanno lasciato. Anche Persefone, spesso associata allo stereotipo della vittima, non è solo quello, e riesce a trovare un modo per essere attiva anche nella bruttezza del regno di Ade, trovando, per citare Calvino, ciò che Inferno non è.

Poi, finalmente, arriva la parte dell’oltretomba. Era facile che questa parte assomigliasse a una copia dei viaggi ultraterreni di Dante (ma anche in questo caso, indubbiamente Tarenzi sapeva già il fatto suo per ovvi motivi), invece è stato fatto un ottimo lavoro. Ci sono gli elementi della catabasi, come l’agnizione (e non solo una) ma il racconto è ancora più incalzante rispetto alla prima metà del libro, non un attimo di respiro, tantissimi elementi da mettere assieme e altrettanti eventi a cui stare dietro. 

La parte nel regno dei morti è la più emotiva, Orfeo incontra molte persone che hanno perso la vita mentre lui compiva il suo percorso e, finalmente, arrivano anche le domande sul suo scopo. Perché la morte di Euridice è stata ingiusta, certo, ma c’è stata, e comincia a domandarsi se sia giunto il momento di accettarla e andare avanti, perché nel mito originale “avanti” è l’unica direzione possibile. Voltandosi indietro si perde tutto. 

“Un’ipotesi, niente di più, ma così assurda che prima di quel momento il terreno che avrebbe potuto farla spuntare nemmeno esisteva in me. L’inconcepibile idea di rinunciare e andare avanti con la mia vita”.

Dopo un finale con cliffhanger non rimane che aspettare il capitolo conclusivo della trilogia. Se per Orfeo - Musica e Tenebre c’era scetticismo dovuto alla possibilità che la storia venisse stiracchiata, ora questi dubbi sono dissipati, perché l’incastonarsi della trama in un contesto più ampio e l’attualizzazione del messaggio di fondo sono abbastanza forti da giustificare una serie di libri. Non ci resta che aspettare. 

 

Ortica

Titolo: Ortica Titolo originale: Nettle Autrice: Bex Hogan Traduttrice: Chiara Beltrami Lingua originale: inglese Codice ISBN: 9791223200520...