mercoledì 30 novembre 2022

La Regina del Nord

Ciao, bellezze! La recensione di oggi riguarda un libro appartenente a un genere letterario che amo, ma che non leggo spesso. Ringrazio tantissimo Valeria per aver organizzato l’evento e Sonzogno per averci omaggiate del libro. Cominciamo!


  • Titolo: La Regina del Nord
  • Titolo originale: Margrete I
  • Autrice: Anne Lise Marstrand-Jørgensen
  • Traduttrice: Clara Victoria
  • Lingua originale: danese
  • Codice ISBN: 978-8845407024
  • Casa editrice: Sonzogno
Trama

Danimarca, 1363. Margherita ha appena dieci anni quando viene data in sposa a re Håkon VI di Norvegia. Accompagnata e accudita da Kerstin, la sua enigmatica ancella, deve lasciarsi alle spalle la sua bellissima terra natale, l’amato padre, il re Valdemaro IV, e il dolore per la morte improvvisa del fratello Cristoforo. Un unico compito la attende: dare un erede al trono, così da consolidare l’alleanza tra i due regni. Ma quando, nel giro di pochi anni, perde sia il padre sia il marito, Margherita si ritrova da sola a difendere i diritti del suo piccolo Oluf, legittimo erede del grande Nord. Muovendosi in un mondo dove il potere è sempre stato prerogativa degli uomini, la regina lotta contro l’ostilità della corte, le dicerie, le sobillazioni e le continue minacce di guerra per affermare il suo disegno: i regni di Scandinavia devono unirsi sotto un unico sovrano, e quel sovrano dev’essere lei. In questo bestseller, che ha già ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, la scrittrice e poetessa Anne Lise Marstrand-Jørgensen ci restituisce il ritratto di una donna risoluta e vulnerabile insieme, divisa tra le proprie ambizioni e i giochi di potere, combattuta tra la fede e le antiche leggende pagane, tra il dovere della ragione e il misterioso richiamo della natura. Dotata di acume e tenacia, Margherita sfiderà le convenzioni e saprà piegare i pregiudizi a proprio favore, diventando una delle figure più visionarie e lungimiranti della sua epoca.

Recensione e commento

Immagino che anche voi abbiate quel genere letterario che amate, ma che per qualche motivo non leggete spesso. Nel mio caso è il romanzo storico. Incredibilmente, me ne sono innamorata a scuola, grazie all’immensa passione per I Promessi Sposi che mi è stata trasmessa da mia madre e dalla mia insegnante, quindi per questa lettura non posso che ringraziare Sonzogno per la copia omaggio di La Regina del Nord e Valeria per aver organizzato l’evento. 

L’autrice

Ma venendo all’opera, la prima cosa che devo dirvi è che la Storia dei Paesi del nord non è una materia in cui sono particolarmente ferrata e per quanto riguarda la vita della regina Margherita di Norvegia, Svezia e Danimarca ho trovato solo i fatti storici nudi e crudi, su internet, poiché i libri che la riguardano sono quasi tutti in lingue nordiche che non conosco e poco fruibili in Italia. Faccio questo disclaimer perché è importante capire che non è stato sempre facile per me distinguere tra le parti storicamente documentate e quelle che l’autrice ha inventato di sana pianta per riempire dei buchi. In effetti, alcune volte ho dovuto confrontarmi con Valeria, che invece era più ferrata e sono saltate fuori delle cose interessanti.

Tanto per cominciare, tutto il contesto storico della vicenda non viene spiattellato attraverso lunghe digressioni e descrizioni noiose di abitudini del tempo, ma viene in qualche modo inserito in dialoghi e pensieri della protagonista senza che ci sia bisogno di una spiegazione palese, il che per me è un pregio a prescindere dal genere letterario. Al di là di questo, poi, ho percepito la storicità anche attraverso la psicologia dei personaggi: mi capita sempre più spesso di leggere romanzi ambientati nel passato in cui le minoranze hanno un po’ troppa consapevolezza della propria condizione di svantaggio, tanto da avere a riguardo la stessa visione che ne abbiamo oggi, dopo aver districato molti nodi. In La Regina del Nord non c’è questo aspetto, Margherita è in tutto e per tutto una donna del suo tempo, consapevole del suo ruolo, che non mette mai in dubbio, nonostante la sua ambizione, la sua condizione di privilegio sociale e di censo le consentano di forzare un po’ le regole, di tanto in tanto. 

La copertina originale

Se devo proprio trovare l’aspetto che mi ha fatta entrare di più nell’atmosfera medievale, però, non posso che parlare di come la religione e il paganesimo rientrino nell’immaginario comune, fino a essere considerati entrambi dei dati di fatto. La scientificità di alcune superstizioni viene data per autentica, mai messa in discussione (ma come sarebbe stato possibile? Mancavano ancora più di due secoli alla nascita di Galieo) e la Chiesa spadroneggiava anche quando si trattava di potere temporale, riuscendo spesso a guidare le decisioni politiche grazie alla ferma convinzione che per mezzo del clero parlasse Dio. Il cattolicesimo, in effetti, viene criticato solo a posteriori da chi legge e ha gli strumenti culturali per poterlo fare, perché all’immaginario di una o più sante si lega indissolubilmente la realtà storica, che le mostra, invece, come delle persone comuni o addirittura opinabili, frutto di strumentalizzazioni o santificate grazie al prestigio temporale di cui godevano in vita. Il costante dualismo tra paganesimo e religione cristiana, purtroppo, va un po’ perdendosi man mano che si progredisce nella lettura del libro; anche se in questo senso l’incipit e la chiusura sono simmetrici, nel mezzo ci sono varie parti in cui il paganesimo viene completamente dimenticato, per risaltare fuori quando serve per mandare avanti la trama. 

Sebbene il libro sia diviso internamente in cinque parti, la mia percezione è stata quella di una macrodivisione a metà, la prima parte del libro ha riguardato le vicende personali di Margherita, la sua infanzia, la sua crescita, le pressioni subite a corte, le violenze sopportate in nome di un futuro migliore, mentre la seconda parte, che presenta anche un cambiamento nella sua psicologia con il passaggio dall’infanzia all’età adulta, è incentrata maggiormente sulla politica e le ambizioni di Margherita. Questa seconda parte è visibilmente più lenta della prima, meno incalzante e in qualche modo Storia nuda e cruda, con qualche sprazzo di vita personale qua e là che porterà solo a ulteriori sviluppi politici e con un finale che potrebbe non convincere del tutto.

Nonostante qualche piccolo difetto, La Regina del Nord è stata una bellissima lettura, che mi ha consentito di conoscere una figura storica di cui non avevo mai sentito parlare ed era il romanzo storico di cui sentivo il bisogno. È un libro da sorseggiare con calma, perfetto per la lentezza dell’autunno e dell’inverno e che non potrete farvi scappare se amate questo genere. 

martedì 29 novembre 2022

Truel1f3

Ciao, bella gente, siamo alla fine del viaggio! Ringrazio ancora una volta Patrizia per l’organizzazione dell’evento e la Mondadori per averci permesso di organizzarlo fornendoci i libri. E ora, cominciamo


  • Titolo: Truel1fe
  • Titolo originale: Truel1fe
  • Autore: Jay Kristoff
  • Traduttore: Gabriele Giorgi
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN:
Trama


Eve e Lemon hanno scoperto la verità su se stesse e l'una sull'altra. Sono cresciute legate da una solida amicizia, ma le recenti rivelazioni hanno messo in crisi il loro rapporto e le hanno allontanate (forse) per sempre. Ora però non c'è tempo per i rimpianti: l'intero Yousay è sull'orlo di una nuova guerra nucleare tra lo sciame della BioMaas Incorporated e l'esercito della Daedalus Technologies. Una situazione in cui nuove e vecchie lealtà saranno messe a dura prova, si formeranno improbabili alleanze e prenderanno corpo inaspettati tradimenti.

E non è tutto, perché i sembianti sono determinati a impossessarsi di Libertas, il virus capace di liberare gli androidi dall'obbedienza alle Tre Leggi della robotica. E per farlo c'è bisogno sia di Ana Monrova, la ragazza rapita e conservata in animazione sospesa, sia della sua sembiante, Eve.

Solo alla fine si scoprirà chi sono i veri eroi... e potrebbe essere davvero una sorpresa.


Recensione e commento 


Proprio non ci siamo. Sebbene questa non sia l’ultima fatica di Jay Kristoff in ordine cronologico, non posso che dire che a mio avviso sia il suo lavoro più immaturo. Nel libro conclusivo, in particolare, non ho trovato nulla di salvabile.


Tanto per cominciare ho fatto una fatica enorme per concluderlo, perché mi è sembrato che la narrazione non incalzasse mai e che di fatto non succedesse niente, infatti ho dovuto alternare la lettura con quella di altri romanzi, perché altrimenti non l’avrei finito. Se il primo libro era carino ma niente di che, un mapazzone ti roba trita e ritrita nella fantascienza, il secondo libro soffriva vistosamente della sindrome del libro di mezzo, questo terzo libro, tra cambi repentini di personalità e avventure prive di senso, non ci porta proprio da nessuna parte. E in questo caso, riconfermo quello che ho sempre pensato di Kristoff, e che lui stesso ammette: scrive sempre sull’onda dell’ispirazione contingente. La cosa, alle volte, lo porta a contraddirsi nel giro di una manciata di pagine, questa volta, invece, mostra tutto il vuoto derivato dalla pianificazione di una trama organica a monte.


Se la caratterizzazione dei personaggi partiva in un modo in Lifel1k3, per poi prendere una sterzata francamente senza senso proprio sul finale, qui io ho fatto fatica a riconoscere gli stessi personaggi e non perché ci sia stato un arco di formazione particolarmente efficace, ma esattamente il contrario: sento di non conoscerli e di non essere cresciuta assieme a loro. I loro cambiamenti di personalità sono per me incomprensibili proprio perché non sono stata portata a capirli. Nella seconda parte del romanzo, in particolare, quella in cui bisogna evitare una guerra contro gli ex Stati Uniti, si tocca il picco di inverosimiglianza, tanto che la mia sospensione dell’incredulità è totalmente venuta meno, perché in questo frangente ci sono combattimenti a mani nude contro robot ed esseri geneticamente modificati, otre al fatto che il livello tecnologico degli armamenti del nemico è verticalmente superiore rispetto a quello dei nostri fiacchi protagonisti. 

Eppure, all’autore non sono mancati eventuali spunti interessanti per creare qualcosa di ben fatto, ma a mio avviso ha scelto di concentrarsi sugli elementi sbagliati, come i viaggi dei personaggi che sono privi di avvenimenti fondamentali, ma aggiungono numero di pagine in cui, in sostanza, non succede niente. Anche la storia di Lemon poteva essere se non innovativa, quantomeno interessante, invece sfortunatamente resta a un livello tropo superficiale, così come la stessa Eve abbia dei dilemmi interiori poco approfonditi e sempre un po’ buttati via. Le stesse emozioni non sono mai mostrate, dato che nel corso della trilogia vediamo iniziare e finire una guerra senza che i personaggi mostrino mai un briciolo di paura e si conclude tutto a tarallucci e vino.

Ed è forse proprio il finale che mi ha delusa di più, perché nonostante Kristoff si riempia la bocca di quanto a lui non piaccia il lieto fine, la conclusione di Truel1f3 è degna di Frozen, ma più raffazzonata.

La trilogia cominciata con Lifel1k3 non mancava degli spunti per essere interessante, ma si è via via persa per strada, purtroppo. Sconsiglio vivamente questa serie a chi ama la fantascienza in modo particolare, perché non troverà nulla di salvabile e si imbatterà in tantissimi errori e copiature, mentre potrebbe fare al caso vostro se non leggete tanto di questo genere perché almeno il primo libro intrattiene bene. 

mercoledì 23 novembre 2022

Brave Ragazze, Cattivo Sangue

 Ciao, bellissima gente, siamo su questi schermi per parlare di questa nuova, attesissima, uscita che ho potuto leggere grazie a Ylenia e alla casa editrice che ci ha fornito il libro in omaggio. Senza indugi, cominciamo!

  • Titolo: Brave Ragazze, Cattivo Sangue
  • Titolo originale: Good Girl, Bad Blood
  • Autrice: holly Jackson
  • Traduttore: Paolo Maria Bonora
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8817164610
  • Casa editrice: Rizzoli

Trama

Pippa Fitz-Amobi è reduce dalle avventure che l’hanno portata alla risoluzione del cold case della morte di Andie Bell. L’indagine è ora raccontata per filo e per segno in un podcast, che sviscera tutti i particolari dell’indagine. Pippa, segnata dagli eventi dell’anno precedente, afferma a gran voce che dopo la scorsa esperienza ha chiuso con il voler fare la detective. Ma improvvisamente il fratello del suo amico Connor sparisce. La polizia non vuole fare nulla a riguardo, e Pippa si ritrova immersa in una nuova indagine, che mai avrebbe immaginato potesse portare a galla segreti tanto loschi. E questa volta, tutti sono in ascolto. Ma riuscirà a trovarlo prima che sia troppo tardi?

Recensione e commento

Ho una confessione da fare: avevo delle aspettative molto basse per Brave Ragazze Cattivo Sangue, paradossalmente proprio in virtù del fatto che Come uccidono le brave Ragazze mi era piaciuto in modo così totalizzante che pensavo che la pubblicazione di un seguito fosse una trovata di marketing che sarebbe sfociata nel trash.

Potete recuperare il primo libro anche tramite Audible
Mi sbagliavo, e di grosso. Perché Brave Ragazze, Cattivo Sangue non cade nell’errore di molti seguiti del genere, che disfano quello che è stato dato per assodato nel libro precedente: il caso giudiziario con cui si confronta Pip è totalmente nuovo, quindi i dettagli che sono stati studiati per il primo libro non rischiano di contraddirsi con quelli messi a punto per questo. Insomma, l’intreccio funziona bene, la storia è scorrevolissima e il ritmo è ben cadenzato, eppure il romanzo non scorre soltanto grazie alla prosa: il modo in cui determinate informazioni vengono offerte a chi legge, attraverso pagine di diario, trascrizioni di file audio, commenti sui social network, foto delle scene del crimine che permettono di saltare descrizioni e digressione, fornendo invece i contenuti in modo diretto, senza che la voce narrante debba mediare, è un metodo efficacissimo per non spezzare la narrazione. E proprio in virtù di ciò, Holly Jackson è riuscita a rendere piacevole una delle esperienze che come lettrice in genere mi lasciano più perplessa, ovvero il riassunto del libro precedente per chi lo ha letto tanto tempo prima di cominciare il nuovo. Il momento in cui, a pagina 16, l’autrice ha inserito il riassunto una tantum e in modo totalmente geniale è stato esattamente quello in cui ho smesso di essere scettica verso questo romanzo (insomma, il mio scetticismo è durato parecchio…), perché per me questo era l’onore della prova eHolly Jackson ha dimostrato di saper tenere la penna in mano. Se avessi avuto un cappello mentre leggevo, me lo sarei di sicuro levata. 

Non vedo l’ora di leggere As good as dead
Insomma, bella la prosa, bella la trama, belli gli espedienti, ma ciò che ho preferito è la psicologia dei personaggi. Pip mi aveva convinto già dal primo libro, un’adolescente con la testa sulle spalle e una bella famiglia una volta tanto, tutto verosimile, costellato di alti e bassi, ma mai mai mai disfunzionale. Qui c’è un’ulteriore evoluzione del suo personaggio, perché da scolara integerrima, Pip cambia le sue priorità e si rende conto che ciò che l’anno precedente le sembrava vitale, ora ha perso d’importanza. Pip è una brava persona non stereotipata, non è priva di tridimensionalità a cui si pensa quando si immagina l’archetipo della persona perbene. No, Pip sbaglia, a volte, ma ci prova, tiene molto a parlare dei casi giudiziari in modo lucido, oggettivo e non sensazionalistico, ha una moralità incrollabile e per la giustizia va avanti come un caterpillar. La sua relazione con Ravi è una delle più equilibrate che mi sia mai capitato di leggere anche se, giustamente, resta molto sullo sfondo, dato che si tratta di un thriller e non di un romance. 

Per quanto riguarda il finale, è leggermente sottotono rispetto a quello di Come uccidono le brave Ragazze, ma oggettivamente parlando era impossibile (o quantomeno molto improbabile) riuscire a scrivere un finale con un colpo di scena nel colpo di scena. Anche il tipo di chiusura è diversa, perché il primo era chiuso e Come uccidono le brave Ragazze avrebbe potuto essere anche un autoconclusivo, mentre questo offre sicuramente un appiglio per il terzo volume, pur avendo risolto il mistero. 

In sostanza, non posso che consigliarvi la lettura di questa serie, che mi sta dimostrando pagina dopo pagina di essere valida e imperdibile, non vedo l’ora che Rizzoli porti in Italia l’ultima avventura di Pip.


giovedì 10 novembre 2022

Dev1at3

 Ciao, bella gente! Oggi siamo qui per parlare del secondo libro della trilogia di Kristoff, sapete bene che qui non facciamo sconti a nessuno. Ringrazio la mia amica Patrizia per aver organizzato l’evento e Mondadori per averci fornito i libro in anteprima. Si comincia!


  • Titolo: Dev1at3
  • Titolo originale: Dev1at3
  • Autore: Jay Kristoff
  • Traduttore: Gabriele Giorgi
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN:
  • Casa editrice: Mondadori
Trama

È l'alba della battaglia decisiva tra le rovine della città di Babel. Eve e Lemon sono state amiche per la pelle, ma in questa lotta si trovano l'una contro l'altra. Eve è divisa tra i ricordi della propria vita umana, che ancora conserva, e la scoperta di essere un'androide. Insieme alle sue "sorelle" e ai suoi "fratelli", ora deve trovare la vera Ana Monrova, il cui DNA è fondamentale per creare un esercito di sembianti. Nel frattempo per Lemon è giunto il tempo di fare i conti con un potere che ha troppo a lungo rifiutato, e che qualcuno vuole usare come arma. La svolta per lei è l'incontro con un ragazzo, Grimm, che le propone di portarla fuori da quella terra devastata e piena di orrori, verso un'enclave abitata da altri devianti come lei. Lì, finalmente Lemon scoprirà un senso di appartenenza, e forse anche l'amore. Ma non tutto è come appare: tra amici e nemici, buoni e cattivi che si scambiano continuamente di ruolo, anche Lemon si unirà alla ricerca di Ana Monrova, e dovrà trovarla prima che ci riesca la sua vecchia amica.

Recensione e commento

Dev1at3 sarà il romanzo che da oggi in poi prenderò ad esempio quando dovrò spiegare a qualcuno cosa si intende con “sindrome del libro di mezzo”.

Qui in particolare ho trovato che si ripetessero i soliti difetti della scrittura di Kristoff, che un po’ mancavano nel primo libro. In Dev1at3, un’altra volta come in altri libri, si vede che l’autore scrive moltissimo sull’onda del suo umore momentaneo, perché al mattino scrive una scena che contraddice quella che ha scritto la sera prima. Sotto certi aspetti questo intero libro contraddice il precedente, tanto per cominciare perché cambia la protagonista che qui è Lemon (nella mia testa “Troppo Frizzante”. Se non avete colto la citazione, vergogna!) e ho trovato che diversi personaggi abbiano avuto un cambio repentino di psicologia rispetto al primo volume. Soprattutto Eve, che alla fine del primo volume aveva preso delle decisioni che ho trovato incomprensibili, ma potevo giustificarla con le forti emozioni del momento, però in Dev1at3 compie delle scelte che abbandonano completamente la psicologia della Eve che era stata costruita nel primo libro: abbandona totalmente i principi che la tenevano ferma fino a quel momento per buttarsi in una missione che ha dell’infantile. Non lo so, mi è sembrato che in questo secondo volume Kristoff non sapesse bene dove andare a parare e abbia stravolto tutto per mandare avanti la narrazione, disfando quello che era stato detto fino a quel momento. 

La mancanza di un filone narrativo unico, inoltre, non aiuta chi legge a capire dove stiamo andando con la storia: manca un antagonista, ogni personaggio è preso dalle proprie battaglie personali e non si capisce bene quale sia il nucleo della storia, anche per quanto riguarda il prossimo capitolo della trilogia. 

Io ogni volta che Kristoff fa una battuta

È interessante il fatto che i punti di vista alternati ci consentano di approfondire la conoscenza con alcuni personaggi secondari, sebbene alcuni di essi siano un po’ noiosi o si riducano a pene amorose. Quest’alternanza di punti di vista è un pregio in alcuni libri, ma a mio parere non in questo, perché sostanzialmente aumenta tantissimo la mole di pagine per quelli che sono di fatto pochissimi avvenimenti e manca del ritmo serrato di Lifel1k3. Eppure, a Kristoff non sono mancate le occasioni per introdotte nuovi temi, ad esempio con Cricket che non vuole uccidere altre macchine e per questo si tormenta, ma il suo dilemma morale non viene adeguatamente portato avanti, per preferire, invece, l’anacronismo della religione cristiana, che viene ancora distorta in un futuro post apocalittico, in cui ci sarebbe ben altro di cui preoccuparsi che della Bibbia e dei suoi precetti. La religione è spesso un tema centrale nei libri di Jay 
Kristoff che mi dice
“Tu ti sbrighi per le cose mie, io mi
sbrago per le cose tue”
Kristoff, lo è stata in Nevernight e L’Impero del Vampiro presentava una forte critica al cristianesimo, ma nessuno di questi libri è mai riuscito a convincermi della fede dei protagonisti e delle protagoniste. Non sono riuscita a credere alla fede di Mia nella dea della morte né in quella di Gabriel in Dio, pur essendo lo stesso dio che conosco io, essendo nata e cresciuta in Italia. Ma se in questi due casi si è trattato probabilmente di un problema di comunicazione tra la voce narrante e un’atea incallita come me, qui ho percepito tutto il discorso sulla religione come semplicemente inverosimile e grottesco. Impossibile nel tipo di mondo che Kristoff ha creato.

In sostanza, spero che il terzo e ultimo libro presenti delle sorprese, perché in questo non ce ne sono state, nemmeno il colpo di scena è stato effettivamente tale, dal momento che ci è stato anticipato sin dalle prime pagine. Staremo a vedere. Dev1at3 per me resta un libro di mezzo con tutti i difetti del caso.

mercoledì 9 novembre 2022

The Atlas Six

  • Titolo: The Atlas Six
  • Titolo originale: The Atlas Six
  • Autrice: Olivie Blake
  • Traduttrice: Roberta Verde
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8820073190
  • Casa editrice: Sterling & Kupfer
Trama

Segreti. Tradimenti. Potere. Benvenuti nella Società Alessandrina. «Cos'altro se non la morte potrebbe conferire una tale vita alla conoscenza che proteggiamo?» Ogni dieci anni, ai sei maghi più talentuosi in circolazione viene offerta la possibilità di conquistarsi un posto nella Società Alessandrina, l'istituzione più segreta ed esclusiva del mondo, che garantirà loro potere e prestigio oltre ogni limite. In occasione della nuova iniziazione, il misterioso Atlas Blakely sceglie: Libby Rhodes e Nico de Varona, due fisicisti che controllano gli elementi e sono in competizione da tempo immemore; Reina Mori, una naturalista che comprende il linguaggio della vita stessa; Parisa Kamali, una telepatica per cui la mente non conosce segreti; Callum Nova, un empatico in grado di far fare agli altri qualunque cosa; e Tristan Caine, capace di smascherare qualsiasi illusione. Ciascuno dei prescelti dovrà dimostrare di meritare l'accesso alla Società e lottare con tutte le sue forze per ottenerlo, sebbene ciò significhi stringere alleanze con i nemici giurati e tradire gli amici più fidati. Perché, anche se i candidati straordinari sono sei, i posti nella Società sono solo cinque. E nessuno vuole essere eliminato.

Recensione e commento

Ho fatto bene ad aspettare che scemasse un po’ il fermento per questo romanzo, perché sono sicura che se lo avessi letto appena uscito ne sarei rimasta molto delusa.

Ma ho moltissimo da contestualizzare, tantissimo da dire su questo libro che non è brutto tout court e ha alcuni difetti che vanno inquadrati nella giusta situazione.

Dark academia o no?

Tanto per cominciare, si è fatto gran parlare di dark academia, ma lo è effettivamente? Ho fatto delle ricerche e sono arrivata alla conclusione che secondo alcuni punti di vista lo è, secondo altri no. Il dark academia non è un genere, è un’estetica che coinvolge non solo una palette di colori, ma soprattutto un immaginario che riguarda la cultura e lo studio, soprattutto letterario e dei classici Latini e Greci e ricalca il modello di college inglese. Di The Atlas Six possiamo dire che ha sicuramente le atmosfere giuste, ma manca della centralità della letteratura. C’è solo un personaggio che se ne interessa in maniera particolare e, sfortunatamente, resta sempre sullo sfondo. Inoltre, i protagonisti sono tutti adulti, che hanno quindi concluso tutti i gradi di istruzione e, sebbene si trovino a Londra e ci sia una biblioteca, forse definirlo “college” è un po’ forzato, date sia l’età dei personaggi, che il poco spazio che viene dedicato all’ambientazione, biblioteca esclusa. 

Troppa fisica?

I protagonisti 
Leggendo le varie recensioni su questo libro, ho notato che è stato molto divisivo: c’è chi lo ha amato alla follia e chi lo ha detestato. Io mi trovo nel mezzo, perché non l’ho odiato, ma nemmeno l’ho trovato qualcosa di sconvolgente. In particolare, mi sono saltate all’occhio le recensioni che affermavano che questo romanzo contenesse molta fisica, cosa che per alcune persone era un pregio, per altre un difetto. La mia sensazione a riguardo è che le parti scientifiche siano state scritte da una persona appassionata, ma non esperta, qualcuno che, come me, può divertirsi a guardare i video divulgativi su YouTube e magari ci capisce qualcosa, ma che non è assolutamente addetta ai lavori. Questo aspetto è sempre un difetto? Dipende. Non considero l’inaccuratezza scientifica un difetto quando si trova in un libro in cui la scienza non è centrale. In Cinder, ad esempio, non lo era, e ci sono passata sopra quando “vaccino”, “cura” e “antidoto” sono stati usati come sinonimi, perché Cinder di mestiere fa la meccanica, non la virologa, ed è credibile che non sappia la differenza. Eppure sono stata intransigente quando in Il Rintocco sono state dette delle assurdità, perché quel libro aveva l’obiettivo di essere accurato scientificamente, facendo parlare esperti nei vari settori.

In The Atlas Six ho notato che ci sono moltissimi concetti ridotti all’osso e davvero tanto tanto semplicistici, il che costituisce un problema per il semplice motivo che sono addetti ai lavori a parlare, spesso tra di loro. E delle persone appena uscite dall’università, con una laurea specifica per piegare le leggi dell’universo e che, quindi, sono esperte di fisica e di scienze naturali, non dovrebbero, a rigor di logica, parlare come se dovessero semplificare un concetto, fino ad arrivare al conceptual stretching. Ho trovato la cosa un po’ illogica e incoerente, mi ha dato fastidio perché mi ha dato l’idea che il libro fosse un po’ pretenzioso e alla lunga privo di contenuti. Voi potreste dirmi che è stato fatto per renderlo fruibile al pubblico, e io vi risponderei che se un libro mi venisse venduto come incentrato sulla fisica, la fisica è ciò di cui vorrei leggere, anche perché chi non la apprezza non ha amato il libro nemmeno con i concetti semplificati, quindi secondo me si doveva fare meglio di così.

Il sistema magico

Uno degli aspetti che ho trovato interessanti in The Atlas Six è il sistema magico e la sua organizzazione pratica in questo universo. I medeiani non sono scollegati del resto del mondo, anzi, ne fanno parte e ricoprono talvolta dei ruoli di prestigio e, come ho accennato prima, compiono degli studi appositi per sviluppare le abilità magiche. Alcuni di questi poteri, come quelli dei fisicisti, non sono nulla di particolarmente originale, anzi, quando cercano di spiegare i loro poteri scientificamente ho alzati gli occhi al cielo per le inesattezze; altri poteri, invece, sono molto originali o già visti ma presentati in modo nuovo. Tristan, ad esempio, è in grado di smascherare le illusioni, è in grado di vedere il mondo come è in realtà. A un certo punto viene addirittura affermato che sia in grado di vedere la realtà oggettiva, ma per quanto sia in grado di non farsi infinocchiare dalle illusioni magiche, questo, semplicemente, non è possibile. Bellissima idea, ma affermare di vedere il mondo nella sua totalità per come è in realtà è un’affermazione troppo ardita e decisamente inesatta: non si può avere una visione globale, si può vedere solo una porzione per volta e, inoltre, Tristan è un essere umano con il suo bel pacchettino di bias cognitivi. Ho trovato il suo potere molto interessante fino al punto in cui la cosa non è stata tirata per i capelli in questo modo. 

A mio modesto parere, il potere sviluppato meglio è quello di Parisa, la telepatica. La sua non è di certo un’abilità del tutto nuova nella narrativa speculativa, eppure questa volta ho trovato tutto interessante perché Parisa non si imbatte solo nei pensieri consci, quelli già districati che si trasformano in flusso di coscienza, ma anche in quelli inconsci, nelle sensazioni su cui deve lavorare, nelle parti di psiche che si cerca di tenere nascoste e che non sono ancora pensieri. Ho trovato che il potere di Parisa, per quanto non abbia apprezzato lei come personaggio, sia stato quello sviluppato nel modo più coerente e convincente.

I personaggi

La povera Reina a cui è
stato dedicato poco spazio

The Altas Six, ormai lo avrete letto ovunque, si regge sui protagonisti. Ovviamente, ho delle cose da dire anche su questo, figuriamoci, perché io ho due problemi: il primo è che ho letto Dio di Illusioni molto prima di questo libro, e mi rendo conto che lo sto paragonando con un mostro sacro della letteratura, ma avendo il romanzo di Donna Tartt come punto di riferimento di cosa sia un dark academia e di come funzioni un libro che si basa sui personaggi, è chiaro che non potevo trovare tutto perfetto. 

The Atlas Six è strutturato in capitoli a pov alternato, ogni capitolo porta il nome della figura che sta parlando. Il punto è che se non ci fossero i nomi dei personaggi all’inizio di ogni capitolo, non si capirebbe di chi è il punto di vista, perché le voci sono davvero tanto uniformi, quasi intercambiabili e i personaggi sono caratterizzati solo quando passano attraverso lo sguardo degli altri, la loro caratterizzazione passa più attraverso ciò che pensano gli altri, che attraverso i propri flussi di coscienza, che sono più principalmente dei flashback o la narrazione di eventi filtrati dalla propria percezione. Tutti i protagonisti usano la stessa sintassi, gli stessi schemi linguistici, lo stesso lessico ed è per questo che è difficile distinguerli quando sono loro a parlare, mentre gli atri sono riconoscibili perché vengono descritti da chi parla, che spiega cosa ne pensa e quali sono i pregi e difetti di ciascuno. Anche le persone amorali o immorali perdono totalmente il loro fascino di villain quando sono loro a parlare, perché in qualche modo il viaggio nella loro psiche è tutt’altro che una spirale discendente nella perversione, anzi, dà quasi l’idea di avere a che fare con qualcuno che viene frainteso, quasi noioso e ordinari. Di fatto, il loro pov è esattamente identico a quello di tutti gli altri personaggi e manca totalmente il tipo di empatia che chi legge prova per creature come quelle di Donna Tartt o di Patrick Suskind, per le quali ci si ritrova a fare il tifo nonostante siano oggettivamente delle brutte persone. In alcuni punti della trama succede anche il contrario: quando viene detto a delle persone comuni che devono commettere delle azioni orribili (o viene ricordato loro che ne hanno già commesse) la cosa viene spesso liquidata in due pagine con un’alzata di spalle, con pochissimi dilemmi morali e nessun tipo di lotta interiore, anche quando il conflitto etico dovrebbe essere centrale.

Va inoltre detto che alcuni personaggi hanno più spazio di altri. Reina, ad esempio, rimane molto sullo sfondo, forse troppo, quasi secondaria, dato che ha pochissimi capitoli dedicati ed è praticamente solo funzionale agli altri. Ma il più grande problema, per me è…

Il finale (NO SPOILER)

La copertina del seguito

…il finale. Personalmente, il gran colpo di scena è stato incredibilmente prevedibile, da un certo punto del libro in poi, ma non è questo che mi ha fatto storcere il naso, quanto il fatto che sia stato gestito male dal punto di vista letterario. A un certo punto, a settanta pagine dalla fine, accade qualcosa che i protagonisti non avevano previsto (sebbene gli fosse stato detto più volte che qualcosa di simile sarebbe successo), e la voce narrante, non sapendo come far mettere insiemi i pezzi ai protagonisti, affida a un personaggio esterno, che fino a quel momento non aveva avuto un suo pov, il compito di fare un lungo spiegone (cinquanta pagine) dove racconta tutta la sua vita, cosa è successo e cosa ha a che fare con il mistero in questione. È questa la parte che ho trovato più forzata, perché secondo me è stato un espediente molto cheap, non sarebbero mancate le occasioni per fare diversamente, anche perché nella trama gli indizi c’erano (altrimenti io non ci sarei arrivata) e queste cinquanta pagine finali hanno spezzato il ritmo e decisamente rotto la magia del mistero, perché il suo svelamento non avviene in modo teatrale o sorprendente. Viene semplicemente raccontato con una lunghissima digressione. Questo punto nello specifico per me non presenta parti salvabili, è solo un grosso no, si poteva fare meglio in modi letterariamente più eleganti.

Pregi

Tutto quello che ho detto finora potrebbe far pensare che il libro sia una schifezza totale. Non è così, ci sono anche degli elementi che funzionano molto bene: oltre allo sviluppo delle abilità magiche, la prosa è uno dei maggiori punti a favore, perché, nonostante sia uniforme in tutti i pov, è in grado di convincere chi legge di qualsiasi cosa. È altisonante e magniloquente anche quando tratta di luoghi comuni. Olivie Blake riuscirebbe a rendere interessante le frasi “quando ero piccolina io qua era tutto campagna”, “la frutta prima era più buona, ora sa solo di acqua” e il sempreverde “Pippo Baudo è proprio un gran professionista”. Probabilmente è stato questo l’aspetto più convincente e che nonostante tutto mi ha fatta andare avanti con la lettura, rendendomela piacevole.

Conclusioni

Per essere un libro originariamente autopubblicato, chapeau, veramente, ho letto delle cose pubblicate da case editrici di qualità molto inferiore. È un capolavoro? No, ma nonostante questo è un libro che funziona sotto diversi aspetti. Ci sono molti elementi che non mi hanno convinta, ma potrebbero decisamente venire migliorati nei seguiti, che sono già stati pubblicati in patria, voglio dare loro un’occasione. 


venerdì 4 novembre 2022

C’era una Volta un Cuore spezzato

  • Titolo: C’era una Volta un Cuore spezzato
  • Titolo originale: Once upon a Broken Heart
  • Autrice: Stephanie Garber
  • Traduttrice: Maria Concetta Scotto di Santillo
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8817163217
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama

Evangeline Volpe ha sempre creduto nell’amore e nel lieto fine… Fino al giorno in cui scopre che quello che credeva essere il ragazzo della sua vita sta per sposare un’altra. Nel disperato tentativo di impedire le nozze, Evangeline stringe un patto con il Fatidico Principe di Cuori, affascinante quanto malvagio. In cambio del suo aiuto, il Fato chiede a Evangeline tre baci, che dovrà dare quando e a chi deciderà lui. Ma già al primo dei tre baci promessi, Evangeline impara a sue spese che mettersi in affari con un immortale può rivelarsi un gioco molto pericoloso, e che ciò che il Principe di Cuori vuole da lei è più di quanto si è fatto promettere. I piani che ha fatto per Evangeline potrebbero portare al più straordinario dei lieto fine o alla più spettacolare delle tragedie

Recensione e commento

 
Che viaggio incredibile è stata questa lettura! C’era una volta un cuore spezzato è un libro che ho ricevuto in omaggio dalla casa editrice diverso tempo fa (lo ammetto e me ne scuso, ma dovevo prima portarvi tutti i contenuti della trilogia prima di parlarvi del primo libro di questa nuova serie) e l’ho affrontato assieme alle mie amiche Giorgia e Rossella.

Per tutte e tre, lo scetticismo era palpabile, dopo la cocente delusione di Finale, una conclusione decisamente indegna per una serie iniziata col botto. Invece, devo ammettere che, seppur presentando numerosi difetti (ci mancherebbe che a me andasse tutto bene! Ma neanche per sogno) ha saputo stupirmi in positivo, proprio perché non presenta gli stessi problemi di Finale. Intanto perché tutto ha un senso, la trama è gestita decisamente meglio rispetto ai vicoli ciechi e alle interazioni campate in aria di Finale. Anche i personaggi secondari, che in Finale entravano in scena solo quando servivano e ne uscivano quando avevano finito di fare quello di cui le protagoniste necessitavano, in C’era una volta un cuore spezzato vengono introdotti con anticipo e hanno una loro tridimensionalità. Anche il ritmo è bello serrato e la mia sensazione generale è che rispetto ai libri della serie precedente, qui la si tirasse meno per le lunghe, che il finale sia arrivato puntuale e senza strappi. La protagonista, Eveline, non mi è risultata indigesta (e credetemi, è un risultato importante dopo Donatella). L’elemento che ho apprezzato di più, qui tiro un sospiro di sollievo, è che finalmente il worldbuilding sia stato ampliato: il potenziale dell’ambientazione era già evidente ed è sempre stato quello che mi piaceva di più della trilogia di Caraval, per questo sono rimasta un po’ dispiaciuta che non fosse stato più dettagliato. Qui, finalmente, vediamo dei nuovi regni e ci viene mostrata una grossa fetta di sistema magico. Un mondo con artifici magici degli del Paese delle Meraviglie, paesaggi a metà tra il fiabesco e il reale, tra lo storico e il leggendario. Ho amato questo libro soprattutto per la sua ambientazione, non ho problemi ad ammetterlo, credo che sia diventata una delle mie preferite.

Il libro, quindi, nel complesso, funziona, ma questo non significa che nulla mi abbia lasciata perplessa. Tanto per cominciare, un aspetto presente in tutto il romanzo è qualcosa che (spero) nel 2022 non è più di moda: la costante rivalità tra donne, specialmente quando si parla di accalappiarsi lo stesso ragazzetto insipido. Sinceramente, e qui si tratta di gusto personale, il filone Cenerentola mi ha un po’ stancata, ma se il romanzo comincia in un modo che appare prevedibile e già sperimentato, verso la metà prende una sterzata del tutto inaspettata, perché quello che appariva come un potenziale fantasy romance diventa improvvisamente un thriller ed è interessante come si sospetti di qualsiasi personaggio entrato in azione fino a quel momento. Qui ci sono pregi e difetti, perché avevo sentito dire che C’era una volta un cuore spezzato avesse Jacks come protagonista,che a mio parere meritava una storia tutta sua, dopo essere stato trattato a pesci in faccia da Donatella in Finale, ma anche qui è relegato a personaggio secondario. Però qui Garber è stata magistrale nell’essere realista in questo mondo da favola. È un po’ come se ci trovassimo in una fiaba, ma tutto fosse gestito in modo più razionale, più approfondito e personale. 

Se mai dovessero girare 
una trasposizione cinematografica di
questo romanzo, io voglio
Federico Fashion Style per 
interpretare il principe Apollo.

Al di là dell’ambientazione, che come ho detto, è a mio parere il punto forte di C’era una volta un cuore spezzato, la cosa che ho preferito è che questo libro mi ha fatta ridere veramente di gusto, non tanto per le scene in sé, quanto per il loro svolgimento molto pop. Ci sono personaggi che fanno entrate in scena degne delle più appariscenti drag queen (sul serio, nelle scene in cui appare Apollo provate a mettere The Bitch is Back di Elton John o Il Triangolo di Renato Zero e vedrete come cambia subito il tono), o luoghi e personaggi che avrebbero potuto essere protagonisti di una puntata de Il Castello delle Cerimonie, con i loro tatuaggi super trash (Mal, mi manchi, il tuo “Sono diventato una spada” a confronto era roba raffinata) o i loro sobri palazzi tutti viola abitati da eccentriche vecchiette. E credetemi, non dico questo per prendere in giro, lo dico con autentica simpatia, perché ho davvero trovato queste parti genuinamente divertenti, sono quelle che mi hanno intrattenuta meglio e avevo bisogno di un libro che mi facesse ridere così. A contribuire alla generale godibilità del libro è stato anche l’effetto nostalgia, perché a un certo punto della trama succede qualcosa che mi ha catapultata direttamente nel 2008 che in un primo momento mi aveva fatta bonariamente gridare al trash, in un secondo momento mi sono resa conto che Garber è riuscita a farla funzionare sul lungo termine e che probabilmente avrà delle ripercussioni nei seguiti.

In sostanza, non vedo l’ora di leggere il seguito. Questo libro introduttivo della nuova serie è stato una lettura frizzante e divertente. Non voglio dirlo a voce troppo alta, ma parrebbe che l’autrice abbia corretto gli errori tecnici della serie precedente. Dita incrociate per The Ballad of Neveafter.

mercoledì 2 novembre 2022

La Confraternita delle Streghe - Il Segreto sepolto

Ciao, bellezze! Partiamo a cannone, ringrazio subito Silvia per aver organizzato l’evento dedicato a La Confraternita delle Streghe - Il Segreto sepolto e Mondadori per avermi dato l’opportunità di leggerlo in anteprima.


  • Titolo: La Confraternita delle Streghe - Il Segreto sepolto
  • Titolo originale: Monarchs
  • Autrici: Kass Morgan, Danielle Paige
  • Traduttrice: Concetta Scotto di Santillo
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804765080
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama

Dopo il finale disastroso del semestre appena trascorso, le Kappa Rho Ni hanno un solo obiettivo: ristabilire l'equilibrio nel mondo. Scarlett Winter, finalmente presidentessa della confraternita, è fermamente intenzionata a impedire che altre sorelle possano cadere vittima di forze malvagie. Per riuscirci, però, non le basterà l'aiuto delle compagne, ma dovrà chiedere una mano alle ex allieve, come la madre e la sorella, che in passato hanno fatto parte della congrega, compito tutt'altro che facile visto che implica lo svelamento di segreti mai confessati prima. Come nuovo membro delle Kappa Rho Ni, Vivi Devereaux ha compreso finalmente cosa voglia dire appartenere a qualcosa. Ora ha tutto ciò che desiderava: l'appoggio delle compagne e una storia d'amore con il ragazzo che le piace da quando ha iniziato il college. Appena Scarlett le affida un ruolo importante all'interno della confraternita, Vivi fa del suo meglio per dimostrare di esserne all'altezza. Nel frattempo, però, i suoi studi sulla stregoneria prendono una piega pericolosa nel momento in cui scopre l'esistenza di una nuova forma di magia che ha legami misteriosi con il passato delle Kappa Rho Ni e con un demone in cerca di vendetta. Insomma, proprio quando Scarlett e Vivi sembrano avere finalmente raggiunto tutto ciò che desideravano, saranno costrette ancora una volta a lottare per salvare la loro confraternita da forze infernali e da una congrega rivale che minaccia di creare il caos tra le loro sorelle.

Recensione e commento

Il primo libro de La Confraternita delle Streghe è un romanzo che non mi aveva stupita molto per la sua innovazione, ma che in qualche modo avevo trovato piacevole e scorrevole, una buona lettura di conforto per quei periodi in cui si ha voglia di qualcosa di prevedibile e poco complesso. Ma se il romanzo aveva dalla sua l’essere prevedibile ma piacevole, non posso dire lo stesso di Il Segreto sepolto, il secondo capitolo, che ho trovato invece troppo sbilanciato nella trama, nella distribuzione degli eventi e nelle tematiche. 

Partendo dalla trama, in Il Segreto sepolto non sono molti gli eventi salienti e la maggior parte di essi è concentrata tutta nella parte finale, in cui l’antagonista di turno usa tantissime pagine per spiegare il suo piano malvagio (conquistare il mondo, ovviamente), ma di cui le nostre protagoniste riusciranno a liberarsi in quattro e quattr’otto. Questo non è l’unico errore di distribuzione degli eventi nell’intreccio, poiché va detto che il primo quarto del libro consiste in un mega riassunto del romanzo precedente, il che rallenta tantissimo la narrazione e l’azione, poi vi sono numerosissime descrizioni di abiti, feste ed eventi che costituiscono, a dire la verità, i problemi maggiori delle streghe del romanzo. Sì, perché le avventure magiche con cui sono alle prese sono pochissime, mentre i first world problem sono all’ordine del giorno: i Corvi devono organizzare la festa più bella, devono avere i vestiti migliori, devono essere le più belle e brillare più di chiunque altro, salvo poi non essere in grado di riconoscere la magia quando se la trovano davanti. Una congrega di streghe come loro si suppone non dovrebbe fidarsi tanto facilmente di bere intrugli offerti da sconosciuti o recitare formule misteriose da libri di provenienza ignota. E invece, per esigenze di trama, Scarlett e Vivi non si fanno mai le domande quando dovrebbero, per cui gli aspiranti colpi di scena non diventano mai tali perché chi legge ha già capito con estremo anticipo quello che per le protagoniste è inaspettato. Ciò di sicuro non aiuta la suspence, né a farle sembrare particolarmente sveglie.

In effetti, un buon 90% dei loro problemi si risolverebbe se solo comunicassero tra loro o chiedessero aiuto, cosa che non vogliono fare per non doversi sorbire le lavate di testa da parte delle loro madri. Insomma, le nostre Kappa Rho Ni vogliono essere trattate come adulte, ma non si rendono conto che non esiste nulla di più infantile che non assumersi le proprie resposabilità.

Barbascura X triggerato dalla frase
“Candidato al Nobel” (click per il video completo)
Al di là della bassa godibilità del libro dal punto di vista intrattenitivo, gli elementi che mi hanno maggiormente disturbata sono quelli tematici, perché un libro che ha come argomento centrale quello della sorellanza dovrebbe anche mandare un certo tipo di messaggio. Invece no, le sorelle sono esclusivamente quelle all’interno della confraternita, le ragazze al di fuori sono nemiche, non essendo iniziate non sono poste alla pari, non sono alla stessa altezza delle Kappa Rho Ni, alle quali viene giustamente rimproverato di essere una confraternita elitista ed esclusiva, accusa alla quale loro rispondono “no, ma noi ammettiamo ragazze di tutte le etnie”. Il che può essere vero senza però confutare il fatto che siano delle classiste, perché se da un lato non mancano tutti i colori di pelle, dall’alto sono tutte appartenenti all’alta o altissima borghesia, infatti, come ho già accennato, i problemi che devono affrontare sono i gli eventi mondani e ricevimenti, utilizzati per fare colpo su ex appartenenti alla confraternita, che sono diventate tutte donne di successo in senso capitalista. Chi è diventata senatrice, chi scrittrice candidata al Nobel (e qui il mio corpo è stato posseduto dallo spirito di Barbascura X perché nessuno sa chi siano i candidati al Nobel, si annuncia solo chi vince), insomma, tutte donne con un’idea di successo strettamente legata alla società della performance e, sì, escludente esattamente come da accusa. Qui il tentativo di messaggio femminista iniziato con il primo libro (e sottolineo “tentativo”) si perde completamente proprio perché la lotta femminista non è inserita in un contesto più ampio di lotta di classe e a poco servono i fiacchi tentativi sul finale di cercare di riappacificarsi con le donne al di fuori della confraternita: gli intenti di unificazione appaiono un po’ come se le autrici sul finale si fossero rese conto che il romanzo mandava un messaggio contraddittorio e avessero cercato di correggere il tiro, in modo assai poco efficace. In effetti, nemmeno all’interno della congrega stessa sono tutte alla pari, dal momento che non mancano le gerarchie e le piccole lotte di potere, così come sono tutte pronte a voltarsi le spalle alla prima difficoltà.

Insomma, sono rimasta poco convinta da questo secondo libro, che mi ha fatto spesso venire voglia di prende Vivi per le spalle e scuoterla dicendole “Ti prego, cara, svegliati una buona volta”. Il Segreto sepolto manca di molti dei pregi di La Confraternita delle Streghe 1, che era un libro piacevole, per quanto prevedibile. Questo appare invece molto lento e telefonato. Peccato.

A Study in Drowning - La Storia sommersa

Titolo: A Study in drowning - La Storia sommersa Titolo originale: A Study in Drowning Autrice: Ava Reid Traduttore: Paolo Maria Bonora Ling...