mercoledì 29 dicembre 2021

The Furry Thing


La recensione di questo simpatico libro è arrivata del tutto inaspettata, ma mi si sono subito immersa appena la mia amica Valeria mi ha proposto di farla, quindi ringrazio sia lei, che ha organizzato questo evento, sia la casa editrice Beccogiallo che mi ha omaggiata di una copia. Buona lettura

  • Titolo: The Furry Thing
  • Autore: Kamwei Fong
  • Casa editrice: Beccogiallo
  • Codice ISBN: 9788833141749
Quarta di copertina

In The Furry Thing c'è tutto l'universo dei gatti, tranne le bocche dei protagonisti. Senza bocche, le loro emozioni vengono trasmesse dagli occhi espressivi e luminosi, dalle orecchie vigili e dalle code grandi e cespugliose e, naturalmente, dal pelo più o meno folto (o meglio, folto, molto folto o foltissimo).

Nato nel 2009, The Furry Thing è il progetto artistico dell'illustratore, scultore e designer di Kuala Lumpur, Kamwei Fong. Utilizzando solo inchiostro nero a micro pigmenti e delle fitte trame di piccoli, brevi, segni, Fong ha creato centinaia di illustrazioni oniriche e fantasiose di gatti di ogni genere e taglia. Nonostante lo stile uniforme, quasi matematico nella sua progettazione e lavorazione, ogni gatto di The Furry Thing mostra una personalità unica: ci sono i gatti arruffati, panciuti e goffi, ci sono gatti sinuosi, eleganti e fieri, altri ancora hanno occhi curiosi, o diffidenti, o ruffiani. Alcuni hanno code enormi che puntano il cielo, altri sono arrotolati su loro stessi a formare un cerchio talmente perfetto da risultare magnetico. Ci sono poi quelli dal muso schiacciato o dal pelo striato, le code elettriche o le orecchie asimmetriche, gli sguardi assonnati o le movenze sinuose.

Recensione e commento 

Tu sei il tuo peggior nemico
The Furry Thing è un libro illustrato molto diverso rispetto a quelli che ho recensito finora perché contiene quasi esclusivamente disegni che non sono finalizzati a raccontare una storia, ma che fungono da “frasi motivazionali” o come mezzo per esprimere un’emozione dell’artista. Per questo è diviso in varie parti tematiche, alcune che ricreano l’umore di un momento tramite il movimento del corpo di un gatto, altri ancora sono delle sorte di “ritratti” di gatti veri e vi sono altre parti che, invece, trasmettono un messaggio tramite un’ analogia. The Furry Thing è un libro che si sviluppa esclusivamente su scale di grigio, ma nonostante ciò (o forse proprio per questo) è di grande impatto. L’insieme è molto asiatico, poiché l’artista di Kuala Lumpur disegna i gatti che ama e che gli somigliano nello stesso modo in cui io mi disegno le sopracciglia (stessa cosa, proprio): un singolo pelo alla volta. In effetti una dei tratti di spessore variabile e un singolo errore può rovinare l’insieme del disegno, frutto di una pazienza infinita ed è incredibile come non soltanto l’effetto finale sia estremamente morbido e apparentemente senza sforzo, ma anche come riesca a rendere l’idea delle varie razze feline variando solo la gradazione del nero. 

The Furry Thing mostra non solo quanto talvolta i gatti siano umani, ma anche che sarebbe meglio che gli umani fossero come i gatti: i gatti sono chi vogliono essere e hanno questo perenne atteggiamento menefreghista tipico di chi non ha particolarmente a cuore le norme sociali né sente la pressione psicologica di dover essere perfetti o dover essere qualcun altro. I gatti in questione non nascondono le emozioni, né quando hanno paura, né tantomeno quando si tratta di mostrare sdegno e lo fanno con ogni singola fibra del proprio corpo, per questo non hanno bisogno di bocche per comunicare.

Ciò rende The Furry Thing un libro adattissimo non solo a chi ama i gatti e rivede in queste illustrazioni molti del loro atteggiamenti, ma anche chi ha bisogno di una piccola spintarella motivazionale per vivere meglio la propria vita. Un regalo perfetto anche per chi ama l’arte e vuole scoprire nuove tecniche e nuovi artisti.

mercoledì 22 dicembre 2021

Il Cardellino

  •  Titolo: Il Cardellino
  • Titolo Originale: The Goldfinch
  • Autrice: Donna Tartt
  • Traduttore: Mirko Zilahi de’ Gyurgokai 
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8817090933 
  • Editore: Rizzoli

Trama:

La storia di Theo Decker, sopravvissuto, appena tredicenne, all’attentato terroristico che in un istante manda in pezzi la sua vita. Solo a New York, senza parenti né un posto dove stare, viene accolto dalla ricca famiglia di un suo compagno di scuola. A disagio nella sua nuova casa di Park Avenue, isolato dagli amici e tormentato dalla nostalgia per la madre, l’unica cosa che riesce a consolarlo è un piccolo quadro dal fascino singolare. E da lì, il suo futuro diventa una rocambolesca giravolta tra salotti chic, amori e criminalità, guidato da una pulsione autodistruttiva, impossibile da controllare


Recensione e commento

Come si fa a descrivere un libro in cui abbiamo trovato una parte così consistente di noi?

La penna di Donna Tartt, dopo Dio di Illusioni, ci regala un altro capolavoro, indiscutibilmente di qualità eccelsa per stile e scrittura, dato che quasi novecento pagine di libro scorrono via come acqua tra le dita. Ma al di là di questo, l’autrice è sempre impeccabile nel descrivere ogni sfaccettatura dell’animo umano: i personaggi sembrano uscire dalle pagine e sono talmente caratterizzati da non sembrare nemmeno inventati. Chi legge non solo li conosce, ma spesso li giudica, proprio come fa Theo, il protagonista, non senza una dose di presunzione da parte sua. Infatti, Theo difficilmente ha delle opinioni gentili sulle persone attorno a lui; capita, ma è più frequente che giudichi  chi lo circonda con aggettivi dispregiativi molto poco altisonanti. Eppure, non è una persona completamente irrecuperabile. È un bambino traumatizzato, che ha vissuto una tragedia indicibile ed è cresciuto senza una guida dal polso fermo e pertanto è diventato una brutta persona nel modo in cui lo sono molte brutte persone: in privato, lontano dagli occhi della gente, mentre si ammantano di una luce di irreprensibilità. Theo ha pensieri morbosi e indulge spesso nel suo lato peggiore, eppure non è difficile rivedersi in lui, in certe situazioni, come quando, nonostante la sua evidente intelligenza, decide di “mandarla sprecata” per mettersi a fare l’antiquario, invece di sottostare alle pressioni sociali che lo volevano uomo di successo. Il protagonista sceglie di fare qualcosa che lo rende felice, non che gli riesce semplicemente bene e questo, in un mondo consumistico in cui si deve sempre essere sulla cima della montagna per essere considerate persone realizzate, è un grande atto rivoluzionario: Theo sceglie di non farcela, lo decide, sceglie di fallire in una società in cui se non sei il migliore non sei nessuno (sì, in questo mi sono rivista) ed è la dimostrazione che alcune volte la strada sbagliata è quella che ti porta dove volevi arrivare. È un po’ come Joker, sembra sempre a una brutta giornata di distanza dalla follia e si ha costantemente, per tutto il libro, la sensazione che stia per succedere qualcosa. La sua stessa vita è così, perché ogni volta che sembra che qualcosa sembra andare per il verso giusto, la trama prende una piega del tutto inaspettata e anche in questo Il Cardellino è incredibilmente verosimile, non solo perché Donna Tartt è informatissima su tutti i temi di cui parla, dalla storia dell’arte al mondo delle aste, ma anche perché la vita reale stessa ci porta sempre in posti che non immaginavamo, presentandoci situazioni che avremmo creduto possibili solo sui libri. In questo romanzo, come nella vita, l’unica costante è che non ci sono costanti. Tutto è sempre in bilico e sul punto di scoppiare o di degenerare come nella teoria del piano inclinato e non esistono linee indelebili tracciate tra bene e male assoluti. Niente ha un solo significato: non lui, non gli eventi che gli sono successi, né tanto meno gli oggetti che lo circondano, perché hanno una storia da interpretare e fare propria.

L’autrice

Il ruolo dell’arte, poi, è centrale in questa lettura: è presente in ogni sua forma, dall’arte figurativa alla musica, all’arredamento e sempre nella sua forma classica, pura, incontaminata. Sprazzi di perfezione e lucidità in un mondo grigio e votato alla funzionalità senza estetica, ma è la stessa bellezza che senza controllo rischia di distruggere e di essere distrutta. La scrittura stessa di Tartt è un’opera d’arte autoportante perché è capace di indescrivibile splendore, capace di creare scene frenetiche e concitate e poco dopo descrivere situazioni sospese nel tempo e nello spazio, rendendole eterne. Riesce a parlare di ogni esperienza umana con estrema precisione, entrando nell’intimità emotiva non solo del personaggio, ma anche di chi legge e porta la mente attraverso l’inferno solo per, alla fine, uscire a riveder le stelle, come avrebbe detto un uomo più saggio di me.

Il Cardellino è uno dei libri più belli che abbia mai letto in vita mia, perché ha smontato e rimontato delle parti di me, mi ha messo uno specchio davanti, mi ha mostrato quanto non sia sola a vivere certe esperienze e ha inserito dentro la storia alcune delle persone che amo. Sono felicissima di aver fatto questa lettura, che resterà non solo tra le migliori del 2021, ma anche nel mio cuore per sempre.


venerdì 17 dicembre 2021

Anna K.

  • Titolo: Anna K. - Una Love Story
  • Titolo originale: Anna K. - A Love Story
  • Autrice: Jenny Lee
  • Traduttrice: Sofia Brizio
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8833751573
  • Casa editrice: Leggereditore
Trama

Ogni adolescente è felice allo stesso modo, mentre è infelice a modo suo. Mentre i suoi amici lottano con le insidie della normale vita da adolescente, Anna K. sembra sempre essere in grado di navigare con grazia al di sopra di tutto. Cioè... fino alla notte in cui incontra Alexia "Count" Vronsky alla Grand Central Station a New York. Un famigerato playboy che ama non combinare niente e vive solo per il proprio piacere, Alexia è tutto ciò che Anna non è. Ma ha una sola cosa in comune con lei: non è mai stato innamorato o almeno fino a quando non la vede la prima volta. Mentre Alexia e Anna sono irresistibilmente attratti uno verso l’altro, lei deve decidere quanto della sua vita è disposta a lasciar andare per avere la possibilità di stare con lui. E quando una rivelazione scioccante minaccia di mandare in frantumi la loro relazione, è costretta a chiedersi se ha mai conosciuto veramente se stessa e se quel mondo fatto di luci e brillantezza sia effettivamente quello che desidera.

Recensione e commento

Avete presente quei libri che a pelle non vi dicono niente e non gli dareste due spicci, ma poi sin dalla prima pagina vi fanno ricredere perché sono meravigliosi? Ecco, Anna K. è proprio così. In un periodo in cui il retelling viene usato da autrici che non hanno fantasia per scrive una propria storia di sana pianta (La Corte dei Miracoli sto parlando con te!), Anna K. è una boccata di aria fresca non solo perché, nonostante la differenza di target, nello stile, nell’uso alternato del punto di vista esterno dei personaggi e nella trattazione delle tematiche è effettivamente molto simile a quello di Tolstoy, ma anche perché il nucleo centrale della storia rimane intatto. La trama è molto complessa e intricata, con avvenimenti salienti ogni poche pagine che fanno scorrere l’intreccio con fluidità e il fatto che la storia sia stata rimaneggiata per un pubblico adolescenziale non la rende più superficiale, anzi. Di fatti, un occhio adulto potrebbe vedere certi temi come venali, eppure la verità è che diventano tali solo dopo che l’adolescenza è passata. Durante quel periodo, invece, cose come il tradimento, gli intrighi e le delusioni amorose sono problemi che vanno affrontati e superati per poter, pian piano, diventare adulti. Non c’è un solo personaggio in Anna K. che non abbia una parabola di formazione incredibile, sia in positivo, che in negativo; Lolly, ad esempio, parte come una ragazza un po’ superficiale che non ha più una ragione di vita dopo il tradimento di Steven, ma da quel momento in poi ha una crescita interiore che si riflette tantissimo nei rapporti con le altre persone. Diventa saggia, gentile e non giudica più nessuno. Altri personaggi, invece, hanno una crescita in negativo, che dalle stelle li porta agli abissi più profondi, sino a non poterne più uscire. Anna K. tratta contemporaneamente di tanti temi diversi: si va dall’ansia da prestazione, alla depressione, all’uso di droghe, al tradimento e soprattutto al doppio standard, senza mai diventare retorico o banale, ma anzi affrontando queste problematiche giovanili (e non solo) con moltissimo tatto, competenza ed evitando di considerare gli adolescenti come una marmaglia omogenea di senza cervello privi di prospettive.

Venendo alla protagonista, con lei sono riuscita a entrare in empatia molto più che con la Anna Karenina originale, dato che personalmente avevo più comprensione per suo marito. Qui, invece, le motivazioni delle azioni di Anna non solo sono comprensibili, ma addirittura condivisibili e la sua non è una storia di tradimento, ma di autodeterminazione per svincolarsi da una relazione che è iniziata troppo presto con una persona che, di fatto, non ha scelto. Anna è una brava ragazza, eppure subisce, subisce e subisce un’ingiustizia dietro l’altra, dovute soprattutto al doppio standard di cui è pervasa la società in cui vive: nessuno giudica Vronsky per le sue relazioni sessuali, ma tutti sono pronti a condannare Anna per un’ingiustizia che non solo ha subito, ma che, addirittura, la porta sull’orlo del precipizio. Una cosa interessante da paragonare tra questo retelling e il romanzo originale è il cambiamento dell’alta società dalla fine dell’Ottocento a oggi. I ricchi di cui ci para Jenny Lee sono dei festaioli stacanovisti che si preoccupano solo di vestiti costosi, macchine e cocaina, mentre quelli del romanzo originale non lavoravano e avevano degli interessi di cui occuparsi relativamente a tempo perso. Anche molte scene originali sono riportate qui, rivisitate e pulite da molte digressioni che un lettorato contemporaneo troverebbe prolisse, come quella dell’incidente a cavallo o le lunghe descrizioni di pranzi al ristorante. 

Anna K. è un retelling degno di questo nome, che di sicuro tiene intatto il messaggio del libro originale e nonostante questo riesce a essere imprevedibile nei colpi di scena e irresistibile nell’approfondimento psicologico dei personaggi. Un romanzo davvero imperdibile che vale la pena di essere letto a ogni età.

Intervista a Caterina Costa


Ciao Caterina, prima di iniziare vogliamo ringraziarti per il tempo che ci dedicherai e farti i complimenti per il tuo lavoro. La prima domanda che vogliamo farti è la seguente:

- Come mai hai deciso di suddividere ogni storia in una striscia di quattro quadrati? 

E’ un formato che ti è stato richiesto da altri o da esigenze esterne, o che hai deciso tu in maniera indipendente? Forse mi sono involontariamente ispirata ad altri webcomic che ho visto negli anni, ma la ricordo come una scelta molto naturale. Inoltre, postando su Instagram, questa struttura rende molto più facile la condivisione dei miei lavori, perché la somma delle vignette quadrate è sempre un quadrato.

- La forza del tuo lavoro è anche nella sua brevità, ma hai mai pensato di creare una storia molto più lunga, magari una graphic novel completa, partendo da una o più strisce?

È sicuramente qualcosa che mi piacerebbe molto fare! Il primo esperimento con storie più lunghe è stato con il mio primissimo libro, Vita da Pomodoro, un’antologia realizzata insieme ad altre 6 fumettiste. È stato molto difficile per me scrivere qualcosa di più lungo, perché in genere nei miei lavori cerco sempre di trasmettere un’emozione, una sensazione, un concetto, e per questo tipo di comunicazione la vignetta breve è ciò che più mi è congeniale. Al momento sto cercando di leggere più fumetti e di imparare a narrare storie più lunghe, perché penso che potrei farne qualcosa di bello!

- Ci racconti la tua esperienza dell’Inktober e di cosa ti ha insegnato come fumettista? In futuro pensi che parteciperai nuovamente all’evento?

Per me l’Inktober del 2018 è stato la svolta, mi ha cambiato la vita. È iniziato tutto come un gioco, un esperimento, ma mi ha portato tante cose fantastiche. Ho deciso di fare un fumetto al giorno anziché un’illustrazione e ho scoperto la mia vocazione! Intanto mi ha fatto capire che sono in grado di produrre tanto in poco tempo, perché le parole a cui ispirarsi uscivano il 1 ottobre e ogni giorno c’era una nuova parola da usare, io all’epoca andavo in università tutti i giorni e da pendolare tornavo spesso a casa verso le 20. Però ce l’ho fatta! Ogni sera mi mettevo lì e creavo i miei fumetti. È stato anche l’inizio del mio successo su internet, perché dai miei fumetti per l’Inktober è arrivata la prima ondata di lettori su Instagram. Penso parteciperò ogni anno e spero di riuscirci ancora!

 - Abbiamo notato che molti colori – ad esempio il giallo - sono ricorrenti: c’è un criterio particolare dietro questa scelta? E quali tecniche e/o strumenti grafici usi per creare i tuoi disegni?

La scelta di usare il giallo è stata casuale, è sempre stato uno dei miei colori preferiti. Disegnando e sperimentando mi sono accorta che stava meglio di altri colori come sfondo, faceva risaltare le immagini in primo piano e illuminava la scena. Durante gli anni ho usato diverse tecniche, ho iniziato con la china su carta e le Bic, ho usato Photoshop, Paint Tool Sai, gli acquerelli... Ora uso Procreate su un iPad 2018, che penso sia il sfotware meglio sviluppato per i disegnatori. Il suo unico problema sono i livelli limitati, però in confronto a Photoshop o ad altri programmi conosciuti ha dei pennelli meravigliosi e insuperabili.

- Nelle note del tuo libro racconto che il tuo primo approccio al mondo dei fumetti sono stati i cartoni animati che vedevi da piccola: quali erano i tuoi preferiti? E oggi, invece, quali sono le tue fonti di ispirazioni principali?

Il primissimo che ho iniziato a ridisegnare penso sia stato Futurama, sapevo tutti i personaggi a memoria e i miei compagni di classe mi chiedevano sempre di disegnarli per loro. Poi A tutto Reality, che è stato il cartone animato che mi ha fatto iniziare a disegnare in digitale. Avevo un gruppo di amici a distanza, nato su Facebook, in cui ognuno si creava il suo personaggio in stile ATR e insieme giocavamo e ci sfidavamo a gare di disegno. È iniziato tutto da lì! Oggi invece non ho più un’ispirazione precisa, ormai il mio traTto e il mio stile sono abbastanza radicati da non aver bisogno di copie così fedeli. Questo non significa che abbia smesso di sperimentare! Spesso mi piace provare a cambiare stile, fare qualcosa di più cartoon o di più realistico, cambiare il tratto e i colori... solo che ora sono tutti esperimenti che partono da me.

- Ti piace la cultura giapponese, nello specifico i manga e gli anime? E, invece, nel panorama italiano c’è qualche fumettista che ti ha ispirato o che ti senti di consigliare?

Da bambina guardavo tanti anime e leggevo qualche manga, ho avuto un periodo attorno agli 11 anni in cui ho provato a ricrearne lo stile ma non faceva per me. Ho iniziato a creare fumetti per puro caso, sono sempre stata interessata sia all’animazione che all’illustrazione e il fumetto è ciò che univa queste due tecniche al meglio. Quindi non ci sono veri spunti a cui mi sia ispirata, non sono mai stata una grande lettrice di fumetti (anche se di fiera in fiera mi è venuta sempre più voglia di iniziare) fatta eccezione per Dylan Dog e W.I.T.C.H..

- Hai dei nuovi progetti in lavorazione? Cosa ti piacerebbe creare prossimamente? Ci puoi dare qualche anticipazione o è ancora tutto segreto?

Per il momento sono abbastanza ferma, fatta eccezione per la mia piattaforma su Webtoon che è stata appena aperta e mi sta portando molte soddisfazioni! Spero di avere presto qualche progetto nuovo!

mercoledì 1 dicembre 2021

Le Guerriere dal Sangue d’Oro

 Buongiorno, gente! Oggi siamo qui per un altro review party organizzato da Beatrice, che ringrazio per avermi inclusa, per il titolo Le Guerriere dal Sangue d’oro. Ringrazio anche la casa editrice per avermi fornito il file in anteprima. Cominciamo


  • Titolo: Le guerriere dal sangue d’oro
  • Titolo originale: the Gilded Ones
  • Autrice: Namina Forna
  • Lingua originale: inglese
  • Casa editrice: Mondadori

Trama


«È tardo pomeriggio quando arriviamo al tempio. La piazza del villaggio è già gremita: le ragazze, nei loro abiti da cerimonia, si mettono in fila davanti ai gradini del tempio, con i genitori ai lati. Mio padre prende posto accanto a me quando i tamburi iniziano a suonare. Gli jatu marciano solennemente verso i gradini, le loro crudeli maschere da guerra brillano nella luce spenta del pomeriggio. Osservo le mura bianche e spoglie del tempio, il suo tetto rosso. Il rosso è il colore della santità. È il colore del sangue delle ragazze pure che saranno messe alla prova oggi.»
Deka conosce bene l'importanza del rituale della purezza. Sa che da esso dipenderà se potrà o meno diventare membro a tutti gli effetti del suo villaggio ed essere finalmente parte di qualcosa, proprio lei che si è sempre sentita diversa e fuori posto. Ma il giorno della cerimonia, il suo sangue si rivela d'oro, il colore della non purezza. Le conseguenze, Deka lo sa bene, potrebbero essere peggiori della morte. Per questo, quando una misteriosa donna va a trovarla nel luogo in cui è imprigionata e le propone di andarsene dal villaggio per entrare a far parte di un esercito composto da ragazze esattamente come lei, le alaki, non ha dubbi. Pur comprendendo i pericoli che la aspettano, Deka decide di abbandonare la vita che ha sempre conosciuto. Ma già nel viaggio che la conduce alla capitale del regno, e alla più grande battaglia della sua vita, scoprirà presto che la grande città serba molte sorprese. E che niente è davvero come sembra, nemmeno lei.

Recensione e commento

Le Guerriere dal Sangue d’Oro è un romanzo young adult con un bel messaggio di fondo e una certa misura di critica sociale, pur avendo anche la sua dose di difettucci.


Cominciando dall’inizio, è interessante come la società sia di stampo teocratico e gerarchicamente ordinata, in cui i deboli sono spesso impegnati in una guerra tra poveri. In particolare, le donne si trovano alla base della scala sociale e devono seguire delle regole che ricalcano quelle della sharia, coprendosi il volto con delle maschere invece che con un velo e non uscendo mai non accompagnate da un uomo della famiglia. In aggiunta a ciò, c’è una categoria di donne addirittura subordinata alle altre, ovvero quelle che durante un rito di iniziazione dimostrano di avere il sangue d’oro, quindi impuro, e manifestano una gamma di poteri come l’invulnerabilità e sono creature che da un lato vengono soggiogate per la loro inferiorità, dall’altro sfruttate per il proprio valore. Questa era di base una buona idea, con una storia che avrebbe mandato un bel messaggio e una critica sociale sensata, ma è a qui che arrivano i problemi, perché se da un lato, fino a un certo punto la storia dapprima prevedibile prende poi una piega diversa, è anche vero che ogni avvenimento accade sempre in maniera molto conveniente per la protagonista; ad esempio, l’imperatore ha deciso di utilizzare per la prima volta nella storia un esercito di donne come la protagonista, invulnerabili e di utilizzarle nella guerra contro de mostri che minacciano l’umanità. Deka stessa ha un’ambivalenza tra pregi e difetti, poiché in materia religiosa cresce tantissimo e passa dall’essere una ragazzina indottrinata e credulona, al porsi domande sulla propria fede e sulla natura del suo dio, arrivando alla conclusione che non può esistere una divinità che da un lato crea qualcosa per poi volerne punire l’esistenza. Questo è il suo punto di maggior sviluppo, perché in altri ambiti, invece, si manifesta come un personaggio overpower: è, come molte eroine dei romanzi ya, la più potente mai esistita della sua specie ma non lo sa, diventa una guerriera abilissima in pochi mesi di addestramento(anche se sviene più di Dante quando non sa come cambiare girone), è bellissima ma non ne è consapevole, così come i suoi flussi di coscienza cambiano in maniera troppo macchinosa e sincopata. Anche la love story non nasce in maniera credibile, ma messa a puntino perché è ciò che il target si aspetta.

Nel complesso, non è un libro brutto, ma resta un po’ di rammarico per una storia che avrebbe potuto dare di più. Le Guerriere dal sangue d’oro è un libro con buona morale, ma che rimane comunque rassicurante nella sua prevedibilità. Consigliato soprattutto a chi cerca una bella storia interessante ma non troppo complessa da leggere.

A Study in Drowning - La Storia sommersa

Titolo: A Study in drowning - La Storia sommersa Titolo originale: A Study in Drowning Autrice: Ava Reid Traduttore: Paolo Maria Bonora Ling...