mercoledì 26 ottobre 2022

Finale

  • Titolo: Finale
  • Titolo originale: Finale
  • Autrice: Stephanie Garber
  • Traduttrice: Maria Concetta Scotto di Santillo
  • Codice ISBN: 9788817143431
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama

Un amore per cui combattere. Un sogno per cui morire. Un finale per cui vale la pena di aspettare.
Sono passati due mesi da quando i Fati sono stati liberati, due mesi da quando Legend ha reclamato per sé il trono, due mesi da quando Tella ha scoperto che il ragazzo di cui si è innamorata in realtà non esiste. Mentre vite, imperi e cuori restano in sospeso, Tella deve decidere se fidarsi di Legend o piuttosto di un ex nemico. Dopo aver scoperto un segreto che ribalta tutta la sua vita, Rossella dovrà tentare l’impossibile per salvare coloro che ama e l’Impero. E Legend dovrà fare una scelta che lo cambierà per sempre. Caraval è finito, ma il più grande dei giochi è appena cominciato. Non ci sono spettatori questa volta, qualcuno vincerà, e qualcuno perderà per sempre.Benvenuti, benvenuti a Finale.Tutti i giochi hanno una fine…

Recensione e commento

Rossella guardatevelo qui, che
tanto nel libro non si vede
Avete presente quando nella recensione di Caraval avevo detto che secondo me il rapporto tra le due sorelle era splendido e meraviglioso (sto parafrasando) e che ero sicura che nei libri successivi sarebbe venuto fuori il meglio di Donatella? Ecco, mi rimangio tutto.

Finale, sfortunatamente, è stata una delle più grandi delusioni letterarie di quest’anno. Eppure, gli appigli per poter creare un’ottima storia non mancavano di certo, ma l’esecuzione totale appare come se Garber non avesse saputo dove andare a parare. Questo terzo libro si concentra non sul singolo punto di vista di una delle due sorelle, ma su quello di entrambe, eppure, nonostante ciò, è comunque sbilanciato sia nel numero di pagine, decisamente più corposo nel caso di Donatella, ma soprattutto per quanto riguarda gli avvenimenti. Sono piuttosto arrabbiata: dopo tutto quello che ha passato Rossella non si meritava di essere praticamente una comparsa nella storia della sorella, alla quale viene dedicata la maggior parte dello spazio della storia, nonostante non sia lei a mandare avanti la trama. In effetti è Rossella colei che compie le azioni che effettivamente cambiano qualcosa, mentre Donatella è spesso un grosso “vorrei ma non posso”, spendendo tantissime pagine a parlare dei suoi drammi amorosi, delle sue cotte, del suo triangolo amoroso, dei suoi m’ama non m’ama. Che poi, perché vanno tutti appresso a lei nonostante venga detto chiaro che è carina, ma non bella in modo ultraterreno e a mio avviso non abbia nemmeno qualità caratteriali evidenti? Di lei sappiamo ogni pensiero che le attraversa la testa, mentre Rossella resta per la maggior parte una comparsa, nonostante il grande contributo che dà alla storia. 

Raga, ve lo giuro, io come Nullazzo
ogni volta che Tella usava la parola 
“Bramosia”
Garber ha esagerato veramente con l’Eros e il Thanatos, a un certo punto appare tutto veramente inverosimile e campato in aria, oltre che stancante e ripetitivo. E sottolineo ripetitivo: a un certo punto ogni singola volta che Donatella parlava del fatto che i Fati non sentono amore, ma solo bramosia, lussuria, desiderio di possesso mi veniva in mente l’Onorevole Nullazzo, del trio comico Aldo Giovanni e Giacomo, che elencava le dieci parole più belle del XX secolo (se non conoscete quel video, sappiate che “piccozza” è la parola più bella che si addice a Donatella. Comunque vi lascio il video). L’autrice ha persino creato l’occasione di ampliare considerevolmente il worldbuilding, che fino a questo punto si era limitato al circo di Caraval e alla città di Valenda, ma sceglie di buttare qua e là solo degli indizi mai inseriti in delle vere e proprie descrizioni, è sempre tutto davvero fastidiosamente superficiale, quando si tratta di Rossella.

In Finale non ho trovato un singolo rapporto interpersonale che non fosse disfunzionale sotto qualche aspetto, sono rimasta davvero delusa, anche quando si parla di famiglia, perché spesso sembra che i legami di sangue siano sempre vincenti, che tutto si debba perdonare alla famiglia di sangue, anche quando è stata abusante o assente. Si deve sempre trovare un motivo per perdonare e comprendere. Personalmente, sono d’accordo solo con l’ultima parte, ma qui nessuno si merita il perdono. Avrei voluto vedere tanti tipi di amore, invece la cerchia rimane sempre molto ristretta, in qualche modo si parla sempre e solo di amore romantico, gli altri tipi sono sempre poco approfonditi e mai verosimili o sani.

Se Caraval mi era piaciuto tantissimo, in Legend avevo trovato qualche difetto ma ciononostante non fossi riuscita a metterlo giù per quanto la scrittura fosse coinvolgente, Finale per me è stato un vero e proprio strazio: campato in aria, telefonato e pieno di vicoli ciechi. La cosa interessante di Caraval è che ogni singolo elemento introdotto aveva poi un risvolto nel corso del l’intreccio, qui non solo non è stato così, ma tantissimi avvenimenti non solo erano vicoli ciechi, ma erano anche inutili, dandomi l’idea di aver perso tempo a leggere una buona metà del libro, anche perché i personaggi secondari sono così marginali da essere in sostanza delle casse di risonanza per le emozioni delle protagoniste (leggi Donatella) e sono troppo spesso degli strumenti privi di caratterizzazione funzionali esclusivamente alla risoluzione di un problema contingente. 

Oltre a tardare ad arrivare, caratteristica comuni a tutti i libri della trilogia, il finale è anche illogivo ed esagerato. Ho fatto veramente fatica a terminare questo libro, perché ho trovato pochissimi lati positivi, tanto da farmi dubitare di volerlo finire. Uno dei pregi è sicuramente la mitologia, sebbene, come un po’ tutto il resto, sia abbozzata e mai davvero affrontata in modo organico, ruota sempre attorno al nucleo narrativo del libro e viene detto solo quello che fa comodo, aggiungendo qui e là dettagli che servono man mano, risultando troppo spesso una scelta di comodo. E poi, come si sarà capito, per me Rossella è davvero un punto di forza, a differenza di quella manipolatrice emotiva di sua sorella convinta che il mondo ruoti attorno a lei e che dà sempre per scontato l’amore che le viene riservato. Rossella ha avuto un arco di formazione decisamente più convincente, non è più la ragazza ingenua e paurosa di Caraval, il suo coraggio e la sua intraprendenza vengono finalmente fuori non soltanto nelle situazioni di pericolo, ma anche nella quotidianità. Rossella, finalmente, smette di accontentarsi e comincia a pensare di meritare il meglio. 

Finale è un’ indegna conclusione per una trilogia che era partita con i migliori presupposti, non posso nemmeno addurre la scusa dell’inesperienza, dato che Stephanie Garber di mestiere insegna scrittura creativa. Spero di poter leggere presto C’Era una Volta un Cuore spezzato, in cui ripongo tantissime aspettative. 

martedì 25 ottobre 2022

Lifel1k3

Ciao, bella gente! Come avrete letto dal titolo oggi siamo qui per parlare di una delle fatiche di Jay Kristoff. Ringrazio di cuore la mia amica Patrizia, che mi ha inclusa nell’evento, e la Mondadori che mi ha dato l’opportunità di leggere in anteprima questa trilogia.



  • Titolo: Lifel1k3
  • Titolo originale: Lifel1k3
  • Autore: Jay Kristoff 
  • Traduttore: Gabriele Giorgi 
  • Lingua originale: inglese 
  • Codice ISBN: 978-8804756576
  • Casa editrice: Mondadori
Trama

Eve ha diciassette anni, e l'ultima cosa di cui ha bisogno è un segreto da custodire. No, grazie, è già abbastanza impegnata a guardarsi le spalle e a districarsi tra mille problemi. Problema numero uno: il robot gladiatore che ha passato mesi a costruire è stato ridotto a un relitto fumante. Problema numero due: ha perso con gli allibratori i pochi crediti che aveva, l'unico mezzo per comprare le medicine indispensabili a Nonno. Problema numero tre: un gruppo di fanatici puritani la vuole uccidere e… che altro? Ah, sì, ha appena scoperto che può distruggere le macchine con il potere della mente. Forse ha vissuto momenti peggiori, ma non riesce proprio a ricordarseli. Quando però scopre la carcassa di un ragazzo androide di nome Ezekiel, nell'ammasso di rottami che chiama casa, tutto cambia; si mette in viaggio per salvare chi ama insieme a lui, alla sua amica Lemon e al suo compagno robotico Cricket: attraverseranno deserti di vetro nero, combatteranno contro cyborg assassini, esploreranno megalopoli abbandonate, fino a scoprire i segreti sepolti nel suo passato… anche se ci sono segreti che è meglio non portare alla luce.

Recensione e commento

Il mio rapporto con Jay Kristoff è di amore e odio: la trilogia di Illuminae è nel mio cuore e si trova sullo scaffale riservato alle mie saghe preferite. Di contro, ho detestato ogni riga di Aurora Rising, tanto da decidere di non portare avanti la serie; poi è arrivato l’Impero del Vampiro, che ho abbandonato a pagina 200 perché il personaggio principale mi sembrava troppo un Geralt di Rivia de noartri. Ebbene, nonostante tutte queste traversie ho deciso di dare comunque una possibilità alla trilogia di Lifel1k3, il cui primo libro è stato pubblicato in patria nel 2017.

La mia opinione su questo primo volume non è entusiasta, ma nemmeno catastrofista, perché ci sono varie cose che ho apprezzato, pur non considerandolo un capolavoro. Innanzitutto devo dire che i personaggi mi sono piaciuti, sebbene presentino alcune delle caratteristiche tipiche dei personaggi di Kristoff che non mi piacciono: personalmente, non amo la spacconaggine, le battute in cui si fa a gara di arguzia e tutti questi battibecchi volgari in cui si mostra soltanto la propria insicurezza. Va detto, però, che Eve è una protagonista credibile, con dei conflitti verosimili, ma quella che ho preferito in assoluto è stata Lemon, una personaggia inaspettata, che vi riserverà delle sorprese. 

Il ritmo del libro, poi, è incalzante e rende la lettura facile e veloce e anche l’ambientazione è un punto a favore del romanzo, con il tema del riscaldamento climatico che viene affrontato in maniera adeguata e tanti riferimenti a Mad Max. 

Volendo restare su Mad Max, però, ci si accorge che Lifel1k3 ha anche dei contro, e cioè che chi legge o guarda molta fantascienza troverà prevedibili tantissime scelte, ma non sono stupita dal fatto che Kristoff abbia fatto un copia incolla di tantissimi espedienti di trama di altr3 autor3, fra cui Marissa Meyer e persino Asimov. E in effetti l’unico colpo di scena che funziona davvero è quello finale, poiché la mia impressione è stata che gli altri fossero tutti telefonati. 

Assieme a questa nota dolente, secondo me il difetto maggiore del libro è che ci siano troppi elementi inverosimili o non spiegati: la fantascienza richiede un certo grado di approfondimento su certe questioni, qui Kristoff non spiega mai come funzionino i sembianti, che sono altissimi, purissimi, levissimi, invincibili, indistruttibili, ma sono anche capaci di rigenerare parti del loro corpo, hanno un cuore che batte e sangue nelle vene. Come sia possibile conciliare le due cose l’autore non lo spiega mai, né accenna a farlo e per me questo è un grande difetto in un libro di fantascienza. L’ultimo difetto secondo me si manifesta nelle scene finali, in cui Eve prende una decisione che a mio parere non è in linea con tutta la sua costruzione psicologica precedente, vedremo se la cosa verrà resa credibile nei seguiti. Anche alcuni anacronismi, specialmente quelli legati al fanatismo religioso, non sono stati particolarmente convincenti, li ho trovati eccessivamente marcati in una società futuristica. 

Vi parlerò presto degli altri due libri, che ho già in lettura. Per adesso, di questo primo libro posso dire che, pur non essendo un capolavoro, è una lettura piacevole.

lunedì 24 ottobre 2022

Upper World

Ciao, bellezze! La recensione di oggi riguarda un romanzo che ho letto grazie alla mia amica Bea, che ha organizzato l’evento, e alla casa editrice che mi ha gentilmente fornito il libro per la lettura in anteprima. Bando alle ciance.




  • Titolo: The Upper World
  • Titolo originale: The Upper World
  • Autore: Femi Fadugba
  • Traduttrice: Roberta Verde
  • Codice ISBN: 978-8804734789
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama

Due adolescenti, una generazione di distanza, due vite destinate a collidere nel corso (e al di fuori) del tempo. Oggi. Esso, quindici anni, ha un dono: riesce a essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. E questa sua straordinaria capacità lo ha proiettato nel bel mezzo di uno scontro tra due gang rivali della periferia londinese. Tutto ciò che desidera è arrivare sano e salvo al weekend. Ma un colpo alla testa ricevuto durante un incidente lo fa accedere a un luogo al di fuori del tempo e dello spazio dove riesce a scorgere frammenti del suo passato e del suo futuro. Se ciò che ha visto si avvererà, non ci sarà scampo per lui e per i suoi amici, a meno che non riesca, prima o poi, a cambiare il corso della storia grazie all'aiuto di una persona. Il problema (non da poco) è che quella persona non è ancora nata… Domani. Rhia, orfana quindicenne, non fa che tormentarsi con continue domande sul proprio passato. E tutto si aspetterebbe tranne che le risposte siano custodite proprio dal suo nuovo tutor di fisica. Il professor Esso, però, non è capitato nella sua vita per caso, solo per assicurarsi che lei faccia correttamente i compiti. L'uomo in realtà ha bisogno del suo aiuto per porre rimedio a una tragedia avvenuta quindici anni prima. E forse proprio lui, che sembra essere la chiave per comprendere il passato di Rhia, sarà fondamentale per avere un futuro per cui vale la pena lottare.

Recensione e commento

Ho diverse cose da dire su The Upper World, un romanzo che presenta elementi di assoluto pregio assieme ad alcune ingenuità dovute all’inesperienza dell’autore come romanziere. 

L’autore
Partiamo con l’evidenziare che questo libro ha due obiettivi principali: il primo è quello di dare rappresentazione a tutta quella fascia di popolazione che è sempre stata spalla comica o star del basket nelle commedie, ovvero la comunità nera delle periferie; il secondo è quello di costruire una trama attorno alle leggi fisiche preferite dell’autore. Qui arrivano gli elementi di pregio assoluto a cui accennavo, perché, per una volta, l’autore sa davvero di che cosa sta parlando, si vede che è laureato in fisica e non ha solo guardato dei video divulgativi. Ha una reale, profonda conoscenza dei temi che tratta, al punto che si ritrova a mettere delle appendici a fine libro, affinché chi lo desidera possa approfondire, senza che la trama venga appesantita da troppe spiegazioni. Allo stesso tempo, i concetti di filosofia e psicologia che vengono collegati alla fisica sono molto più scolastici e costellati da qualche frettolosa imprecisione.

La fisica e, più in generale, la conoscenza che Fadugba vuole inserire nella trama hanno chiaramente dei risvolti sulla caratterizzazione dei personaggi: se ha senso che Esso, essendo un professore, si districhi con maestria fra le leggi della fisica teorica (ho il sospetto che la sua sia in realtà la voce dell’autore…), dall’altro ò un po’ forzato che alcuni adolescenti mostrino la stessa conoscenza dopo uno studio scolastico. I personaggi stessi presentano luci e ombre, perché è senza dubbio interessante che non siano i classici stereotipi (il giocatore di basket, la spalla comica…), dall’altra sono a tratti un po’ bidimensionali, e rischiano, nonostante le situazioni a rischio che vivono nella periferia disagiata, di fidarsi troppo spesso della prima persona che fornisce loro delle informazioni non verificate, o di non porsi delle domande quando dovrebbero, perché per fini di trama serve che non si chiedano troppe cose o che lo facciano solo più avanti. Nella storia, poi, è presente anche un personaggio disabile e, per quanto la sua rappresentazione non sia problematica, perché non è costellata di pietismo (clicca qui per leggere la recensione di un libro con rappresentazione problematica della disabilità), ma ci si dimentica con troppa facilità che lo è, perché non viene mai mostrata in azione. La sua cecità viene nominata solo in due occasioni, ma chi legge non ha l’occasione di farne esperienza attraverso la percezione del personaggio, un vero peccato. 

Tutto questo, nell’insieme, da un po’ un effetto di ingenuità nella stesura del romanzo, che ha delle buone idee, ma la trama va solo verso lidi già esplorati dalla fantascienza, sebbene si sentisse il bisogno di un romanzo di questo tipo che mostrasse un intero cast di personaggi afroamericani, in cui è il bianco a dare nell’occhio. Le guerre tra gang vengono raccontate, ma in maniera molto edulcorata e il messaggio finale di accettazione del passato per poter vivere un futuro migliore, assumendosi le proprie responsabilità in un contesto che minaccia di trascinarti più in basso possibile, può apparire retorico senza il viaggio interiore che i personaggi svolgono per arrivarci. 

The Upper World è nel complesso un romanzo piacevole e scorrevole, adatto alle persone appassionate di scienza, ma che potrebbe annoiare chi invece non la sopporta. Il finale è chiuso, ma lascia comunque spazio per un seguito che sono molto curiosa di leggere. 

venerdì 21 ottobre 2022

Pax

  • Titolo: Pax
  • Titolo originale: Pax
  • Autrice: Sara Pennypacker
  • Illustratore: Jon Klassen
  • Traduttore: Paolo Maria Bonora
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8817093989
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama

Da quando Peter, dodici anni, ha trovato il volpacchiotto Pax, i due sono sempre stati inseparabili. Un giorno accade l'impensabile: il padre di Peter si arruola per andare in guerra e costringe suo figlio a lasciare la volpe sul ciglio di una strada. Il ragazzo obbedisce, ma non appena arriva a casa del nonno dove è destinato a vivere, capisce di aver fatto l'errore della sua vita. Così parte per ritrovare il suo migliore amico. Un percorso di cinquecento chilometri che gli porterà avventure, guai e amicizie: un viaggio che lo farà crescere. Pax lo aspetta, e nel frattempo scopre luci e ombre della libertà. Tutti e due non vedono l'ora di ritrovarsi, però quel momento non sarà affatto come avevano immaginato. Età di lettura: da 9 anni.

Recensione e commento

Pax è un libro co un significato speciale per me, perché oltre a essere uno dei miei libri del cuore, mi è anche stato regalato da una persona speciale. Ed è forse questo il motivo per cui ho tardato tanto a parlarvene.

È un libro che ho letto almeno un paio d’anni prima di aprire questo blog, per cui per scrivere questa recensione ho dovuto rileggerlo. La prima volta che mi sono approcciata a Pax, e non esagerato, ho pianto letteralmente da pagina 1, perché Sara Pennypacker è sempre in grado di raccontare delle storie al tempo stesso adatte al target, ma così struggenti da spezzare il cuore (qui la recensione di Qui nel Mondo reale). In effetti, penso che questa recensione sia molto sottotono rispetto al solito, perché è complicato per me trovare un modo per parlare di qualcosa di così emotivamente toccante per me, perché ho la sensazione di banalizzare, cioè esattamente ciò che voglio evitare, ma cercherò di fare del mio meglio almeno per farvi capire quanto questa lettura sia stata importante nella mia vita.

Pax è un romanzo ricchissimo di contenuti e interpretazioni, che però vengono sempre veicolate attraverso la storia: non è necessario vederci significati nascosti, se non si vuole, perché la trama basta a sé stessa.

Tuttavia, cerco di parlarvi di cosa ci ho visto io. Peter è un ragazzino che si sta affacciando lentamente all’età adulta senza avere dei punti di riferimento attendibili per lui: sua madre è morta da poco e suo padre non si occupa molto di lui al di là delle necessità puramente fisiche. L’unico sprazzo di gioia nella sua solitudine, percepibile in modo così chiaro da spezzare in due, è Pax, la volpe che ha adottato perché l’unica sopravvissuta della sua cucciolata. Finché non si trova a dover abbandonare il suo amico Pax perché sta arrivando la guerra, suo padre deve arruolarsi e intende spedire Peter da suo nonno. Il pentimento dell’abbandono porterà Peter ad attraversare mari e monti per ritrovare la sua volpe, compiendo un viaggio dell’eroe molto diverso da quello canonico. 

In effetti, la mascolinità tossica è uno degli argomenti maggiormente trattati nel libro: Peter è stanco della rabbia di suo padre e non intende diventare come lui, non intende portare avanti un trauma generazionale che lo costringe a trascinarsi dietro degli stupidi dogmi sui maschi che fanno le cose in un certo modo e su mele che non cadono mai lontane dall’albero. Le figure femminili nel libro sono tutte molto positive, a partire dalla madre che si porta nel cuore, e spaziano dalla guaritrice alla guerriera. Insegnano tutte a costruire qualcosa, invece di distruggere tutto con la guerra, e a indirizzare la rabbia per ergersi contro le ingiustizie, invece che per imporre la propria opinione. Parla di decostruzione degli stereotipi un passo alla volta, senza dividere il mondo in due, in un continuo noi contro loro e lo fa mostrando quanto Peter soffra a causa della rigidità di costumi che lo circonda. In entrambe le letture che ho fatto di questo romanzo ho trovato dilaniante la sofferenza di questo bambino non ascoltato e trascurato, dato per scontato, mi ha distrutta e fatta arrabbiare, ache se la seconda volta ero più preparata e non ho pianto. Ho provato ogni sua emozione come fosse la mia ed è uno dei libri più tristi che abbia mai letto in vita mia, ma l’ho trovato necessario. 

In Pax troviamo tutto, non solo il tema della mascolinità che deve cambiare affinché si smetta di creare adulti danneggiati e dall’emotività rachitica, c’è anche il rapporto con la natura, il superamento del trauma e l’affrontare il lutto. Ma soprattutto, l’amore in forma non romantica, quello senza confini che non si impone, ma lascia andare l’altrə per la sua strada, affincé possa decidere da sé se tornare o no. Parla di trovare un posto dove sentirsi a casa, un posto che a volte non è un luogo, ma una persona.

Pax è un libro così bello che lo avrei sottolineato tutto, pagina per pagina, così struggente e delicato nell’affrontare temi tristi e complicati che mi sento di consigliarlo a ogni fascia di età, non solo ai bambini, ma soprattutto ai genitori . Decisamente, uno dei miei libri del cuore che non abbandonerà mai il mio scaffale.

martedì 18 ottobre 2022

Scholomance - La Prova finale

 Ciao, bella gente! La recensione di oggi riguarda un libro che ho letto per un review party organizzato dalla mia amica Bea per Mondadori. Ringrazio tantissimo entrambe e incominciamo subito.

  • Titolo: Scholomance - La Prova finale
  • Titolo originale: The last Graduate
  • Autrice: Naomi Novik 
  • Traduttrice: Simona Brogli
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804731610
  • Casa editrice: Mondadori

Trama

“Nella saggezza troveremo rifugio": così recita il motto della Scholomance. Qualcuno potrebbe persino sostenere che sia vero – peccato che qui la saggezza sia difficile da trovare, figuriamoci il rifugio… La nostra amata scuola, infatti, da sempre fa del suo meglio per "divorare" noi studenti, ma ora che sono arrivata all'ultimo anno e mi sono guadagnata in qualche modo una manciata di alleati, mi sono accorta che la Scholomance ha sviluppato un desiderio molto particolare… per me. E sebbene finora sia sempre riuscita a contrastare le ondate infinite di nefasti che mi ha scagliato contro tra un estenuante compito a casa e l'altro, non ho idea di come io e i miei compagni riusciremo a sopravvivere alla prova finale, il giorno del diploma. Certo, io potrei accettare il mio destino, abbracciare la stregoneria nera e salpare per acque molto meno pericolose. Sarebbe facile. Ma non ho intenzione di mollare. Non cederò ai nefasti né al destino. E soprattutto non alla Scholomance. Riuscirò a portare me e i miei amici fuori da questo posto orribile una volta per tutte, fosse l'ultima cosa che faccio.

Recensione e commento

Che viaggio, questo libro! Non è semplicissimo parlarvene, ma farò del mio meglio. 

Una delle bellissime fanart che ho trovato sul web

Tanto per cominciare, vi ricordo che Scholomance -  La Prova finale è il secondo libro di una trilogia (qui trovate la recensione del primo) e devo dire che a me è piaciuto tantissimo, eppure non me la sento di consigliarlo universalmente, perché ha delle caratteristiche peculiari che, per quanto a me siano piaciute, per altre persone, invece, potrebbero risultare estremamente fastidiose. Per cui questo articolo ha più l’obiettivo di farvi capire se questa trilogia può fare al caso vostro che elencare semplicemente pregi e difetti.

Innanzitutto, la protagonista, El, è una ragazza sarcastica, a tratti un po’ megalomane (tratto tipico degli adolescenti, ammettiamolo) e spesso le capita anche di essere overpowered. E l’ho amata. Amo il suo sarcasmo e il suo cinismo, li trovo credibili, El è una persona che ha bisogno di essere convinta, non è una che si accontenta, ma è un personaggio con cui non è semplice ritrovarsi, bisogna avere una certa compatibilità con il suo carattere per trovarla sopportabile, altrimenti risulta solo fastidiosa. Devo dire che, che vi sia simpatica o meno, El non è una protagonista generica, non è intercambiabile con quella di altri young adult, ha una personalità davvero inconfondibile, riconoscibile fra mille. Anche Orion, il coprotagonista, è abbastanza fuori dai canoni, perché nonostante sia un guerriero (si chiama Orion, che fantasia…) ha dei comportamenti da adolescente, ha bisogno di tenerezza e talvolta di essere preso per un orecchio per costringerlo a fare i compiti, uscendo molto dal canone del maschio alfa che non deve chiedere mai. 

Seconda cosa che ho adorato, ma che oggettivamente parlando per le persone normali e non affette da sindrome della pecora nera come me risulterebbe difficile da digerire, è l’approfondimento del sistema magico. La Scholomance è a tutti gli effetti una scuola di magia e ogni singola molecola di incantesimo, ogni punto di un sortilegio, ogni minuzia che riguardi anche soltanto di sfuggita la magia viene sviscerata e spiegata quasi in modo accademico. La conseguenza consiste in pagine e pagine e pagine di lunghe spiegazioni, in cui El rompe la quarta parete e si rivolge, in modo spesso colloquiale e informale, a noi che stiamo leggendo, talvolta come se fossimo al pari di lei e sapessimo di cosa sta parlando, specialmente quando la questione riguarda i mostri che popolano la scuola: le loro descrizioni sono inesistenti, ci viene fornito solo qualche piccolo dettaglio, di tanto in tanto, durante l’azione, ma non abbiamo mai un quadro completo, proprio perché la voce narrante mette chi legge sul suo stesso piano. Queste lungaggini non aiutano il libro a sembrare snello, eppure l’ho divorato, perché la struttura è abbastanza solida, oltre al fatto che ci viene chiaramente spiegato, fin dal titolo, che il clou della trama sarà concentrato tutto sul finale. Infatti, La Prova Finale inizia (perdonate l’ossimoro) esattamente dal punto in cui era terminato il libro precedente e racconta, quindi, un interno anno scolastico, con i conseguenti ritmi dettati da esami, interazioni sociali e ore di studio. Tutto ciò, nel suo insieme, sarebbe a tutti gli effetti un normale anno scolastico, ma a renderlo speciale è proprio il fatto che ogni materia di studio che ci viene raccontata, ogni esame che ci viene spiegato nel dettaglio che se anche noi dovessimo prepararci per superarlo, riguarda la magia e il sistema magico. 

Eppure, rispetto all’anno precedente ci sono dei cambiamenti nella Scholomance, perché se prima ogni scelta era dettata dall’individualismo, quest’anno si comincia a fare gruppo e a lavorare di squadra, quindi una grossa fetta del libro è concentrata anche sulle spiegazioni delle strategie, delle alleanze per il diploma, dei cambi di programma. I colpi di scena sono pochi e in qualche modo ci vengono annunciati con anticipo, eppure, secondo me funzionano se questo tipo di libri vi piace. 

Nota dolente: il worldbuilding è un aspetto che avrebbe avuto bisogno di maggiore attenzione, e invece gliene viene dedicata solo quando la spiegazione del sistema magico ricade sull’ambientazione. Mi spiego meglio: molti aspetti del worldbuilding sono spesso solo accennati, anche quando sono interessanti, e ci vengono raccontati per bene solo quando la spiegazione della magia li riguarda in qualche modo, altrimenti restano irrimediabilmente abbozzati.

Altro aspetto che potrebbe inibirvi dal voler cominciare subito questa trilogia è la chiusura con cliffhanger, che, per quanto mi abbia dato fastidio, è stata tuttavia necessaria e in un certo senso prevedibile, con il senno di poi, date le premesse della trama. Comunque questo difetto, se lo ritenete tale, nel mio cuore è stato compensato dalla presenza di una scena erotica tra due adolescenti vergini realistica e credibile. Ooooh, ci voleva tanto?

E in effetti, se penso ai due libri nel complesso, forse è proprio il loro generale cinismo ad avermi convinta, la loro spietatezza, il fatto che per una volta ci siano sporcizia, sudore, egoismo e che vada bene così, senza ipocrisie interpersonali e con tante dinamiche credibili nella loro crudezza. Ed è forse questa generale mancanza di meraviglia, di scintillio, che a me è piaciuta ma che potrebbe risultare sgradevole a voi, se cercate nella lettura un luogo piacevole in cui rifugiarvi. Per quanto Scholomance sia un esercizio di stile, un manierismo, cosa che in genere non apprezzo, questa volta sono stata convinta proprio dal voler creare qualcosa che funzionasse proprio in questi aspetti.

Scholomance - La Prova finale è un romanzo che ho adorato, ma che non consiglio a chi ha voglia di qualcosa di incalzante e pieno di colpi di scena. Se amate l’approfondimento e la lentezza farà sicuramente al caso vostro, non vedo l’ora che esca il terzo. 

mercoledì 12 ottobre 2022

Legend

  • Titolo: Legend
  • Titolo originale: Legendary
  • Autrice: Stephanie Garber
  • Traduttrice: Maria Concetta Scotto di Santillo
  • Codice ISBN: 978-8817143448
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama

Dopo la travolgente avventura nel mondo magico e misterioso del Caraval, Donatella Dragna è riuscita finalmente a sfuggire al padre e a salvare la sorella Rossella da un disastroso matrimonio combinato. Ma Tella non è ancora libera; per ritrovare la madre Paloma ha stretto un patto disperato con un criminale misterioso, che vuole in cambio qualcosa che solo lei può dargli: il vero nome di Legend, il Mastro di Caraval. L'unica possibilità per scoprire il vero nome di Legend è vincere il nuovo Caraval, che si terrà a Valenda, l'antica capitale dove una volta regnavano i Fati, in occasione del genetliaco di Elantine, la sovrana dell'Impero di Mezzo. Tella dovrà quindi immergersi di nuovo nella competizione magica, tra le attenzioni di un inquietante erede al trono, una storia d'amore impossibile e una ragnatela di segreti, tra cui anche quelli di Rossella. Se fallirà non potrà mantenere il suo patto e rischierà di perdere tutto, compresa forse la vita. Ma se vincerà, Legend e il Caraval saranno distrutti per sempre.

Recensione e commento

Ho dovuto riflettere per un paio di settimane su cosa scrivere dopo aver terminato Legend, perché nonostante io non sia riuscita a mettere giù il libro neanche una volta per il bisogno di bermelo tutto d’un fiato, al contempo ho trovato tantissimi difetti che mi hanno fatto apprezzare molto meno la lettura rispetto a Caraval

Da un lato, in questo libro scritto dal punto di vista della sorella minore, Donatella, ho apprezzato tantissimo l’approfondimento del worldbuilding: nel primo libro ci è stata mostrata solo una piccola parte dell’isola natale delle due sorelle e il circo di Caraval, qui, invece, scopriamo qualcosa di più sull’assetto della società, le sue leggende, le tradizioni, la religione, la mitologia e l’ambientazione in senso stretto, dall’altro lato, ho apprezzato veramente poco le dinamiche tra personaggi e la loro caratterizzazione. 

Donatella, ad esempio, nel primo libro mi era sembrata una sorella devota che non vacilla mai nella sicurezza dell’amore di Rossella, da qui in poi (ed è una caratteristica che ho riscontrato anche in Finale, di cui vi parlerò presto) mi è sembrato che cominciasse a tirare troppo la corda e a dare per scontato il suddetto amore. In particolare, non ho apprezzato come alla fine della fiera, Rossella, una ragazza giudiziosa, coraggiosa e disposta ad andare oltre i propri limiti, che ha rischiato tutto per Donatella, sia rimasta solo una comparsa nella trama, come se Caraval fosse stato solo il prologo per la storia della sorella minore, che si scopre potentissima, altissima, purissima, levissima. Un po’ come il factotum della città, tutti la chiedono, tutti la vogliono, donne, ragazzi, vecchie e fanciulle, anche se non si sa bene per quale motivo, perché troppi elementi del l’intreccio sono campati in aria. Gli antagonisti della storia, ad esempio, potrebbero essere i cattivi della Melevisione, per quanto sono abbietti e malvagi (sarcasmo). Nonostante sia proprio la ricerca del vero cattivo della storia, Donatella è indecisa sempre e solo tra due persone, nonostante le strade da intraprendere fossero molteplici: un qualsiasi personaggio secondario visto di sfuggita avrebbe potuto essere in realtà colui o colei che tirava le fila, ma no, l’indecisione è sempre tra due sole persone e non viene smentita sul finale. Ad essere stata smentita sono io, che speravo fino alla fine un colpo di scena che non è arrivato. La tossicità delle relazioni, poi, è la cosa che maggiormente mi ha fatto storcere il naso: i legami di sangue da mettere sopra tutto e tutti, anche quando non sono salutari, anche quando le persone che chiamiamo genitori ci hanno ferite, umiliate e abbandonate. Ecco, mi aspettavo di meglio dopo aver letto la conclusione di Caraval

Tuttavia, sebbene la trama sia più debole rispetto al primo libro della trilogia, la prosa di Garber appare migliorata e meno macchinosa, specialmente sotto l’aspetto delle sinestesie e delle metafore, ed è probabilmente proprio l’aspetto che rende Legend tanto ritmato e impossibile da mettere giù nonostante i difetti. È evidente che Garber sappia scrivere, perché riesce a rendere affascinante anche ciò che scritto da un’altra autrice risulterebbe pacchiano (i tatuaggi da galeotto di Dante? Ne vogliamo parlare? Mal di Tenebre e Ossa è diventato uno zimbello per molto meno).

In sostanza, Legend è un libro che ho adorato sotto il punto di vista dell’intrattenimento, molto migliorato rispetto al libro precedente, ma verticalmente peggiorato sotto alcuni aspetti centrali. Ho già cominciato la lettura di Finale e vedrete presto su questi schermi dove andremo a parare.

martedì 11 ottobre 2022

I nostri Cuori perduti

 Bellissima gente, siamo qui oggi per parlare di un libro che, ve lo anticipo, ho amato. Devo ringraziare Patrizia per aver organizzato l’evento, e la casa editrice per avermi dato la possibilità di leggerlo in anteprima.


  • Titolo: I nostri Cuori perduti
  • Titolo originale: our missing hearts
  • Autrice: Celeste Ng
  • Traduttrice: Federica Aceto
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804753322
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama

Bird è un ragazzino di dodici anni che vive a Cambridge, Massachusetts, con suo padre, un ex linguista ora impiegato nella biblioteca universitaria di fronte a casa. Sua madre, Margaret, una poetessa di origini cinesi, li ha abbandonati quando lui aveva solo nove anni in circostanze misteriose, dopo che una sua poesia è diventata il manifesto dei dissidenti contro le leggi in vigore. Leggi autoritarie, volte a preservare "la cultura e le tradizioni americane", a bandire i libri o le forme d'arte non allineati, e a "ricollocare" i figli dei soggetti sovversivi. In questo clima di paura, Bird sa che non deve fare domande; è cresciuto rinnegando sua madre e le sue poesie, ma quando riceve una lettera al cui interno c'è un foglio cosparso di minuscoli gatti disegnati, capisce che si tratta proprio di un suo messaggio in codice. Inizia così l'affannosa ricerca per ritrovarla. Partendo dalle storie che lei gli raccontava da piccolo, attraverso una rete clandestina di bibliotecari che aiuta le famiglie dei bambini rapiti, Bird approda a New York, dove un estremo atto rivoluzionario può cambiare il futuro per sempre. Come "Il racconto dell'Ancella", "1984" e "Fahrenheit 451", "I nostri cuori perduti" è una metafora di come le comunità all'apparenza avanzate ignorino l'ingiustizia più palese. Un perfetto capolavoro distopico, che racconta il coraggio di vivere in tempi bui con il cuore intatto. E un testamento prezioso sul potere intramontabile dell'amore, della letteratura e della speranza.

Recensione e commento 

L’autrice 
Trovare le parole per parlare di un libro che si è amato fino a questo punto è difficilissimo. Ho iniziato la lettura di I nostri Cuori perduti senza grandissime aspettative: io amo le distopie e quando le leggo, spesso preferisco farlo a scatola chiusa, senza sapere la trama in anticipo, voglio partire a tabula rasa. Ebbene: mi ha stupita vedere che I nostri Cuori perduti non parla di un futuro, anche prossimo, ma del nostro presente o passato recente.

Quando ho terminato la lettura ero sull’orlo delle lacrime, perché questo romanzo è così tecnicamente ben fatto da avere poco bisogno di spiegazioni e per questo motivo riesce a essere emotivamente toccante in modo lineare, senza neanche un incidente. Credetemi, io ne ho lette, di distopie, e non c’è stato un solo momento in cui sia riuscita ad anticipare i colpi di scena o indovinare la trama. Tutto è stato inaspettato e naturale al tempo stesso, come la vita. Il flusso di coscienza si trasforma senza soluzione di continuità in discorso diretto slegato libero e, se questo espediente in altri romanzi può risultare di difficile fruibilità, sicuramente non lo è qui, dove è il modo migliore per fare arrivare i personaggi a chi legge, senza filtri. 

I nuclei tematici di I nostri Cuori perduti sono tantissimi e spesso si ibridano a vicenda. Si passa da pesanti crisi economiche che mettono in ginocchio un intero Paese, che cerca di dare la colpa della propria sfortuna a uno Stato straniero, accusato di manipolarne l’economia. In un clima fortemente xenofobico, alimentato dal Governo stesso, non stupisce che le aggressioni a persone dai tratti somatici asiatici siano in forte aumento. Questo tema nello specifico ha stuzzicato tante ferite aperte nel mio cuore, perché il parallelismo con le aggressioni sinofobiche durante (e dopo) la pandemia che abbiamo vissuto e stiamo a ancora vivendo non sono casuali. Mi sono tornate alla mente le piccole discriminazioni di bianchi che non volevano sedersi accanto a bambini asiatici sul treno, a ristoranti cinesi e giapponesi costretti a chiudere per via delle minacce e dei mancati incassi, alle vere e proprie aggressioni per strada. Mi ha fatto male come questo romanzo mi abbia mentito per raccontarmi la verità. Anzi, non me l’ha solo raccontata: me l’ha sbattuta in faccia in modo da rendermela talmente innegabile che quasi è stato insopportabile. Mi ha fatto viver disagi che non ho mai sperimentato sulla mia pelle, incluso quello dell’isolamento, delle strade deserte e del loro silenzio assordante. Perché per me il 2020 è stato un momento di rinascita, ma non è stato così per tutto il mondo, e I nostri Cuori perduti mi ha dato l’opportunità di comprendere appieno qualcosa che conoscevo solo a livello concettuale. 

La cover originale
Eppure, per quanto dolorosa, è stata una lettura necessaria. Ha raccontato la responsabilità dei media nel modo di raccontare le informazioni, di come tutte le numerose aggressioni a danno di persone asiatiche fossero sempre casi isolati portati avanti da mele marce, mentre il contrario era sempre sintomo di qualche atto terroristico bloccato sul nascere. Di come non puoi chiedere aiuto a nessuno quando il sistema è costruito appositamente per prendersela con persone come te. Ha perfettamente senso, quindi, che tutta la prima parte del libro sia narrata dal punto di vista di Bird, un bambino di 12 anni che vive tante piccole ingiustizie sulla sua pelle da così tanto tempo da averle normalizzate, per quanto ancora gli facciano male. Sente dentro di sé che quello che vive ogni giorno non è giusto, che c’è di più, eppure non ha gli strumenti per fare qualcosa, nemmeno per lamentarsene. E visto che i bambini sono la voce della verità, la sua visione priva di sovrastrutture è stata quella più delicata e al tempo stesso crudele nel mostrare tutto quello che, giorno dopo giorno, gli è stato strappato via. 

Questo è stato uno dei rari casi in cui “pensate ai bambini” è un concetto che ha davvero avuto valore: i figli qui vengono utilizzati come arma di ricatto per far tacere genitori che protestano a voce troppo alta e che vogliono un mondo migliore proprio per le creature che hanno messo al mondo. E allora arriva un complesso discorso sulla genitorialità: cosa devono fare le madri e i padri? Insegnare ai figli a combattere con le unghie e con i denti, fino alla morte, oppure educarli a tenere lo sguardo basso, non attirare l’attenzione e sopravvivere senza mai alzare la voce? Non c’è una risposta giusta, univoca. So solo che tutte le decisioni prese dai genitori di questo romanzo, padri o madri che fossero, mi sono sembrate ugualmente giuste, valide. Estremamente condivisibili, anche quando si trovavano agli antipodi. 

Ed è proprio tramite il silenzio dei genitori che sperano di rivedere i propri figli che passa il messaggio dell’importanza della parola e della sua assenza. Di quanto ogni singola volta che tacciamo stiamo facendo un favore al potente, di quanto le informazioni che adesso possiamo raggiungere con tanta facilità, non siano da dare per scontate. Perché in un perfetto mix tra Fahrenheit 451 e 1984, qui i libri vengono bruciati, talvolta per celare segreti e non consegnare persone all’aguzzino, talvolta per distruggere il pensiero divergente. I nostri Cuori perduti mostra un mondo in cui in Grande Fratello non è un’entità esterna ed estranea, superiore, ma siamo tutti noi, controllandoci a vicenda e denunciandoci non appena notiamo la diversità, diventata sinonimo di pericolo. Qui arriva l’importanza delle parole nel loro percorso, nel modo che hanno trovato per arrivare fino a noi, tramite un dizionario o una storia. Di come siano l’unica vera soluzione, molto più alta della repressione e del rumore della violenza. Dell’importanza di poter raccontare la propria storia personale, senza soffocarla, della libertà di poter raccontare la propria individualità difendendo il diritto di non essere trasformati in simboli o martiri. Questo aspetto è probabilmente quello che ho preferito, al di là del fattore emozionale: I nostri Cuori perduti non è un libro polarizzato, perché mostra sì le brutture di una dittatura, ma anche la durezza della resistenza. Insegna quando entrambi gli aspetti rischino di togliere individualità, strumentalizzando le storie personali. Riesce a mostrare tutte le sfumature della realtà, prendendo una posizione chiara, ma non piatta.

In effetti, è proprio la propaganda, da una parte e dall’altra, un altro dei nuclei tematici del romanzo. Le persone non sono simboli. Sono persone. Con tutto ciò che comporta. La trasformazione in un simbolo che porta la strumentalizzazione della propaganda si perde tutti i milioni di piccole sfumature di un individuo ed è su questo che ci si basa quando si cerca di spersonalizzare qualcuno: se non pensiamo all’alrt* come persona allora possiamo commettere le peggiori atrocità senza sentirci in colpa. Senza pensare di aver commesso qualcosa di sbagliato e se ci voltiamo dall’altra parte, non abbiamo fatto nulla di grave. 

Quindi è un libro perfetto? Sì, o ci va vicino. Ho trovato solo due difettucci, uno dei quali non dipende dalla penna dell’autrice. Il primo è che, a mio parere, il sistema scolastico viene attaccato in modo troppo feroce e la trovo una cosa molto mainstream, specie negli Stati Uniti, quando agli insegnanti, categoria molto bistrattata, era stata data persino la colpa della crisi economica del 2008. Il secondo difetto dipende più dalla traduzione che dall’autrice, anche se parliamo di sottigliezze. Personalmente, non avrei convertito i pollici in centimetri. Mi ha fatto tornare in mente che George Orwell il 1984 optava per l’utilizzo del sistema metrico, al posto del sistema imperiale britannico, proprio per indicare la perdita dell’identità nazionale da parte del Regno Unito. Qua succede un po’ il contrario, volendo fare le equivalenze in centimetri dei pollici e di molti altri elementi (come le classi del sistema scolastico); così facendo si perde un po’ il contesto culturale e potremmo essere ovunque, cosa che può essere sia un pregio che un difetto. 

I nostri Cuori perduti mi resterà dentro molto a lungo. È una lettura che è arrivata dritta al punto in modo efficace e diretto. Una ferocissima critica agli Stati Uniti d’America, che può essere diretta a ogni altro Paese. La maestria dell’autrice mi ha lasciato la voglia di leggere tutto quello che ha scritto, sperando che faccia breccia nel mio cuore come ha fatto questo libro, che mi ha insegnato tanto, semplicemente raccontandomi una storia, non una favola.

mercoledì 5 ottobre 2022

Una Storia di Sortilegi

  • Titolo: Una Storia di Sortilegi
  • Titolo originale: A Tale of Sorcery
  • Autore: Chris Colfer
  • Traduttore: Tommaso Varvello
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN:
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama

È passato quasi un anno da quando Brystal ha stretto un patto con la Morte per annientare l'Immortale in cambio della sua vita, ma non ha ancora trovato un solo indizio su chi sia o dove si trovi questa misteriosa creatura. A peggiorare il quadro, qualcosa di oscuro e maligno sgorga dalle viscere della Terra e terrorizza l'intero universo. Qualcosa che proviene da un mondo di fuoco e caos. Per fermare il nuovo pericolo, le fate, le streghe e gli alchimisti devono collaborare con tutti i Regni e i Territori e in questa epica lotta incontreranno validi guerrieri disposti a tutto pur di aiutare la magia a trionfare. Stregoneria, magia e scienza si scontrano nell'elettrizzante terzo libro della serie "Storie di Magia". Età di lettura: da 10 anni.

Recensione e commento

È la terza volta che scrivo e cancello l’introduzione di questa recensione, perché trovare le parole adatte a parlare di Una Storia di Sortilegi è più difficile del previsto, dal momento che ho tantissime cose da dire e tutte positive. È inusuale per me non riuscire a trovare nemmeno un difetto, eppure eccomi qua a dire che questo libro è praticamente perfetto.

Il primo dei mondi di Colfer
In questo capitolo conclusivo della trilogia sono numerosissime le situazioni di conflitto da risolvere, la trama è pregna di eventi e per questo motivo il ritmo è incalzante, ma se nei libri precedenti la protagonista era Brystal, che a volte risultava anche un po’ overpowered, Una Storia di Sortilegi è quasi un romanzo corale, non solo perché ogni singolo personaggio ha la propria voce ben definita e inconfondibile, ma anche perché il peso della trama non sarà tutto sulle spalle di Brystal. Anzi, avrà bisogno di aiuto in numerose situazioni che saranno risolte da altri. L’elemento della coralità, del mondo da salvare con uno sforzo comune, ha particolarmente senso se si considera la chiave di lettura del romanzo: se Una Storia di Magia parlava di identità sessuale e Una Storia di Stregoneria di salute mentale, questo terzo capitolo ci catapulta in un altro dei più grandi problemi sociali della nostra epoca, ovvero il riscaldamento globale. Problema che non può essere risolto da una sola persona che sventola una bacchetta, ma serve anzi, un enorme sforzo collettivo che travalichi i confini politici e le rivalità contingenti, per cui serve che anche il nemico diventi un alleato. 

In questo, Chris Colfer è veramente il migliore, perché nonostante ogni singolo libro abbia una chiave di lettura al di là del significato letterale, la metafora viaggia sempre di pari passo con il testo, senza che l’una prenda il sopravvento sull’altro o viceversa. È l’equilibrio a rendere questa trilogia inconfondibile e perfetta. In Una Storia di Sortilegi c’è tutto: la trama, il pathos, l’azione, la situazione difficile che non può essere risolta semplicemente uccidendo il cattivo di turno e in tutto questo rivediamo la nostra società in chiave fantasy. Ci sono gli scienziati che tentano di salvare il mondo al di là degli interessi politici, che in quanto esseri umani possono sbagliare, ma che non vengono ascoltati anche quando diciotto giusto. Ci sono tavole rotonde simili al G8 in cui le decisioni prese sono sempre le più semplici, mai quelle corrette e risolutive, ci sono teorie del complotto sempre finalizzate a dare la responsabilità dei propri errori a cause esterne e ci sono persone che vogliono lucrare sulle tragedie.

Il mondo di Una storia di stregoneria
Con tanto materiale a disposizione non stupisce che i generi del fantasy si mescolino, passando dall’intersec fantasy, al quest fantasy con punte di epic fantasy. Eppure, la prosa di Chris Colfer non risulta mai eccessiva, tiene sempre conto del pubblico a cui sta parlando e non tira mai per le lunghe, ma al tempo stesso non sottovaluta il suo target rendendo le cose troppo letterali. Chiaramente un occhio adulto è in grado di leggere più significati, come ad esempio i riferimenti alla cultura queer, basti anche solo pensare che la parola inglese per “fata”, che viene utilizzata colloquialmente per riferirsi agli uomini gay, qui viene utilizzata in particolar modo da un personaggio omosessuale come rivendicazione di ciò che è, senza doversene vergognare. Questo è solo un esempio, ma potrebbero essercene molti altri ed è bellissimo che non ci sia mai bisogno di un eccessivo lavoro sul testo per comprendere. Tutta la trilogia segue questo schema, in effetti, tutti e tre i romanzi possono essere letti come libri di intrattenimento e questo non fa eccezione. Se possibile, la serie già cominciata alla grande con Una Storia di Magia, non ha mai avuto un calo, è stato un crescendo continuo di emozioni e nonostante spesso si sottovaluti il target ragazzi, questa trilogia riesce a fare da sola tutto quello che ci si aspetta da un fantasy innovativo in termini di inclusività, e lo fa senza sforzo. L’autore ha creato un mondo dove tutte e tutti possono ritagliarsi un posto. Colfer mi ha fatta sentire vista, compresa e non ha mai minimizzato le difficoltà vissute dalle protagoniste, che poi sono le stesse che ho vissuto io che che potreste aver vissuto anche voi. Probabilmente è questo il motivo per cui questo libro, al di là del contenuto e dell’esecuzione, resterà per sempre nel mio cuore. 

Nota di merito per la traduzione, davvero coerente e ben fatta nell’arco dei tre libri, anche nella resa dei giochi di parole e nella trasposizione dei nomi. Un lavoro davvero ben fatto che ha consentito una maggiore immersione nella storia.

Colfer, nonostante (o forse in virtù della) sua giovane età, dimostra di essere un autore lungimirante e uno degli uomini più intelligenti della sua generazione, perché riesce a intrattenere mentre educa, con impeccabile equilibrio. Voglio recuperare ogni singola cosa che ha scritto, dopo aver letto e amato questa trilogia che non solo non ha avuto un attimo di défaillance, ma è addirittura andata in crescendo, fino a farmi addirittura scappare la lacrimuccia in più di un’occasione. Non posso che ringraziare Rizzoli per avermi inviato in omaggio tutti e tre i libri e ci vediamo sicuramente alla prossima.


sabato 1 ottobre 2022

Chi ha ucciso Mr. Wickham?

Buongiorno, bella gente! Oggi ci troviamo qui per parlare di una lettura per me insolita, per la quale non posso che ringraziare la mia amica Francesca per aver organizzato l’evento, e la casa editrice Piemme per avermi inviato una copia omaggio del romanzo. Bando alle ciance e cominciamo!


  • Titolo: Chi ha ucciso Mr. Wickham?
  • Titolo originale: The Murder of Mr. Wickham
  • Autrice: Claudia Gray
  • Traduttrice: Cristina Ingiardi 
  • Lingua originale: inglese 
  • Codice ISBN: 9788856686487
  • Casa editrice: Piemme
Trama

Il mondo regency si tinge di giallo. Il romanzo che sarebbe stato scritto se Jane Austen e Agatha Christie avessero preso un tè insieme. E se i più famosi e amati personaggi di Jane Austen si scoprissero detective... o magari assassini? È un'estate molto calda a Donwell Abbey, residenza di Emma Knightley e marito, che, ormai sposati da sedici anni, si godono la meritata felicità, su cui nessuno avrebbe scommesso. Nonostante il caldo, però, i doveri della vita sociale non si fermano: Mrs e Mr Knightley stanno organizzando un summer party, i cui invitati, ivi compresi Elizabeth Bennet e il marito, Mr Darcy, sono pronti a godersi chiacchiere e socialità, conditi naturalmente di tè e buone maniere. Ma c'è qualcuno che non è affatto bene accetto: Mr Wickham, il personaggio più cattivo di Orgoglio e pregiudizio, l'odioso amico di Darcy, che gli altri ospiti, in barba al bon ton, sarebbero ben felici di vedere morto. Eppure restano tutti a bocca aperta quando si ritrovano davanti nientedimeno che il suo cadavere. Adesso che ci è scappato il morto, gli invitati sono tutti nella lista dei sospettati, e tutti sono ugualmente prigionieri della splendida casa di campagna dei signori Knightley, consapevoli che tra loro c'è un assassino. Tra Emma, L'abbazia di Northanger, Ragione e sentimento e naturalmente l'intramontabile Orgoglio e pregiudizio, un irresistibile giallo regency che è anche un gioco letterario in cui figurano tutti, ma proprio tutti, i personaggi più amati di Jane Austen.

Recensione e commento

Chi ha ucciso Mr Wickam? è un interessante romanzo giallo che unisce sotto un unico tetto tutti i personaggi di Jane Austen.

Claudia Gray ha sicuramente grande stima per la grande autrice inglese e tenta di scrivere questo giallo ricalcando le lo stile: ci riesce per quanto riguarda la prosa, molto ricercata e studiata, pungente nello stile famoso di Austen, ma non tanto nei contenuti, che appaiono, invece, più forzati e moderni rispetto alla forma.

La bravissima Claudia Gray
Appare evidente, inoltre, che se Claudia Gray non può definirsi inesperta, dato che ha pubblicato tantissimi libri, sicuramente è meno ferrata nel giallo, rispetto al fantasy, poiché in questo romanzo commette più errori, esattamente quelli che non andrebbero commessi nei romanzi di genere. Ad esempio, è eccessivamente prolissa quando cerca di costruire la suspense, espediente che spesso ha il risultato di stancare chi legge, invece di risultare incalzante. Inoltre, non sempre vengono forniti tutti gli indizi affinché chi legge possa risolvere il mistero da sé: del resto è proprio questa la difficoltà del giallo, creare una storia che stupisca, fornendo però tutte le chiavi che servono. Sotto questo aspetto, il romanzo appare un po’ fiacco, nel suo tentativo finale di avvicinarsi a un’altra grande della letteratura, Agatha Christie.

Tuttavia, non voglio essere troppo severa con questo romanzo, perché non posso definirlo brutto o mal fatto, anche perché sicuramente l’intento dell’autrice era quello di rendere omaggio a Jane Austen restituendo la vita ai suoi personaggi, che sono di fatto il nucleo narrativo del romanzo. Del resto, Chi ha ucciso Mr. Wickham? è indirizzato a un pubblico che già conosce bene le opere della grande autrice inglese, e si dimostra di difficile comprensione per chi non ha bene in mente tutti i personaggi e le storie di Austen. E nonostante ciò, forse Claudia Gray si perde troppo nella loro descrizione, nei loro flussi di coscienza, per risultare godibile sia per chi conosce a menadito che per chi non conosce affatto le opere da cui i personaggi sono tratti.

Un aspetto che ho apprezzato è l’approfondimento di Mr Wickham stesso, qui diventato un cattivo machiavellico, in grado di tirare le fila delle vite di tante persone, ben lontano dal mascalzone un po’ sempliciotto e grezzo di Orgoglio e Pregiudizio.

Chi ha ucciso Mr. Wickham? è un romanzo molto ambizioso, che cerca di coniugare il romanzo storico, il giallo e il pastiche in una sola opera. Gray mi ha sicuramente conquistata con la sua prosa e leggerò altro di suo. 

A Study in Drowning - La Storia sommersa

Titolo: A Study in drowning - La Storia sommersa Titolo originale: A Study in Drowning Autrice: Ava Reid Traduttore: Paolo Maria Bonora Ling...