mercoledì 27 aprile 2022

Piccoli Favori

  • Titolo: Piccoli Favori
  • Titolo originale: Small Favors
  • Autrice: Erin Craig
  • Traduttrice: Giorgia De Santis
  • Lingua originale: inglese
  • Casa editrice: Fanucci
Trama 

Ellerie Downing vive nella tranquilla cittadina di Amity Falls nella catena montuosa del Pugno di Dio – cinque picchi che si innalzano verso il cielo come fossero dita di una mano – delimitata da una foresta quasi impenetrabile di pini alti e stretti. I Downing sono apicoltori da sempre e il miele prodotto dai loro alveari è amato e apprezzato in tutta Amity Falls. Tuttavia, un tempo la vita non era così serena: i primi cittadini hanno dovuto affrontare il Male nei boschi adiacenti ma oggi, per fortuna, le occasioni di scontro sono molto rare. Quando però un carico di rifornimenti scompare, alcuni temono che i mostri che per lungo tempo hanno terrorizzato la regione siano tornati. Mentre l'autunno si trasforma in inverno, movimenti sempre più spaventosi affliggono la città e portano a una tribù di creature diaboliche e mistiche, gli Osservatori Oscuri. Gli Osservatori promettono di soddisfare i desideri più profondi degli abitanti, per quanto smisurati e irrealizzabili, e solo in cambio di un piccolo favore. Ma le loro vere intenzioni sono molto più sinistre. Gli Osservatori Oscuri vagano per il Paese, riducendo in rovina tutto ciò che incontrano. Per salvare il villaggio, Ellerie dovrà scoprire il vero nome del leader degli Osservatori Oscuri, la misteriosa donna vestita di bianco. Si ritroverà così in una corsa contro il tempo prima che tutta Amity Falls, la sua famiglia e il ragazzo che ama vadano in fiamme.

Recensione e commento

Che soddisfazione leggere questo libro! In un periodo in cui si vedono in giro fin troppi libri fast food, Erin Craig ha davvero fatto i compiti a casa ed è un peccato che non sia conosciuta quando autori più affermati ma meno abili.

Partiamo con l’elencare le analogie e differenze tra Piccoli Favori e La Casa di Sale e Lacrime (qui la recensione). In maniera preliminare, va detto che in comune ci sono senza dubbio la trama ben programmata, in cui la voce narrante sa dove ci sta portando e come intende farlo, dove nulla è mai lasciato al caso e la simbologia presente è pregnante nel libro, anche se in Piccoli Favori è meno ingombrante rispetto al primo romanzo dell’autrice. Invece, la palette di colori è diametralmente opposta: se nel primo romanzo di Erin Craig i colori erano gotici, freddi, opprimenti e rendevano perfettamente l’atmosfera del castello e della scogliera nordica in cui si dipanava la vicenda, in Piccoli Favori, invece, a farla da padrone sono i gialli dei fiori, i dorati dei campi e gli ambra del miele. Ed è proprio questa atmosfera bucolica, apparentemente serena che diventa particolarmente inquietante appena accade qualche piccolo evento senza spiegazione. Questo è ciò che Erin Craig sa fare meglio: costruire la tensione poco a poco, in un crescendo destinato a trascinare via chi legge, come una valanga partita da un singolo fiocco di neve. Amity Falls è il classico borgo in cui tutti si conoscono e non succede mai niente (ma se seguite i documentari sui serial killer saprete che questa è sempre la premessa per una strage), in cui la vita comunitaria è basata su sei regole di aiuto reciproco in caso di difficoltà; bisogna sempre aiutare il prossimo, ma l’autrice utilizza proprio gli abitanti della cittadina per mostrare quanto gli esseri umani siano pronti a sbranarsi a vicenda non appena le cose vanno male. Per veicolare il messaggio usa degli elementi soprannaturali, il cui significato metaforico è chiarissimo, anche quando sono perfettamente amalgamati con la trama, senza mai diventare letterali. Effettivamente, anche in questo libro, così come in quello precedente, la presenza di simboli è innegabile, ma forse in modo meno ingombrante e ripetitivo. 

Poiché il mondo secondario in cui si svolge la vicenda è molto simile al nostro, dato che ci troviamo in un’epoca realmente esistita, Craig non deve preoccuparsi di approfondire la mitologia, che era un po’ il lato carente di La Casa di Sale e Lacrime, perché qui è presente il cristianesimo, che chi legge conosce benissimo. I momenti narrativi sono senza dubbio ben scanditi, i turning point sono numerosi e sempre utilizzati in modo sensato, denotando una cura del testo sfortunatamente poco comune nei romanzi dedicati a questo target. La stessa protagonista, Ellerie, rappresenta un po’ un’eccezione nel panorama young adult, poiché la sua più spiccata caratteristica è quella di essere fondamentalmente una brava persona: mentre tutto il villaggio perde la calma e si accusa a vicenda per torti subiti, lei riesce a essere il punto fermo nel mondo che gira. Non ha colpi di testa, è riflessiva e gentile e in un altro contesto verrebbe considerata una protagonista passiva, perché è presente un sovvertimento dello schema del viaggio dell’eroe. Ellerie potrebbe andare via e invece cerca di restare, perché, proprio come ha imparato dall’alveare di cui si prende cura, lo sciame non sopravvive senza la regina a guidarlo e la regina non sopravvive senza lo sciame, per la comunità deve essere tenuta assieme tramite principi etici che per Ellerie non sono un’imposizione, ma sono parte di lei come individuo. 

Se proprio bisogna trovare dei difetti, visto che siamo qui per sviscerare ogni testo che ha la sfortuna di capitare su questi schermi, la storia d’amore appare leggermente casuale, anche se alla fine del romanzo tutto avrà perfettamente senso. In sostanza, Piccoli Favori è un libro leggermente meno godibile come autoconclusivo rispetto a La Casa di Sale e Lacrime, ma sarebbe bastata l’aggiunta di un epilogo per renderlo davvero perfetto. 

Piccoli Favori è un libro imperdibile, assolutamente da leggere, ma vi sconsiglio di farlo prima di andare a dormire, se non volete avere degli incubi…

martedì 26 aprile 2022

La Legge dei Lupi

 Ciao, bella gente! Oggi parliamo di La Legge dei Lupi. Bando alle ciance: ringrazio la mia amica Bea per aver organizzato questo evento e per i confronti durante la lettura, ma soprattutto la ce per avermi dato la possibilità di leggere il libro in anteprima.



  • Titolo: La Legge dei Lupi
  • Titolo originale: The Rule of Wolves
  • Autrice: Leigh Bardugo
  • Traduttrice: Roberta Verde
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804738916
  • Casa editrice: Mondadori 

Trama

Il secondo volume della serie Grishaverse "Il re delle cicatrici". Anche in questo secondo e ultimo volume della dilogia ritroviamo tre dei personaggi più amati del GrishaVerse: Nikolai Lantsov, Zoya Nazyalensky e Nina Zenik. I tre, re, generale e spia di Ravka, dovranno continuare insieme la loro lotta per strappare all'oscurità il futuro del loro paese. Altrimenti non potranno che assistere al suo disfacimento definitivo.

Recensione e commento

La Legge dei Lupi, ormai lo saprete, rappresenta il libro conclusivo della serie dedicata all’universo Grisha e sfortunatamente non è esattamente una degna conclusione. 

Zoya che vince pure MasterChef
La narrazione comincia in modo molto più rapido rispetto al primo romanzo (qui la recensione), che invece impiega almeno metà libro a prendere piede, ma la vera macchia, secondo me è Zoya. Zoya è uno dei primi personaggi che incontriamo in Tenebre e Ossa, in cui si pone subito in antagonismo con la protagonista Alina e da quel momento rimane un personaggio macchiettistico, messo lì esclusivamente per creare conflitto e dare un po’ di pepe alla permanenza dell’Evocaluce nel palazzo dei Grisha. Alla luce di ciò, lo sviluppo di Zoya in questa dilogia appare veramente forzato, troppo rapido e, diciamolo, lei è decisamente overpower. Zoya può tutto, molte delle leggi Grisha che avevamo date per assodate nelle serie precedenti vengono stravolte e contraddette, perché lei è altissima, purissima, levissima, lei piega tutte le leggi della fisica con la sola forza di volontà, non esiste l’impossibile se il suo cuore lo desidera e bla bla bla. Queste dinamiche si pongono in netto contrasto con i protagonisti della trilogia e della dilogia dei corvi: la specialità di Alina consisteva paradossalmente nell’essere normale, nella sua umanità, quella dei corvi, invece, stava tutta nelle loro abilità personali usate per il superamento dei propri traumi. Zoya, fondamentalmente, nonostante tutta la crescita (poco credibile) che ha avuto, è una bulla che ottiene tutto e che mai viene rimproverata o punita per essere stata bulla. Manca solo che le facciano vincere MasterChef e facciamo tombola. Non lo so, davvero io non provo nessuna empatia per lei, non riesco a definirla in nessun altro modo che non sia “bulla” e “prepotente”. Allora la gentilezza conquistata con tanta fatica negli altri libri qui risulta vana? Zoya per me è un grande, grande NO. Bardugo ha dimostrato di poter fare di molto meglio di una protagonista che non fa altro che dire “so figa, so bella, so fotomodella” e che non trovi mai qualcuno che la faccia scendere dal piedistallo. Questa ragazzetta insopportabile (scusate, mi sto inalberando, ma davvero, non la sopporto e non capisco come possa essere un personaggio tanto amato) in questo secondo libro prende completamente il sopravvento su Nikolai, qui un po’ rinsavito e tornato un minimo agli antichi splendori, ma che resta decisamente sullo sfondo. Il re di Ravka si meritava decisamente di meglio e anche la loro storia d’amore (o ma dai, non è uno spoiler! Se non lo sapevate allora lo speravate) viene costruita dal nulla, senza che in Il Re delle Cicatrici  ci sia mai alcun indizio, in La Legge dei Lupi non fanno altro che struggersi e farsi gli occhi dolci, solo per non tirarla troppo per le lunghe e arrivare al sodo.

Un sodo, che purtroppo non vale granché la pena di attendere, perché Bardugo commette molti errori tecnici narrativi, quasi da autrice alle prime armi: si dimentica che non si dovrebbe mai riaprire le trame già chiuse, specie se chiuse in modo convincente. Invece qui non sa dove andare a parare e lo dimostra sia con la costruzione della storia, che non va da nessuna parte sensata, ma lo fa anche attraverso i troppi punti di vista presenti nel libro. Ogni volta che Bardugo non sa come mostrare un evento che ai lettori serve sapere allora inserisce un nuovo punto di vista. È questa è una cosa che fanno gli autori che non sanno scrivere, è un espediente scadente per veicolare le informazioni. Sappiamo che esiste la gestione dei punti di vista multipli già in Sei di Corvi, ma lì non solo le voci dei personaggi erano inequivocabili e uniche, ma erano sempre le stesse dall’inizio alla fine del libro, senza saltare dai protagonisti ai personaggi secondari solo da un certo punto del libro in poi, senza un movente narrativo convincente. La Legge dei Lupi sembra una fanfiction e pure di quelle brutte, non tanto per la prosa, che è meravigliosa e migliorata in modo abissale rispetto al primo libro del Grishaverse, ma per la struttura, perché sembra davvero una storia che non sa dove deve andare e scritta da un’autrice che non ha mai scritto altro e che riunisce in un mapazzone tutti i personaggi che piacciono al pubblico. Tenere in vita i personaggi in questo modo è compito delle fanfiction, non delle autrici. Chi narra qualcosa serve la storia che scrive, non dovrebbe preoccuparsi di far contento il pubblico tenendo in vita personaggi morti e sepolti in libri precedenti solo perché amati molto da* fan della saga. Potenzialmente, la dilogia-che-doveva-essere-su-Nikolai-e-invece-è-su-Zoya aveva tantissime svolte narrative interessanti possibili, ma Bardugo ha scelto la strada del fanservice e, fallendo, preferisce rimuginare sul latte versato, invece di inventarsi un nuovo cattivo o risolvere i conflitti che già esistono nell’intreccio. E nonostante ciò, riesce comunque a scrivere un finale aperto che vanifica tutta la trilogia su Alina e il libro viene chiuso con la sensazione di aver perso tempo. Come se non bastasse, se da un lato abbiamo Zoya che tutto può, tipo i PowerRangers, dall’altro Bardugo si accanisce ingiustamente verso personaggi che almeno una gioia nella loro esistenza se la meritavano. Invece manco quella, abbiamo capito che Zoya è la sua preferita, gli altri possono morire malissimo senza una ragione (e se avete letto altre recensioni, come quella di Echi in Tempesta sapete che io non mi scaglio contro le morti dei personaggi principali se hanno un motivo).

Unico faro in questa notte buia e senza stelle, in cui piove a dirotto, non c’è nemmeno un muretto a secco dove potersi riparare e per di più domani devi andare al lavoro è Nina. Nina è l’unica in questa dilogia che abbia uno sviluppo sensato: ha una missione da compiere e la sua storyline è il proseguimento del suo percorso personale. È una rinascita che non ha bisogno di disfare ciò che è stato fatto nei libri precedenti per dare a questa donna straordinaria uno sviluppo interessante ed emotivamente toccante. Davvero, grazie, Nina, per aver reso questo i libro sopportabile, anche se a mala pena. 

In conclusione, La Legge dei Lupi è un libro brutto che chiude un mondo meraviglioso e lo termina, sfortunatamente, in modo indegno, distorcendo e disfaldo tutte le certezze che i lettori avevano dalle prime due serie, un po’ come se fossimo tornati alla trilogia ma sotto acidi. L’unico motivo per leggere la dilogia, che doveva essere su Nikolai, ma che invece è su Zoya, è per completezza, per non lasciare la serie del Grishaverse incompiuta.

Bardugo, ti prego, stai ferma e non scrivere altro su questo mondo e lascialo morire con dignità. A un certo punto bisogna dire addio, specie quando le idee (buone) sono finite.

mercoledì 20 aprile 2022

Cécité Malaga

Buongiorno, spero che la tua permanenza su questi schermi sia piacevole. Oggi non vedo l’ora di parlarti di un libro che ho letto grazie alla mia amica Francesca e alla casa editrice Rizzoli che me ne ha regalato una copia. Bando alle ciance e andiamo a cominciare.



  • Titolo: Cécité Malaga
  • Titolo originale: Cécité Malaga
  • Traduttrice: Francesca Mazzurana
  • Autore e illustratore: Benjamin Lacombe
  • Codice ISBN: 9788817159845
  • Casa editrice: Rizzoli
Recensione e analisi

L’autore stesso, Benjamin Lacombe, ha fatto fatica a trovare le parole per parlare di questo libro, in una nota alla fine, e se ha fatto fatica lui, dubito di poter fare meglio, ma ci proverò.

Cécité Malaga è forse il libro più intimo che Lacombe abbia illustrato e suoi sono anche i testi, che sono nulla più che delle brevi didascalie: l’intero messaggio dell’opera può essere tranquillamente veicolato dalle illustrazioni, suggestive come sempre e che riescono a mescolare alcuni degli elementi distintivi della sua arte anche se utilizzati in modo totalmente nuovo. Ad esempio, non manca la simbologia della farfalla, già vista in altre sue pubblicazioni (come non ricordare Gli Amanti Farfalla?), ma questa volta rappresentazione di caducità e transitorietà della bellezza. Un elemento già visto ma usato in modo totalmente diverso è quello del foglio di carta lucida illustrato che consente di vedere la pagina sottostante; questo espediente esiste già in Storie di Fantasmi del Giappone, in cui un’immagine viene sovrapposta a una praticamente identica, che però mostra l’invisibile e il sovrannaturale. Qui, invece, i fogli di carta lucida sono scuri e via via più trasparenti man mano che la protagonista della storia recupera la vista. Questo meccanismo è utilizzato anche in modo molto cinematografico, perché consente sia la dissolvenza sia il dinamismo che un disegno su carta inevitabilmente non può possedere. Anche l’ambientazione è familiare, perché Cécité Malaga si apre in un circo, un po’ come La Famiglia Appenzell (qui la recensione), per cui, quando la storia prende una direzione completamente opposta si crea un senso di straniamento sicuramente voluto dall’artista. Ci sono fiori a profusione, colorati e bellissimi, che indicano quanto le cose belle non durino e bisogna osservare la primavera finché esiste, senza avere il rimpianto di non averla guardata abbastanza una volta che arriva l’estate, ed è forse proprio in questo modo che la vista rimane sempre al centro della narrazione.

Un esempio di uso del colore

Anche l’uso del colore è estremamente studiato e mai lasciato al caso, quasi burtoniano, come in altre opere, poiché nel presente della storia i colori sono sui toni del seppia, mentre il passato è colorato in modo scioccante e sorprendente, ogni volta che si gira pagina e si passa da un disegno buio e scuro a uno colorato e luminoso è come aprire una finestra e lasciare entrare la luce all’improvviso.



Verso la fine, i disegni si fanno sempre meno letterali e più metaforici e ci raccontano il bisogno di Cécité Malaga che è di tutti noi: quello di reinventarci dopo una tragedia, dopo un cambiamento, proprio come quello epocale che stiamo vivendo e che ha offerto a Lacombe la soluzione per la conclusione di questo libro a lungo tenuto nel cassetto. Infatti la cecità di Malaga è al tempo stesso reale e simbolica, perché racconta a un tempo la cecità fisica che l’autore ha avuto in un periodo di forte stress emotivo e che lo ha spaventato molto, dal momento che tutta la sua carriera, tutta la sua vita si basano sul senso della vista, ma anche la cecità in cui viviamo tutti i giorni, senza accorgercene, quando siamo continuamente schiavз dello sguardo altrui, nell’epoca della performance che spinge e fa pressione per la ricerca della felicità, che però si riesce a trovare esclusivamente quando non si ha più nulla da perdere e, spesso, quando ci si lancia nel vuoto e si smette di cercarla. 

L’edizione in sé è estremamente curata, tanto che le copie sono vendute all’interno di una bustina di plastica protettiva affinché la foglia d’oro della copertina non venga via, oltre al fatto che il grosso formato delle pagine consente di ammirare ancora meglio le illustrazioni, così belle che meriterebbero di essere incorniciate.

Leggere e guardare questo libro per me è stato più un farmi leggere, perché in questo libro Benjamin Lacombe si mette così a nudo nelle sue paure che è impossibile non rivedere anche parte della propria anima. È una lettura che si fa in poco tempo, ma che resta dentro e che, forse, ci avvolge in un abbraccio comprensivo.

venerdì 15 aprile 2022

5 cose che…5 libri ambientati in una città che amo



1) Century, l’Anello di Fuoco

Libro ambientato in una città che è nel mio cuore per i motivi più disparati. Luogo di ritrovo per me e le persone che amo, città che più la conosci e meno si svela, Roma in questo romanzo è la protagonista della storia e offrirà tanti enigmi da risolvere





2) La Chimera di Praga

Come dice il titolo. Non avevo mai preso in considerazione di visitare questa città prima di leggere La Chimera di Praga, ma dopo averlo fatto me ne sono innamorata per via di tutto l’esoterismo di cui è impregnata. Una città magica e piena di storia. Non poteva che essere l’ambientazione di uno dei miei libri del cuore.




3) Stravaganza, la città delle maschere

Mi aspetta sulla libreria da ormai due anni, ma Stravaganza, la città delle maschere è il primo romanzo di una trilogia in cui ogni libro è ambientato in una città diversa. Città inventate ma che sono chiaramente ispirate ad alcune bellezze della nostra penisola, come in questo caso, Venezia. È semplicemente una città in cui ho lasciato il cuore, qualcosa di inimmaginabile, impossibile anche da sognare e che nonostante ciò esiste e mi stupisce ogni volta che ci metto piede. Mi ferisce gli occhi, bella da piangere, Venezia non manca mai di mostrarsi solare e simpatica di giorno, inquietante e vittoriana di notte, oltre al fatto che alcuni dei momenti più belli della mia vita sono stati vissuti in questa città. Non vedo l’ora di tornare in questa città, anche solo con la fantasia, attraverso questa lettura.




4) Jack Frusciante è uscito dal gruppo
In quest-a lista non poteva di sicuro mancare Bologna, città giovane, dinamica, piena di eventi culturali e a cui i miei pensieri si volgono sempre con un sorriso, dal momento che alcuni dei momenti più belli della mia vita sono ambientati proprio in questa città stupenda e fuori dalle righe. Con i suoi portici, i suoi mercatini dell’usato, le sue scritte sui muri mi sento quasi in un altro mondo, ma devo ammettere che quello che mi conquista sempre è il cibo: credo che i piatti migliori che abbia mai mangiato siano stati consumati quasi tutti a Bologna.


5) Cosima

Ebbene sì, questa forse vi giunge inaspettata in un blog dove parlo più che altro di libri fantasy e di romanzi per bambini e ragazzi. Però con Grazia Deledda ho un rapporto speciale, forse soltanto perché è una mia concittadina che ce l’ha fatta. Premio Nobel per la letteratura, parlante italiana da autodidatta, Deledda descrive luoghi che conosco come le mie tasche e che, se non conoscessi, mi renderebbe possibile vederli nella mia mente come in fotografia. 



mercoledì 13 aprile 2022

La banda degli Dei

  • Titolo: La Banda degli Dei
  • Autrice: Barbara Fiorio
  • Lingua: italiano
  • Codice ISBN: 9788817158053
  • Casa editrice: Rizzoli

  • Trama

    Sofia va in seconda media, ha una casa troppo grande e paura del buio. Giacomo mette pace tra tutti e ha un papà che gli scrive due volte all’anno. Bartolomeo vive con i nonni ed è già tutto ormoni, caramelle e rock’n’roll. Delia si arrampica ovunque, al contrario di suo fratello Leonardo, a cui piace starsene tranquillo a suonare la chitarra. Isabella odia essere a dieta, da grande sogna di fare la veterinaria e porta sempre con sé la sorellina Carlotta, velocissima di gambe e di testa. Sono sette, sono amici. E ogni venerdì, quando si ritrovano nel loro Olimpo, diventano la banda degli Dei: Atena, Marte, Dioniso, Artemide, Apollo, Venere e Mercurio. Tra miti raccontati come solo a dodici anni si può fare e misteriosi furti che sconvolgono le abitudini del loro piccolo paese, queste incredibili divinità un po’ onnipotenti e molto adolescenti si troveranno ad affrontare (e risolvere!) problemi più grandi di loro. Grandi come i genitori, che non ci sono mai o ci sono troppo. Come l’intolleranza e i pregiudizi. Come un libro da pubblicare con le loro sole forze. Perché non si è mai troppo piccoli per essere grandi.

    Recensione e commento

    Quando andavo alle scuole medie, il preside era una persona molto sgradevole, che non ci prendeva mai sul serio e sminuiva di continuo noi alunni. Pensava, insomma, che non avessimo nessun tipo di problema per via della nostra giovane età, o che i nostri problemi fossero sempre e comunque futili. Forse era una di quelle persone che hanno avuto un’adolescenza facile o una di quelle che ha dimenticato i tempi difficili.
    La Banda degli Dei parla di questo: dei problemi che i ragazzi sono costretti ad affrontare, spesso per colpa degli adulti. Le situazioni che i tre protagonisti devono affrontare sono difficili e dolorose a tutte le età e spaziano dallo smembramento di una famiglia, a genitori controllanti e castranti che cercano di vivere attraverso i propri figli, a grossi problemi economici. Su di loro ricadono problemi creati da altri, come ad esempio il pregiudizio verso il diverso, l’odio che si crea verso qualcuno non appena si presenta l’occasione di cercare un capro espiatorio. I bambini, di per sé, non vedono grosse differenze tra di loro, ma ripetono quello che sentono a casa e arrivano a discriminare la categoria stigmatizzata di turno. 

    L’autrice
    La cosa interessante de La Banda degli Dei è che i personaggi sono verosimili: non vengono infatilizzati eccessivamente rispetto alla loro età (e dicono anche qualche parolaccia, di tanto in tanto, ma tranquilli, genitori, niente che i vostri figli non abbiano già sentito), ma nemmeno ricadono nel tropo del bimbo saggio, ovvero non hanno dei pensieri da adulti mascherati da saggia innocenza. La prosa è meravigliosa, snella, sofisticata ed evocativa al tempo stesso, non si perde in chiacchiere, eppure con qualche aggettivo e avverbio al posto giusto dice tutto quello che serve sapere. 

    Naturalmente, la mitologia e l’epica hanno un ruolo di rilievo all’interno del romanzo, ma non c’è mai infodumping, né l’intento è quello di fare didattica. I nostri protagonisti utilizzano le vicende degli dei dell’Olimpo per capire come sbrogliare alcune delle proprie vicende personali, oppure le ascoltano solo per puro intrattenimento, commentandole assieme e scambiandosi opinioni con termini informali. Sono dei ragazzini appassionati di mitologia in modo genuino e commovente che si riuniscono per il solo piacere di farlo e per farsi compagnia, e che pure si rendono conto di come i Greci avessero già raccontato tutto quello che c’era da raccontare, come se tutta la narrativa successiva, dai Grimm ai giorni nostri, fosse una sorta di rivisitazione dei vecchi miti. In qualche modo, i Greci avevano già la soluzione ai problemi individuali dei nostri ragazzi vissuti millenni dopo e offrivano loro un rifugio sicuro.

    La Banda degli Dei è un libro per ragazzi imperdibile, delicato, infallibile, che riesce a far empatizzare con i personaggi, divertendo e intrattenendo. Ogni pezzo si incastra al posto giusto al momento giusto, mantenendo il giusto equilibro tra significato e intrattenimento. Un romanzo scritto da e per chi ama la mitologia.

    A cosa servono le Persone?

    Titolo: A cosa servono le Persone? Titolo originale: Leeva at Last Autrice: Sara Pennypacker Illustratore: Matthew Cordell Traduttore: Paol...