mercoledì 24 aprile 2024

A Study in Drowning - La Storia sommersa

  • Titolo: A Study in drowning - La Storia sommersa
  • Titolo originale: A Study in Drowning
  • Autrice: Ava Reid
  • Traduttore: Paolo Maria Bonora
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9791255331407
  • Casa editrice: Il Castoro
Trama

Effy Sayre ha sempre creduto nelle fiabe. Non ha avuto scelta. Fin da bambina, è perseguitata da misteriose visioni del Re delle Fate. Ha trovato conforto solo tra le pagine di Angharad, il romanzo del compianto Emrys Myrddin, che racconta di una giovane che si innamora del Re delle Fate, arrivando però a distruggerlo. Effy, pur amando più di ogni cosa la letteratura, è costretta a frequentare la facoltà di Architettura, perché alle donne di Llyr non è permesso studiare Lettere. Il libro è tutto ciò che la tiene a galla durante i suoi studi alla prestigiosa facoltà di architettura dell’Università del Llyr. Così, quando la famiglia Myrddin indice un bando per ristrutturare la magione dell’autore, Effy è sicura che questo sia il suo destino. Ma Villa Hiraeth è un’impresa impossibile: una casa ammuffita e decrepita sul punto di sgretolarsi nel mare affamato. E quando Effy vi arriva, scopre di non essere sola. Preston Héloury, un giovane e tedioso studioso di letteratura, è determinato a dimostrare che l’autore preferito del Llyr era un truffatore. Mentre i due studenti investigano sull’eredità di Myrddin, mettendo insieme i pezzi attraverso lettere, libri e diari, scoprono che le fondamenta della casa non sono l’unica cosa di cui non ci si può fidare. Forze oscure, sia mortali sia magiche, cospirano contro la ricerca della verità e l’amore che sta nascendo tra i due. Il segreto che vogliono portare alla luce potrebbe cambiare per sempre le sorti dell’intera Llyr…

Recensione e commento

A Study in drowning - La Storia sommersa è un titolo che ho avuto la fortuna di leggere assieme alla mia sorella del cuore Franci, del blog Coffee&Books, perché è una lettura davvero dolorosa e toccante ed è stato importante avere qualcuno con cui poterla condividere.

In genere viene sconsigliato a chi scrive di usare un’esperienza personale come fonte di ispirazione per le sue creazioni, perché difficilmente il pubblico troverà qualcosa in cui rispecchiarsi. Invece, in questo caso specifico, ho trovato sensato che Ava Reid abbia deciso di utilizzare un evento realmente accaduto a lei, ovvero una molestia che ha subito da parte di un suo professore all’università, perché non solo è qualcosa di incredibilmente attuale e ben raccontato, ma soprattutto perché fin troppe donne sono nella posizione di immedesimarsi in questa vicenda. Nella nostra lettura condivisa, io e Francesca siamo andate sempre esattamente alla stessa velocità, per quanto il libro non sia molto corposo abbiamo letto sempre e solo un paio di capitoli alla volta, proprio perché da ogni pagina trasudavano dolore e solitudine tali da essere a stento sopportabili in quantità maggiori. 

Il romanzo racconta di Effy, una ragazza che riesce ad accedere alla facoltà di architettura solo perché quella di letteratura, che desidererebbe frequentare davvero, è preclusa alle donne, considerate frivole e di vedute troppo ristrette. Dopo l’evento drammatico che le accade, Effy subisce uno stigma sociale, viene presa in giro dai compagni, etichettata come poco di buono e vista solo in funzione del suo aspetto, mentre il suo aggressore non va in contro ad alcuna conseguenza. Gli altri le dicono spesso di essere molto bella, ma non vedono mai le sue altre qualità. Lei, tuttavia, non pensa di essere di bell’aspetto, non per la modestia delle molte eroine ya che hanno gli specchi di legno: semplicemente sperimentando il suo corpo tutti i giorni lo vive con normalità e non ci trova nulla di straordinario. In seguito alla molestia che subisce dal suo professore vediamo i suoi pensieri cambiare: la chimica del suo cervello si modifica a causa del trauma al punto che vede minacce ovunque, soprattutto nei luoghi che prima dell’evento considerava sicuri. Si trova in perenne modalità di sopravvivenza. Questa esperienza condiziona ogni singolo aspetto della sua vita e proprio per questo, per una volta, ho trovato sensato che una protagonista sentisse il bisogno di piangere una volta a capitolo, almeno nella prima parte, perché ho sentito davvero il suo senso di impotenza, la sua solitudine, il suo non avere una rete sociale che potesse aiutarla in una situazione tanto drammatica. Sono molte le volte in cui tenta di chiedere aiuto alla sua famiglia, ma si vede sbattuta la porta in faccia perché ci si aspetta che lei non esca fuori dalla strada che è stata deciso che percorra. Effy rischia di esplodere in molte circostanze e il pensiero che moltissime donne, moltissime persone vivano davvero la stessa situazione e che la loro vita sia insopportabile mi fa venire i brividi e mi fa comprendere quanto questo libro sia effettivamente importante. Non parte dall’idea di sensibilizzare verso il tema: quello che vuole fare è occuparsi della vittima, sublimare la sua esperienza, metaforizzarla, e poi renderla attiva per consentirle di riappropriarsi della sua vita.

Parlando della parte fantasy del libro, per buona parte questa consiste più che altro nell’ambientazione. Non è un mondo troppo lontano dal nostro, è più che altro un mondo che non esiste, ma che non è irrealistico, e che si ferma circa agli anni Ottanta/Novanta, dato che esiste un certo tipo di tecnologia che si ferma al telefono fisso. Non esiste alcun richiamo al mondo primario ed è per questo che, a differenza di come è stato etichettato dal marketing, non è un fantastorico. Esistono leggende e storie popolate dalla magia, ma restano tali finché la protagonista non si imbatte in loro e ne trae delle esperienze che la aiutino a crescere e ad affrontare ciò che ha dentro. Poiché nessuno a parte lei ha la stessa esperienza del sovrannaturale, Effy pensa di non potersi confidare con nessuno, perché pensa che “nessuno le crederebbe”. L’elemento fantastico si fa simbolo dell’esperienza di sofferenza di Effy, dato che vista la sua complessità è assimilabile alla violenza che le è capitata: sarà difficile per lei trovare una persona a confidare entrambe le questioni.

E proprio riguardo alla magia, tutto ciò che le gravita attorno ha molteplici stratificazioni di significato: ogni cosa può essere interpretata in modo positivo e negativo. Il Re delle fate, ad esempio, per alcune persone è una vittima, per altre è il carnefice della storia, così come il mare può essere un’entità che con il tempo distrugge tutto, che soffoca e non offre vie di fuga, ma anche qualcosa che trasfigura, che distrugge solo affinché si possa ricostruire. Che cela e restituisce. Anche il colore verde è molto presente, ma quasi come uno spettro, perché ciò che subisce Effy le capita su una poltrona verde e questo colore la perseguita un po’ per tutta la vicenda, finché non si libererà di tutto il dolore e lo metabolizzerà. 

Un po’ come ne Il Castello errante di Howl, e in generale in tutte le vicende in cui esiste una casa, essa rappresenta chi la abita, per cui partiamo da quella di Myrddin, l’autore del libro preferito di Effy e Preston, e da questa possiamo capire molte cose: la sua voglia spasmodica di aggrapparsi al passato quando l’unica cosa giusta da fare sarebbe buttarla giù e costruirne una migliore. Quella dimora cade letteralmente a pezzi e non ci sono sogni abbastanza grandi che possano salvarla. Non è una casa che non accoglie, è una casa che respinge e minaccia. Allo stesso modo, il palazzo di Blackman dice moltissimo di lui, perché è una magione ordinata ma noiosa, l’abitazione di qualcuno che si preoccupa tantissimo di ciò che gli altri pensano di lui. Dalla riflessione riguardo alla casa di Myrddin Ava Reid ne fa scaturire un’altra: si domanda se sia necessario e giusto distinguere tra opera e autore. A tal proposito non fornisce risposte definitive, ma apre un discorso in cui si approfondisce quanto le storie possano significare per noi, ma anche che non sia necessario considerarle capolavori se chi le ha scritte ha rubato, ingannato e mentito. C’è un enorme dibattito, interiore e accademico, su come debba cambiare la visione di autori che non erano poi tanto geniali ed erano anche brutte persone. Per cui, così come per quanto riguarda la casa, anche per le arti non esiste nulla di intoccabile. Un altro simbolo altamente metaforico e altrettanto dualistico è quello dello specchio, da un lato evitato da chi commette il male per non essere mai messo davanti alla verità delle proprie azioni malvagie, dall’altro anche Effy, prima del suo percorso attraverso il trauma, evita la visione del suo corpo perché è stato il tramite di tantissimo dolore. 

E sempre riguardo all’opera dell’autore di cui lei e Preston non fanno che discutere, ho fatto anche un’altra riflessione. Mi è sembrato interessante vedere come nel mondo creato da Ava Reid il fantasy (quello considerato tale nel loro mondo) sia materia di studio universitario, non un genere di serie B. L’opera di Myrddin è universalmente considerata un capolavoro anche da chi non fa parte dei circoli letterari. Attraverso la voce di Effy, Reid ci racconta di come una storia possa significare tantissimo per chi la legge, di come possa valicare confini e trovare proprio la persona che aveva bisogno di sentirla, di come il suo escapismo possa essere un valore aggiunto e non un difetto deplorevole. Grazie al romanzo di Myrddin, per quanto poi si sia rivelato una persona decisamente problematica e non all’altezza delle aspettative, Effy si sente compresa, per una volta e ha la sensazione che altre abbiano vissuto la sua esperienza e possano capirla.

Per una volta (e sto sentendo le campane dell’alleluia) ho apprezzato tantissimo la storia d’amore tra Effy e Preston, perché si tratta di due persone che si supportano, si migliorano a vicenda e soprattutto rispettano i reciproci limiti. Preston le crede quando finalmente lei si apre e gli racconta di ciò che le è successo, non la considera solo una bella ragazza e le attribuisce moltissima credibilità come studiosa. La sua opinione è tenuta in gran considerazione e abbiamo un personaggio maschile sprovvisto di un ego smisurato e di una personalità tossica. Niente possessività o discorsi da maschio alfa: a Preston interessa la ricerca della verità, anche se potrebbe non piacergli. Lui non le offre protezione, lei non ha bisogno di essere protetta, ma accolta e creduta. Il percorso di Effy sarà individuale, lui sarà solo il bastone che la aiuterà a sorreggersi, non farà la strada al posto suo, né le darà consigli su cosa debba fare. Sono una coppia stupenda e vorrei che ce ne fossero di più come questa. Inoltre, per quanto non mi senta di spingermi al punto di considerarla “spicy”, parola che sembra andare tanto di moda in questo periodo, c’è comunque una scena erotica abbastanza chiara per quanto non ecceda mai nell’essere esplicita ed è stata molto importante all’interno del romanzo perché racconta di come Effy si riappropri del suo corpo, che si fa mezzo di piacere dopo essere stato il tramite di tanto dolore. È stata una scena liberatoria ben inquadrata nel suo contesto, coronamento di un percorso personale, non finalizzata al fanservice. Per quanto la loro storia sia bellissima e speciale, equilibrata e una delle più belle che abbia mai letto, a mio avviso questo romanzo non è un romantasy, proprio perché per quanto sia significativa, il vero cardine narrativo è il percorso di Effy, del quale la love story è solo una parte. Una parte rilevante, ma solo una parte. 

Arriviamo alle note dolenti. I difetti di questo libro non riguardano il contenuto, quanto la cura della sua resa in italiano. Infatti, l’edizione pubblicata nel nostro Paese è bella solo a colpo d’occhio, dato si disfa praticamente in mano, la vernice delle pagine colorate è colata all’interno e la qualità del libro come oggetto è bassina in generale. Io l’ho comprato in libreria e già lì le copie presenti erano tutte ammaccate. Ogni singolo capitolo presenta dei refusi anche abbastanza grossolani, è impossibile che nessuno li abbia notati, a meno che non sia stato saltato l’editing. Se la qualità del contenuto non fosse stata ottima, mi avrebbe fatta davvero inferocire l’aver speso 24 euro per questo libro, considerando che su Vinted ci sono edizioni speciali in inglese autografate a soli sei euro i più. Vi dirò: come storia vale assolutamente la pena, è ottimo, ma se potete, leggetelo in inglese. Poi, penso che molte delle etichette che gli sono state affibbiate siano un po’ riduttive, menomale che l’ho acquistato nonostante le perplessità iniziale, perché “slow burn spicy” mi ha fatto decisamente titubare e a posteriori mi viene da dire che sia un’etichetta arbitraria e riduttiva. Allo stesso modo, decisamente non è un fantastorico, proprio perché non ha alcun legame con il mondo primario o i suoi eventi reali. È un luogo inventato in un tempo che segue regole proprie. Questi errori nell’etichettare A Study in drowning - La Storia sommersa rischiano seriamente di allontanare il target corretto a cui questo libro è diretto (me inclusa: il libro mi è piaciuto molto, ma se non fosse stato per diverse persone di cui mi fido, non lo avrei mai letto proprio perché mirava a un pubblico diverso). 

Avrete capito che A Study in drowning - La Storia sommersa mi ha completamente conquistata. È un libro che rischia seriamente di finire tra i migliori del 2024. Consiglio di leggerlo preparandosi a una certa dose di dolore e di lacrime, perché ci saranno parti che pugnaleranno dritto al cuore, pur non raccontando la violenza in toni crudi o voyeuristici. È una lettura che striscia sotto la pelle e dilania dall’interno senza mai andare sopra le righe e senza mai banalizzare temi sensibili di cui troppo spesso si scrive senza cognizione di causa. Ava Reid è riuscita a raccontare una storia bella, commovente, significativa e ponderata.

domenica 21 aprile 2024

Zoo City

  • Titolo: Zoo City
  • Titolo originale: Zoo City
  • Autrice: Lauren Beukes
  • Traduttrice: Giorgia De Santis
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788834744713
  • Casa editrice: Fanucci
Trama


Con un bradipo sulle spalle e un grande talento nel recuperare oggetti smarriti, Zinzi è costretta ad accettare un lavoro che odia: cercare le persone scomparse. Ritrovare una pop star per conto del produttore musicale Odi Huron dovrebbe garantirle la possibilità di lasciare per sempre Zoo City, un reticolo di bassifondi infestati dai criminali della peggior specie e dai loro fedeli animali. Ma, al contrario, questo incarico la getta direttamente tra le fauci di una città deturpata dalla criminalità organizzata e dalla magia. Per sopravvivere, Zinzi dovrà affrontare i segreti più oscuri che si celano nel passato altrui, così come nel proprio.


Recensione e commento

Uno dei miei buoni propositi riguardanti i libri per il 2024 è quello di spaziare con le letture e approcciarmi ad aree del mondo che generalmente non prendo in considerazione. Viste queste premesse, non potevo farmi sfuggire l’occasione di leggere un romanzo scritto da un’autrice sudafricana.

Zoo City è stato il mio primo approccio con la prolifica penna di Lauren Beukes e ho tantissime cose da dire in merito a questo romanzo vincitore dell’Arthur C. Clarke award. 

Iniziando dall’ambientazione, ho apprezzato tantissimo che l’intera vicenda prenda piede proprio in Sudafrica con tutto ciò che questa implicazione si porta dietro: il contesto multietnico, la cultura che ha subito influenze sia dall’Europa che dall’Africa crea un ambiente stimolante ma sfortunatamente non privo di ombre, perché la trama si sviluppa in un contesto di criminalità dovuta alle disparità mai risolte dopo l’apartheid. L’altissimo tasso di delinquenza, le droghe, i vari traffici illeciti proliferano in una società che ha degli evidenti problemi strutturali che peggiorano soprattutto quando si cerca di arginarli, come ad esempio quando i quartieri malfamati, nel tentativo di vivere una riqualificazione, subiscono invece la gentrificazione. Tutto questo, nel libro, si traduce anche nella ghettizzazione delle persone cosiddette bestianimante, ovvero quelle che, a seguito di un’azione abbietta, sono destinate ad avere sempre con sé un animale dal quale non possono separarsi e che ricorda loro per sempre il crimine che hanno commesso, ma che in cambio sviluppano poteri peculiari.

Il fenomeno dei bestianimati comincia con un virus che fa la sua comparsa a partire dagli anni Ottanta e, poiché colpisce più che altro criminali e persone che hanno una dipendenza, a me personalmente è sembrato un rimando all’AIDS e a tutta la retorica di cui era circondata quando ha fatto la sua comparsa. Metto mille mani avanti su questo punto, perché specifico che questo è quello che ci ho visto io, non ho trovato dichiarazioni dell’autrice che confermassero o smentissero questa ipotesi, l’unico articolo in cui mi sono imbattuta è quello di una blogger statunitense che ha notato la stessa concomitanza temporale che ho notato io. Ciò detto, i bestianimanti sono circondati dallo stesso stigma sociale che circondava le persone affette da AIDS: si pensava che fosse semplicemente il risultato di uno stile di vita dissoluto e peccaminoso e che, sostanzialmente, chi ne fosse affetto semplicemente se lo meritava. Si pensava, e nel libro si pensa ancora, che fosse qualcosa che non avesse nulla a che fare con “le brave persone”, che riguardasse sempre e solo “gli altri”, ma la società, la storia e la vita in generale non sono mai così semplici e dicotomiche, le sfumature sono infinite, inoltre certe diseguaglianze hanno origine nella struttura sociale.

Se devo dire la verità, nonostante le ottime idee e la critica sociale più che legittima, mi è mancato un po’ di coinvolgimento in questa lettura, che sembrava non voler ingranare mai e che, per quanto sia stata breve dato l’esiguità numero di pagine, mi è sembrata più lunga di quanto effettivamente sia stata. Tuttavia, non so se questo sia dovuto alla penna dell’autrice o alla traduzione, perché ci sono stati dei momenti in cui ho fatto effettivamente fatica a capire alcuni passaggi (anche se a onor del vero non ho mai avuto problemi con le traduzioni di De Santis, che ha reso in italiano anche il mio amato La Casa di Sale e Lacrime)

Sono stata contenta di aver allargato le mie vedute come lettrice ed essermi approcciata a un’ambientazione diversa, una volta tanto. Per quanto questo libro nello specifico non mi abbia particolarmente coinvolta da un punto di vista emotivo, darò sicuramente un’altra opportunità a Lauren Beukes.



mercoledì 17 aprile 2024

A cosa servono le Persone?

  • Titolo: A cosa servono le Persone?
  • Titolo originale: Leeva at Last
  • Autrice: Sara Pennypacker
  • Illustratore: Matthew Cordell
  • Traduttore: Paolo Maria Bonora
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788817183581
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama

A cosa servono le persone? Questa è la domanda a cui Mira Comanda Fiordispina è decisa a dare una risposta. «A diventare famosi» dice sua madre, la sindaca di Strambore. «A fare soldi» sostiene suo padre, il tesoriere della città. Ma Mira, che ha nove o dieci anni (non lo sa esattamente), non ci crede. Quando attraversa di nascosto la siepe di cinta del suo giardino e finalmente esce nel mondo esterno, scopre che non è proprio come dicono i genitori. Con l'aiuto di due bibliotecari, un cucciolo di tasso e un bambino in tuta protettiva, va in cerca di una risposta, provocando una catena di eventi che cambierà Strambore per sempre. Una storia tenera e molto divertente sull'amicizia e il potere delle storie, che ricorda Roald Dahl. Con manciate di biscotti fragranti e libri a volontà. Età di lettura: da 10 anni.

Recensione e commento

Se siete con me da un po’, sapere che Sara Pennypacker per me è una garanzia. Di suo ho letto i due romanzi dedicati a Pax e Qui, nel Mondo reale. Tutte le opere che ho citato si contraddistinguono per una struggente malinconia e un sudatissimo lieto fine.

In questo senso, A cosa servono le Persone? si distacca un po’ perché tratta sempre di temi molto delicati in modo pedagogicamente ineccepibile, ma questa volta il tono è più scanzonato, più cautamente ottimista e divertente. Lo stile di fondo mi ha ricordato quello del romanzo Matilda e in un certo senso anche Mira (Leeva in originale) assomiglia alla protagonista di Dahl. Si tratta, infatti, di una ragazzina trascurata dai genitori che guardano a lei solo in un’ottica utilitaristica, nella speranza che la loro figlia possa portare loro soldi o fama. Deve lavorare in casa tutto il giorno, non le è consentito uscire e non può andare a scuola, per quanto lo desideri. Ma per fortuna Mira trasgredisce e riesce a ricavarsi degli posti sicuri in cui crescere ed essere sé stessa all’insaputa dei genitori.

I suoi luoghi sicuri sono gli spazzi condivisi dalla comunità, come la biblioteca, il parco o il teatro e tutte le avventure della piccola protagonista sono funzionali a insegnare alla giovane mente che legge che non c’è grandezza nell’avere tutto per sé: la ricchezza è fatta per essere condivisa affinché chiunque possa stare bene. L’egoismo non porta lontano e nemmeno vivere le altre persone come mezzi per arrivare a un fine. In modo più semplice e diretto, con un lessico e una struttura adatti all’età a cui si rivolge, Pennypacker riassume il concetto kantiano che le persone sono già di per sé un fine, non devono fare nulla per meritarsi di esistere. Ciò è utile anche per ammonire i genitori, qualora leggessero questa storia assieme alle figlie o ai figli, spiegando che non è importante possedere più denaro o perseguire la vanità se non ci si occupa delle persone davvero importanti nella propria vita, ma anche che non le si può soffocare tenendole sotto una campana di vetro per paura che possa succedere qualcosa: le cose terribili possono capitare, ma anche quelle bellissime e non si può vivere in funzione del calcolo delle probabilità di tutto ciò che può andare storto. 

E sempre con delicatezza, con tatto, l’autrice insegna anche a chiedere aiuto nelle situazioni di abuso, come riconoscerle e dare ascolto alla voce interiore che ci dice che qualcosa non va, che c’è qualcosa di profondamente sbagliato quando chi ci sta intorno ci mente e ci tiene in gabbia e che, piano piano, bisogna trovare il coraggio di aprirsi con le persone giuste, in grado di accettarci, che ci aiuteranno a uscire da quel contesto terribile.

A livello di trama, poi, non ho trovato nulla che non andasse: ogni elemento è gestito con maestria e viene inserito solo ciò che a un certo punto sarà funzionale agli eventi raccontati. Non c’è superfluo, tutto quello che viene detto serve a qualcosa e non ho trovato buchi. Per me è davvero interessante questa caratteristica, perché mi capita spesso di riscontrarla nei romanzi per un pubblico tanto giovane (mi era successo anche con La Bottiglia dei Desideri, in cui tutto tornava e la verosimiglianza è stata tenuta fino alla fine), perché spesso nei libri per adulti o giovani adulti questo viene meno.

Non vi stupirete di sapere che consiglio A cosa servono le Persone? a chiunque. È una lettura adorabile, importante e divertente al tempo stesso. Il curriculum di Sara Pennypacker è impeccabile e non si smentisce nemmeno questa volta. Un romanzo adatto a genitori e prole.

mercoledì 3 aprile 2024

A Torch against the Night - Una Fiamma nella Notte

  • Titolo: A Torch against the Night - Una Fiamma nella Notte
  • Titolo originale: A Torch against the Night
  • Autrice: Sabaa Tahir
  • Traduttrice: Francesca Sassi
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788834744598
  • Casa editrice: Fanucci
Trama

In A Torch Against the Night: Una fiamma nella notte, ritroviamo Laia ed Elias in fuga dalla città di Serra. 
Diretti verso nord per liberare il fratello di Laia dagli orrori della prigione di Kauf, i due protagonisti sono braccati dai soldati imperiali, manipolati dalla comandante e perseguitati dal loro passato. Per sopravvivere, dovranno sconfiggere i loro nemici e affrontare la perfidia dei loro stessi cuori.Nel frattempo, Helene è costretta a obbedire alla volontà dell’imperatore Marcus, un uomo spietato e assetato di sangue. E quando la sua lealtà viene messa in discussione, Helene si ritrova ad affrontare una missione per dimostrare la sua fedeltà all’Impero, una missione che rischia di distruggerla: trovare Elias e ucciderlo insieme alla schiava che lo ha aiutato a scappare.

Recensione e commento

In genere il compito di fornire gli strumenti per interpretare la realtà è attribuito alla fantascienza futuristica, raramente al fantasy, eppure parlando di A Torch against the Night - Una Fiamma nella Notte è esattamente questo che mi viene in mente. 

Infatti, ci sono stati vari passaggi in cui ho dovuto mettere momentaneamente mettere da parte la lettura perché ciò che stava accadendo nella trama era qualcosa di fin troppo simile alla realtà di questo periodo. Come ho già detto nella recensione dedicata al precedente libro qui, il worldbuilding ricalca il mondo arabo colonizzato durante il periodo delle conquiste romane in medioriente e l’occupazione militare ha indubbiamente diverse chiavi di lettura che si protraggono anche in questo secondo volume. Una delle parti più emotivamente sconvolgenti di questo libro, pubblicato per la prima volta nel 2016, è stata quella i cui viene dichiarato un vero e proprio genocidio, tanto che anche la divinità incaricata di traghettare le anime nel mondo dei morti ha bisogno di prendersi una pausa da tanta sofferenza perché non ha mai assistito a niente del genere. C’è stata una riga, in particolare, che mi ha fatto venire le lacrime agli occhi in cui ci si domandava che cosa diventeranno un domani i bambini sopravvissuti a tanto dolore e quanta rabbia coveranno nei confronti di chi ha fatto loro del male. Questo libro mi è risuonato dentro in modo doloroso soprattutto perché mi ha fatto comprendere che, per quanto in un fantasy le implicazioni violente siano spesso utilizzate anche con cognizione di causa, la realtà è spesso molto più crudele e fuori da qualsiasi immaginazione.

Parlando del libro in sé, al di fuori di queste mie considerazioni personali, non capisco come mai varie persone mi abbiano detto che non mi sarebbe piaciuto. Non ho fiutato neanche un colpo di scena, anzi, spesso quando pensavo che la trama avrebbe preso una piega scontata perché si intuiva una determinata svolta, in realtà tutto è andato in modo totalmente imprevedibile. Anche il romance presente ha un peso nella trama, non soltanto nel senso che è ben calato nel contesto, ma proprio perché avrà delle reali conseguenze sul lungo termine. 

I personaggi sono complessi e sfaccettati e hanno avuto un reale arco di formazione rispetto al primo libro. Elias, che nell’incipit di An Ember in the Ashes era quello che mi convinceva meno, qui è stato uno dei miei preferiti. Anche Helene, l’incrollabile, indottrinata Helene comincia a traballare e a sentire le conseguenze di un mondo tanto violento e spietato che man mano le toglie tutto e non le dà mai nulla in cambio. I secondari, poi, sono veramente ben caratterizzati, buoni o cattivi che siano, e anche la stessa Laia ormai non è più la ragazzina ingenua e idealista che abbiamo conosciuto nel romanzo precedente. Inoltre, tutti gli intrighi sono sia di matrice terrena, ma lasciano comunque presagire che ci sia di mezzo del divino che si intrufola nelle faccende umane di tanto in tanto. Questo è qualcosa che avevamo già intuito dal primo libro, ma qui diventa più palese e strutturato, anche se ancora non si sa per certo con chi si abbia a che fare e come si possa combattere, insomma, la struttura è abbastanza originale e non ricalca i soliti cliché. Il soprannaturale in questo secondo libro entra a gamba tesa a più riprese e sono finiti i tempi in cui esso veniva ripudiato perché costituiva qualcosa di incomprensibile. La posta si è decisamente alzata.

Sono felicissima di aver finalmente recuperato questa serie, che per troppi anni ho ingiustamente snobbato, ma non è mai troppo tardi per redimersi. Ringrazio davvero Fanucci per avermi dato la possibilità di leggere i primi due volumi e non vedo l’ora che portino anche i prossimi. 

A Study in Drowning - La Storia sommersa

Titolo: A Study in drowning - La Storia sommersa Titolo originale: A Study in Drowning Autrice: Ava Reid Traduttore: Paolo Maria Bonora Ling...