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mercoledì 21 maggio 2025

The Inheritance Trilogy

  • Titolo: The Inheritance Trilogy - La Successione
  • Titoli originali: The hundred thousand kingdoms/The Broken Kingdoms/The Kingdom of Gods
  • Lingua originale: inglese
  • Traduzione di: Giulia Lenti & Benedetta Tavani
  • Codice ISBN: 9788804800910
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama


In un universo in cui le divinità si muovono accanto agli esseri umani, una famiglia domina il mondo tra corruzione e violenza. La salvezza dell'umanità è nelle mani di tre giovani donne straordinarie che ancora non sanno di esserlo. Yeine Darr vive nel Grande Nord, povero e arretrato. Ma, quando sua madre muore in circostanze misteriose, scopre di essere l'erede al trono dei Centomila Regni e si ritrova al centro di una feroce lotta di potere. Oree Shoth, un'artista cieca, dà rifugio a uno strano senzatetto: un atto di gentilezza che la trascinerà in un incubo, nel cuore di una cospirazione per uccidere le Deidi in cui il suo ospite sembra coinvolto. Shahar Arameri è l'ultima discendente della famiglia che da duemila anni governa la Terra schiavizzando gli immortali, ma è anche innamorata del Deide Sieh. A chi sceglierà di essere fedele? Tutte e tre impareranno quanto possa essere pericoloso mescolare amici e nemici, esseri divini e mortali, amore e odio.

Recensione e commento


È finalmente tornato in italia l’esordio letterario della leggendaria N.K. Jamisin, già famosa nel nostro Paese per la sua trilogia successiva, quella della Terra Spezzata. L’idea di pubblicare l’intera serie in un unico volume in questo caso risulta vincente, perché, per quanto indubbiamente la storia vada in crescendo, se fosse stata pubblicata in singoli volumi come successo con Il Gargoyle, una grossa parte del pubblico avrebbe abbandonato la lettura.

Infatti, nel primo libro, I Centomila Regni, i pregi e i difetti si controbilanciano: il grande punto di forza è l’ambientazione, un mondo che solo l’immaginazione sfrenata di Jamisin avrebbe potuto partorire, con palazzi che sfidano le leggi della fisica, sistemi magici fuori dal comune e una società complessa e sfaccettata che, per una volta, non è lo specchio della nostra: Jemisin, nell’arco dell’intera trilogia più che del singolo libro, non limita la sua immaginazione all’estetica del mondo che ha creato ma la approfondisce al punto da intessere rapporti sociali che sono più simili (con tutte le eccezioni e le limitazioni del caso) a quelli di una società ideale che a quelli che viviamo nella realtà. Tuttavia, la protagonista non riesce a sfruttare pienamente il suo potenziale come personaggia principale, perché nonostante sia nata e cresciuta in una società matriarcale in cui è stata addestrata a combattere e regnare fin dalla più tenera età, resta comunque molto passiva quando viene sbalzata in un mondo diametralmente opposto. È appunto la trama il punto più debole di questo primo volume, perché è molto nella media: per quanto gli intrighi di corte siano interessati e qualche volta sorprendenti resta comunque una storia portata avanti dai secondari che usano Yeine per i propri scopi e lei si lascia usare. Alcuni dei personaggi più attivi della storia sono le divinità che vengono tenute al guinzaglio dalla famiglia reale. A dispetto della loro natura, le loro emozioni sono umanissime e travolgenti, al punto che la protagonista si ritrova spesso in balia di loro e del belloccio di turno, un po’ come le eroine dei moderni ya.

Ma non mentivo quando dicevo che questa serie va in crescendo, perché il secondo libro della trilogia, I Regni spezzati, racchiude in sé una trama più originale e una protagonista più attiva. Questa è una particolarità molto piacevole della Trilogia della Successione: alcuni personaggi del cast sono sempre gli stessi, ma la voce protagonista cambia sempre e vediamo l’evoluzione sia del worldbuilding che della società tramite le loro percezioni. Non voglio svelare troppo per non fare spoiler del primo romanzo, ma persino l’ambientazione cambia e muta, diventando ancora più assurda e sfaccettata, diramandosi sempre in direzioni imprevedibili. È apprezzabile anche il tentativo dell’autrice di raccontarci la vita di una protagonista cieca, riuscendo, tuttavia, in una rappresentazione fatta bene solo a metà. Jamisin è bravissima a creare un universo non abilista, ma non è sufficientemente esperta nell’immergere chi legge nella percezione di una persona a cui manca la vista: troppe volte ci si dimentica che la protagonista non può vedere perché tutta la storia ci viene raccontata per immagini con tanto di sfumature di colore, anche in dei modi che evidentemente lei non può conoscere. In ogni caso, questo è stato il difetto maggiore che ho trovato in questo secondo capitolo, che mi ha coinvolta decisamente più del primo e mi ha invogliata a proseguire con la lettura del terzo, Il Regno degli Dei.

Qui la voce narrante cambia per la terza volta, spostandosi decenni dopo il primo libro, e assistiamo alla storia raccontata tramite una delle divinità che abbiamo conosciuto sin dal primo libro. Un dio intrappolato nel corpo e nella psiche di un bambino, un essere a metà tra tante cose e per questo motivo dotato di una bussola morale molto diversa da quella umana, specialmente perché volubile. Scaltro e ambiguo, schiavo degli impulsi momentanei come qualsiasi bambino, qui la deide Sieh dovrà imparare a fare i conti con l’età adulta e muoversi in un mondo che desidera cambiare. Ed è infatti questa la tematica centrale del capitolo conclusivo: la paura del cambiamento e della solitudine. Ma niente nell’universo è immutabile e immutato, neanche le divinità, che alla fine dovranno comprendere che l’età adulta non è qualcosa da temere. Il Regno degli Dei è forse il mio preferito sotto l’aspetto degli argomenti trattati, tuttavia, credo che avrebbe potuto essere un po’ più sintetico e occupare meno spazio. Praticamente metà del tomo che raccoglie l’intera trilogia è occupato dalla mole di Il Regno degli Dei

La Trilogia della Successione è un assaggio di ciò che Jemisin ha fatto successivamente e fa venire l’acquolina in bocca: vediamo già la sua capacità di creare mondi impensabili da chiunque a parte lei e immaginare la narrativa in modi che escono totalmente fuori dagli schemi. 

mercoledì 14 maggio 2025

Il Pianeta dell’Esilio

  • Titolo: Il Pineta dell’Esilio
  • Titolo originale: Planet of Exile
  • Autrice: Ursula K. Le Guin
  • Traduttore: Riccardi Valla
  • Lingua originale: inglese 
  • Codice ISBN: 9788804798521
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama

Su Werel, terzo pianeta del sistema di Gamma Draconis, le stagioni durano decine d'anni terrestri, e ora l'Autunno sta per finire. L'Inverno sarà una sorpresa per le generazioni più giovani, che non l'hanno mai conosciuto, e una dura prova per tutti. Ma le ostilità del clima non sono le sole contro cui gli abitanti devono combattere: ci sono anche i barbari Gaal e i mostruosi diavoli della neve. La contesa contro la natura avversa e i nemici esterni unisce le due razze umanoidi di Werel: i Nati Lontano, ultimi superstiti della colonia hainita che vivono nella città costiera di Landin, ormai isolati da oltre seicento anni dalla madrepatria, e i nomadi nativi del pianeta. È così che Jakob Agat Alterra, discendente degli "alieni" hainiti, conosce la giovane Rolery, figlia di un capo Clan nativo, e se ne innamora. Ma non sarà facile stabilire un'alleanza fra due razze che sembrano destinate all'eterna incomprensione. Pubblicato nel 1966, "Il pianeta dell'esilio" costituisce il secondo tassello del ciclo dell'Ecumene, un grandioso affresco della storia futura dell'umanità che Ursula K. Le Guin tratteggia con un'eccezionale abilità nel dare vita sulla pagina ad affascinanti mondi alieni.


Recensione e commento 

Il Pianeta dell’Esilio è in ordine di cronologia interna il secondo libro del ciclo dell’Ecumene e, essendo stato scritto nel 1966, è precedente a quello che l’autrice stessa chiama “il suo risveglio femminista”.

Infatti, è proprio Le Guin stessa a fornirci la chiave di lettura di questo romanzo nell’introduzione che è stata pubblicata con l’edizione del 1978, dove racconta di non essere stata consapevole, fino a un certo punto della sua vita, di aver creato storie ricche di uomini che prendono il sopravvento e di donne che agiscono molto meno. Eppure, il suo avvicinamento alla filosofia taoista le ha consentito di creare una protagonista, Rolery, che agisce secondo il principio del wu Wei, l’agire tramite il non agire. Per questo motivo, il Pianeta dell’Esilio mi è risultato una lettura più piacevole rispetto a Il Mondo di Roccanon, ma meno di altri romanzi successivi, perché più maturi e consapevoli sotto il profilo femminista.

Eppure, i temi cari all’autrice qui ci sono tutti e sono narrati in una storia tutto sommato lineare ma complessa sotto il punto di vista dell’ambientazione e dell’approfondimento psicologico. Il mondo in cui ci troviamo è un pianeta in cui le stagioni cambiano una sola volta nella vita delle persone perché un singolo anno solare dura circa settanta dei nostri anni. Su Werel sono sbarcati gli hainiti da centinaia di anni terrestri e scopriamo numerose informazioni riguardo all’Ecuemene: ai suoi rappresentanti è vietato imporre sistemi culturali, tecnologici o religiosi sui pianeti di approdo per non sfociare in dinamiche colonialiste. Sfortunatamente ciò porta a uno stallo lungo generazioni perché gli hainiti restano incastrati nella memoria del passato, perdono conoscenze comuni nella loro casa di origine e dimenticano nozioni che nella loro vita attuale non hanno più utilità né importanza, sentendo di non appartenere né al mondo da cui provengono, né a quello in cui si trovano, il tutto mentre aspettano invano che le popolazioni locali sviluppino un grado tecnologico sufficiente a giustificare la loro entrata nella Lega di Tutti i Mondi. Questa storia, nonostante si concentri sulla guerra, parla di come due popoli che non riescono a mischiarsi né culturalmente né biologicamente, alla fine facciano tabula rasa per riuscire a creare qualcosa di nuovo. 

Entrambi i popoli, sia l’approdato che il nativo, considerano sé stessi i veri umani e “alieno” chi non appartiene alla loro specie, nonostante i punti di incontro siano molteplici e prolungati nel tempo. Non è semplice creare qualcosa e in effetti Il Pianeta dell’Esilio si conclude con una speranza, con un punto di partenza più che di approdo, ed è un processo che la generazione corrente vive con sofferenza, perdendo molto mentre nasce qualcosa di nuovo, eppure per me è stato emblematico il modo in cui la vita riesce ad adattarsi a qualsiasi condizione e cambi costantemente, con ostinazione. 

Come sempre, anche il livello della scrittura è altissimo, ma questa volta Le Guin si è spinta persino oltre, perché pur raccontando con narratore esterno mantiene una focalizzazione interna mobile che rende perfettamente la psicologia del personaggio in scena in quel momento, dai conflitti di interiori di Agat, alla costate perdita del filo del discorso da parte dell’anziano Wold, ormai alla fine dei suoi giorni. 

Il Pianeta dell’Esilio è una storia di comprensione dell’altrǝ, di vicinanza e incontro specialmente nei momenti di crisi, di scegliere di vedere le somiglianze invece di evidenziare le similitudini. Le Guin è riuscita a emozionarmi un’altra volta.

mercoledì 7 maggio 2025

Cadavere squisito

  • Titolo: Cadavere squisito
  • Titolo originale: Cadáver exquisito
  • Autrice: Agustina Bazterrica
  • Traduttrice: Francesca Signorello 
  • Lingua originale: spagnolo
  • Codice ISBN: 9791280495600
  • Casa editrice: Eris
Trama


Marcos lavora nel mercato della carne da sempre, è un’attività di famiglia. Ma ora le cose sono cambiate, in modo radicale e irreversibile. Un virus ha attaccato gli animali, sia domestici che selvatici, per cui sono stati tutti sistematicamente abbattuti e la loro carne non può assolutamente essere consumata. Ora la carne che tratta è diversa, speciale, perché i governi di tutto il mondo hanno dovuto affrontare la situazione e hanno deciso di rendere legale l’allevamento, la produzione, la macellazione e la lavorazione della carne umana. Marcos si è dovuto adattare, cerca di non pensare a cosa fa per vivere, e fa del suo meglio per stare dietro a fornitori, clienti, ordini e consegne, perché deve pagare la casa di riposo in cui vive suo padre. E ora che sua moglie lo ha lasciato deve pensare a tutto da solo.


Recensione e commento

Quando si dice “breve ma intenso” si intende senza dubbio qualcosa di molto vicino a Cadavere Squisito, una lettura che sicuramente non suscita indifferenza e che difficilmente verrà dimenticata.

Tanto per cominciare, si tratta di una storia con più stratificazioni di significato delle quali quella letterale non è sicuramente trascurabile. Infatti, in questa Argentina del futuro gli animali non vengono più macellati e mangiati: sono gli esseri umani a venire allevati, ingrassati, uccisi e consumati. Improvvisamente, quando vediamo dei nostri simili nella posizione in cui noi mettiamo gli animali ci accorgiamo di quanto il sistema sia crudele e assurdo. Questa parte, quella letterale, è quella che mi ha scioccato di più ma non nel modo che pensavo: mi ha scioccato non essere rimasta scioccata più di tanto. Anche io, come chiunque altro sono talmente abituata alla violenza da non essere rimasta troppo toccata da un racconto in cui esseri umani come me e voi vengono letteralmente mangiati da altri umani. Mi ha fatto mettere in prospettiva la cultura in cui sono immersa ed è stato un bel colpo comprendere che non sono sensibile quanto pensassi.

Il livello metaforico, invece, si dirama su più livelli: sono soprattutto gli immigrati, i senzatetto, gli emarginati della società a essere vittime della prima ondata, ovvero quella in cui le persone vengono catturate e mattate, prima che venisse affinata la tecnica per sottomettere, rendere mansuete e controllate le nuove “bestie”. Anche all’interno del macello ci sono comunque “capi di bestiame” serie A e di serie B, ci sono i capi normali, allevati a mangimi pieni di ormoni e quelli che vengono cresciuti con cibi biologici solo per essere abbattuti mentre sono più sani possibile. In maniera quasi sfacciata, le femmine (che non sono vere e proprie donne proprio perché viene impedito loro di avere uno sviluppo cognitivo tale per cui possano dirsi persone adulte. In questo senso uso la parola “femmine”, perché non sono adulte cognitivamente, non perché intendo deumanizzarle) se la passano peggio dei maschi: costrette a gravidanze, arti tagliati per impedire loro di autolesionarsi, separate dai loro bambini e addirittura utilizzate come selvaggina a cui sparare mentre scappano per la propria vita mentre sono incinte, riescono comunque ad avere una condizione persino peggiore rispetto ai maschi che vengono allevati come stalloni che hanno più spazio e cibo migliore quasi fino alla morte. E non stupisce di certo vedere come chi ha più denaro e privilegio abbia anche il potere di fare del male impunemente. Come in un’estremizzazione neanche troppo eccessiva assistiamo a come il capitalismo, tramite i suoi esponenti al vertice della piramide, privi gli individui alla base delle libertà fondamentali, come sprema chiunque fino all’osso, come tutto, dalle interiora alla pelle venga utilizzato per essere venduto e trarne un profitto, e non c’è niente di nobile in questo: farsi spremere fino all’osso senza mai farsi domande e senza mai poter scendere dal nastro trasportatore è tutto fuorché glorioso, perché anche noi siamo prodotti da vendere.

Non sono nemmeno solo gli umani macellati le sole vittime del sistema, perché anche chi lavora nell’industria in un certo modo mi ha dato da pensare: nessuno vuole davvero fare quel mestiere, molti si sentono male, svengono e alla fine mollano, mentre i pochi che lo vogliono hanno degli evidenti problemi di sadismo: non puoi amare il tuo lavoro ed essere normale al tempo stesso, in un mondo così. Se non odi il tuo lavoro hai qualcosa che non va. Molti macellai fanno un lavoro che disprezzano solo per mantenere la famiglia e devono in qualche modo mettere un muro emotivo tra sé e quello che fanno per vivere, per non impazzire e non portare tanto dolore a casa, per quanto in una certa misura questo sia impossibile al punto che la nuova generazione è completamente desensibilizzata alla violenza e non ha più speranza di ricevere un contatto umano sano. Insomma, un po’ come in La fattoria degli animali di Orwell, la massa non ha consapevolezza del proprio potere, della forza del numero e vive senza nemmeno avere una voce in luoghi in cui viene allevata con il solo scopo di essere un prodotto e arricchire chi è già ricco, mentre chi deve sbarcare il lunario odia comunque il proprio lavoro e ha disgusto al pensiero di andarci tutte le mattine. Tutti detestano la propria vita e usano tantissimi termini edulcorati per raccontare un fenomeno agghiacciante in cui la maggior parte è vittima e pochi traggono profitto. La macellazione, poi, è anche la punizione per chiunque violi le norme sociali, perché alla fine siamo davvero sulla stessa barca e i ruoli possono invertirsi in un batter d’occhio, senza che si riesca davvero a rivoluzionare la situazione.

Lo stesso Marcos, il protagonista, ha un po’ lo stato d’animo di Winston di 1984, un individuo che sente una profonda insoddisfazione e un distaccamento tra ciò che pensa e ciò che dovrebbe pensare. Si rende conto delle idiosincrasie del sistema, delle sue contraddizioni ma sa di non poter combattere perché ha ancora troppo da perdere. E alla fine, senza nessuna speranza, anche lui amerà il Grande Fratello, appena trarrà il minimo vantaggio dall’oppressione altrui, dimenticando in un battito di ciglia quanto gli sia stato portato via dal sistema per avere in cambio un misero granello di soddisfazione. Il sistema che ci racconta è il nostro: quello in cui abbiamo così poco, ottenuto tramite modalità che odiamo e che è guadagnato su pile di cadaveri altrui.

Cadavere Squisito è un libro che schiaffeggia e fa male, che racconta di come ogni nostro successo sia in qualche modo basato sull’oppressione dei nostri simili e non risparmia nessuna parte della società dalle sue ferocissime critiche.

mercoledì 30 aprile 2025

Out on a Limb

  • Titolo: Out on a Limb - Un Amore in bilico
  • Titolo originale: Out on a Limb
  • Autrice: Hannah Bonam-Young
  • Traduttrice: Laura Scipioni
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788817181432
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama


Ok, forse vestirsi da pirati a una festa di Halloween non è l'idea più originale del mondo, ma che probabilità ci sono che ci sia un'altra persona vestita da pirata e che, come te, abbia un ottimo motivo per farlo? Win è nata con una malformazione alla mano e l'uncino le è sembrata un'idea spiritosa per sdrammatizzare. Bo ha subito di recente un'amputazione al ginocchio e quale scelta migliore di una gamba di legno per una festa in maschera? Forse il loro incontro non è una semplice coincidenza... Certo, Win ha deciso che dopo la sua ultima relazione fallimentare non si legherà più a nessuno. Bo, però, è simpatico, sexy e tenero. Nasce tra loro un'intesa immediata e irresistibile, e dopo quella che avrebbe dovuto essere solo l'avventura di una notte, Win scopre di essere incinta. Ora deve affrontare una decisione che potrebbe stravolgere la sua vita. E Bo è pronto a sostenerla. Insieme, decidono di conoscersi meglio, come amici e niente di più. Ma, come ormai entrambi dovrebbero sapere, la vita raramente va secondo i piani. Con un'intervista esclusiva all'autrice.

Recensione e commento

In genere mi approccio alle nuove letture con uno scetticismo scientifico: dimostrami che non sei un brutto libro. Invece, in questo caso, ho iniziato con un discreto ottimismo, nonostante, in linea teorica Out on a Limb non sia esattamente la mia tazza di tè. 

Out on a Limb è un romance contemporaneo che racconta di Winnie e Bo che, dopo un rapporto occasionale, scoprono di aspettare un figlio assieme. Non è uno spoiler, perché è letteralmente scritto sulla quarta di copertina e potrebbe sembrare una trama  trita, se non fosse per il dettaglio inconsueto che entrambi hanno una disabilità: Winnie ha una mano sottosviluppata dalla nascita, mentre Bo ha subito un’amputazione alla gamba. Non c’è niente di straordinario nella loro disabilità, è qualcosa che vivono in modo normale come condizione naturale della loro vita, ma è straordinario, invece, che la loro libido venga ritratta tanto fedelmente in un prodotto così pop. Winnie in particolare è una protagonista rara da trovare, i suoi flussi di coscienza in cui riflette sul suo corpo in un paio di occasioni mi hanno fatto bagnare gli occhietti perché raccontano di come i problemi di accettazione di sé non siano legati al modo in cui lei percepisce il proprio corpo, ma allo sguardo altrui esattamente come qualsiasi altra donna che vive in una società in cui moltissime industrie vengono tenute in piedi dalle insicurezze femminili. Complessivamente, lei accetta e apprezza il suo corpo, ci si sente abbastanza a suo agio, ma come chiunque di noi vede i suoi cosiddetti difetti estetici amplificati e questo riguarda qualsiasi tipo di non-conformità, anche quelle che non sono legate alla sua mano. Winnie è una donna normale, con una libido abbastanza prorompente che non si vergogna di mostrare né si preoccupa di nascondere, eppure per il mondo è solo “un gran peccato che abbia una mano sottosviluppata”, così come è fuori dall’ordinario che sia brava nel nuoto, attività che adora e che passa molto tempo a praticare, visto che ha “quella mano”. Ma cosa dovrebbe esserci di tanto strano se una persona diventa brava a fare qualcosa che ama e che pratica a lungo?

La copertina della versione indie
Secondo me è carinissima
Bo, invece, ha avuto meno tempo per accettare la propria condizione, poiché la perdita dell’arto è recente, non una condizione congenita. In questo contesto, io, che non amo le scene erotiche, mi sono ritrovata ad considerare positivamente il modo in cui Winnie e Bo si prendevano cura l’una dell’altro, preoccupandosi sia di fare sentire l’altra persona a proprio agio, sia di apprezzare anche la parte che creava loro più insicurezza. Il modo in cui entrambɜ si sono sentitɜ vistɜ, in un mondo che non riconosce la libido delle persone disabili, e che anzi le infantilizza, è una dinamica che ho trovato davvero importante ed è il sintomo sano di un mondo che sta cambiando e deve cambiare. Anche da un punto di vista qualitativo l’erotismo in Out on a Limb è superiore alla media, perché le scene sono meno meccaniche, molto più spontanee e meno standard negli atti in sé rispetto a molti romanzi per lo stesso target.

Ancora meno ritratta della libido all’interno della disabilità è la genitorialità e sotto questo aspetto non solo abbiamo le preoccupazioni di Winnie, che teme di aver trasmesso allǝ figliǝ la condizione della sua mano, per quanto razionalmente sappia che non si tratti di una sindrome genetica, e quella di Bo, che teme di aver trasmesso i geni della malattia che lo ha condotto ad avere un arto amputato: ciò che personalmente ho trovato sorprendete è stato vedere due persone adulte comunicare in modo sano, fare compromessi, venirsi in contro e assumersi serenamente le proprie responsabilità, anche gioiosamente la maggior parte delle volte.

È infatti questa la mia parte preferita di Out on a Limb: la relazione sana (con qualche scivolone, ma ne parliamo nel prossimo paragrafo) tra i due personaggi. Questo romanzo è quasi sempre dolcissimo, per quanto se siete persone un po’ troppo realiste come me potreste trovarlo stucchevole e poco verosimile (ma questo è un problema mio, non un difetto oggettivo del libro che si prefigge uno scopo escapista che  mantiene fino in fondo), ma anche il mio cinismo è quasi sempre venuto meno per fare spazio a sorrisini dolci quando i due personaggi, gradualmente, si avvicinavano, si innamoravano e si guarivano a vicenda con piccoli atti di gentilezza e fiducia reciproca, in modo totalmente indipendente e scollegato dalle loro disabilità. Comprendono sicuramente i reciproci disagi e cercano di anticiparsi nelle esigenze, ma non si innamorano per la loro condizione, quanto per quanto si sentano a proprio agio accanto all’altra persona.

I tasti dolenti, invece, risiedono nel fatto che la dolcezza del romanzo e la sanità della relazione fa abbassare completamente la guardia, per cui quando spuntano fuori alcune situazioni con potenziali trigger colgono chi legge completamente di sorpresa, e non in modo positivo. Per esempio, la migliore amica della protagonista è, scusatemi la similitudine un po’ colorita, simpatica come la sabbia nelle mutande e non ero preparata alla scena in cui prende in giro con cattiveria i nerd, categoria di cui fa parte suo marito, per un hobby totalmente innocuo che questo povero Cristo deve praticare di nascosto per non subire il bullismo di questa fastidiosa ape regina da film degli anni Duemila. E ripeto, per quanto alla fine la cosa vada a finire a tarallucci e vino, sul momento è stata una bastonata sui denti perché non mi ero preoccupata di alzare delle difese emotive, proprio perché il libro era, fino a quel momento, dolcissimo. Fare passare come divertente la prepotenza di questa donna nei confronti del marito, uomo che dovrebbe piacerle, dato che lo ha sposato, non mi è sembrato coerente con il resto della narrazione (sì, l’autrice ha pubblicato un libro sulla loro coppia e no, non lo leggerò). A differenza di ciò che ho scritto sulla mia percezione personale nel paragrafo precedente, questo non è un mio problema legato al gusto personale, perché mentre facevo gli aggiornamenti di lettura su Instragram varie utenti mi hanno confermato di aver provato le mie stesse emozioni durante la lettura. 

Inoltre, anche la relazione tra Winnie e Bo, completamente sana per il novanta percento del libro, quando i due personaggi alla fine si mettono assieme, commette qualche scivolone. Anche qui, a un certo punto salta fuori quella che in qualsiasi altra relazione sarebbe una enorme, gigantesca red flag, perché instaura una dinamica che sbilancia i rapporti di potere nella coppia e la cosa accade tramite dei modi anche un po’ manipolatori. L’unica cosa che consente di passarci sopra è appunto il fatto che l’intento del libro sia chiaro: sappiamo che tutto andrà bene e non ci saranno relazioni abusive o disfunzionali, ma in questa circostanza la sospensione dell’incredulità è venuta meno perché la situazione poteva essere la stessa ma gestita in modo diverso o usando parole differenti (non posso dire di più o è spoiler).

Bonam-Young è riuscita a raccontare in modo pop una storia dolcissima con un tema importante. Le riflessioni che sicuramente lei stessa ha fatto nell’arco della sua vita, dato che vive con la stessa condizione congenita di Winnie (per quanto non abbia messo sé stessa nella storia, ma abbia creato una personalità completamente diversa) sono la perfetta commistione tra la sua esperienza personale e lo studio dell’argomento che tratta, cosa che non sempre avviene quando chi scrive racconta qualcosa che vive o ha vissuto in prima persona.

Insomma, Out on a Limb, pur con qualche scivolone, è un romanzo dolce di cui si sente l’esigenza in un mondo che va di corsa. La rappresentazione della disabilità è forse la migliore che abbia mai letto e fa molto piacere vedere che appartiene a un prodotto di così ampia diffusione e c’era davvero tanto bisogno di una storia così.

mercoledì 5 marzo 2025

Ritrovato e Perduto

  • Titolo: Ritrovato e Perduto
  • Titolo originale: The found and the lost
  • Autrice: Ursula K. Le Guin
  • Traduzione: Teresa Albanese, Pietro Anselmi
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804798514
  • Casa editrice: Mondadori

Trama

Popolazioni con misteriosi poteri magici in grado di plasmare il destino di intere civiltà. Realtà parallele nate nella notte dei tempi. Astronavi in preda al fanatismo religioso. Ritrovato e perduto è un viaggio attraverso mondi straordinari, dove la magia si intreccia con la scienza e l'umanità si rivela nei suoi lati più sorprendenti. Questo volume raccoglie i pluripremiati racconti lunghi (o novellas) di Ursula K. Le Guin, molti dei quali ambientati nei celebri universi da lei creati, quello di Terramare e quello dell'Ecumene. Ogni racconto è una finestra su una realtà nuova e unica: come Libellula, in cui una giovane donna, in nome del cambiamento e della libertà, sfida regole e pregiudizi tentando di entrare nella Grande Casa di Roke, tradizionalmente riservata agli uomini; o Herne, un testo lirico e malinconico che si concentra sulla memoria, le tradizioni e l'identità culturale di un popolo. O ancora Paradisi perduti, una narrazione di viaggio e scoperta, dove i personaggi, diretti verso un pianeta lontano, riflettono su ciò che significa trovare un luogo e chiamarlo casa. Tredici piccole gemme di un'autrice considerata una delle voci narrative più importanti del Novecento, non solo all'interno del genere fantastico e fantascientifico.


Recensione e commento



Non ho amato ogni singolo racconto o romanzo breve di questa raccolta, ma quelli che ho amato mi sono entrati indelebilmente dentro. Partiamo con ordine.

In quest’antologia si spazia tantissimo con i generi di cui Le Guin ha scritto: ci sono racconti storici, altri allegorici, allucinatori e deliranti, altri ancora, invece, sono tratti dalle Leggende di Terramare, mentre altri sono parte del ciclo fantascientifico dell’Ecumene per concludere con storie e romanzi brevi che non sono parte di nessuna saga.

Ciò che più ho preferito della scrittura di Le Guin, come sempre, è la capacità di approfondire e al tempo stesso esprimere i concetti con sintesi sconfinata. Ad esempio, in La Questione di Seggri avrebbe potuto essere molto più dicotomico se fosse stato scritto da un’altra penna, ma Le Guin è riuscita a trattare il ribaltamento dei ruoli di genere senza trasporre gli stereotipi di genere in modo simmetricamente invertito. Anzi, l’autrice riesce a raccontare di un mondo in cui il rapporto tra donne e uomini è di 16:1, per cui gli uomini sono rari, tenuti in gran conto per la riproduzione e per questo hanno tutti gli onori ma non tutti i privilegi. Non hanno libertà, dato che la libertà comporta scelte e responsabilità. Vengono chiusi in dei castelli in cui restano esclusivamente tra di loro fino al raggiungimento della maturità sessuale, ovvero il momento in cui sono venduti ai bordelli nella speranza di fecondare una donna e ricevere più soldi. In questo bellissimo racconto, in cui ci viene mostrata un’ambientazione approfondita con poche pennellate, e tramite il punto di vista individuale dei personaggi assistiamo a ciò che non è che l’inizio di una lotta che porterà alla parità tra i generi, un percorso lungo, faticoso e formato tappe da raggiungere nel corso dei secoli.

Alcuni racconti sono stati crudi e scioccanti, come Liberazione di una Donna, in cui viene affrontato il tema dello schiavismo e dell’ oppressione. Anche qui, i termini il tono sono tutto fuorché retorici: siamo a cavallo di una rivoluzione che, anche in questo caso, ci viene raccontata attraverso un punto di vista individuale. Infatti, tutto il contesto precedente al sovvertimento dello status quo è presentato tramite gli occhi dell’allora inconsapevole protagonista, nata schiava ma che tra le schiave è privilegiata poiché il suo aspetto canonicamente attraente le risparmia il lavoro pesante e la rende animaletto domestico della nobiltà. Grazie al suo flusso di coscienza magistralmente descritto ci rendiamo conto di quanto sia sbagliato quello che vive ogni giorno nella sua vita fatta di abusi che lei non percepisce come tali perché è talmente immersa in un mondo abituato allo schiavismo da non vederci nulla di male. La rivoluzione porta sì la consapevolezza, ma anche il dolore di perdere quel poco di privilegio che si aveva, quel briciolo di sicurezza e agio non tanto materialmente parlando, quanto in termini di vita conosciuta. Smettere di essere schiava e prendersi la propria libertà non è semplice perché non basta aprire le porte della gabbia per poter scappare: sopravvivere consiste nell’accontentarsi di essere oggetti, ma vivere davvero comporta un grado di sforzo difficile da accettare per l’intera fetta di popolazione che è stata assoggettata per generazioni. 

Le Guin non è mai banale nemmeno quanto scrive romanzi brevi su argomenti apparentemente abusati. Esistono, infatti, moltissime altre storie che raccontano di un seme di umanità che si chiude in una navicella spaziale in viaggio per secoli in attesa di approdare su un nuovo pianeta da abitare. Eppure, come sempre, il suo punto di vista mi ha stupita e ha mostrato lati della psiche umana che non avevo preso in considerazione. Paradisi perduti ci racconta di un’umanità che ha imparato a considerare il viaggio stesso lo scopo della sua esistenza, molto più della destinazione. È un romanzo sull’interrogarsi. In questa storia, la navicella spaziale su cui abitano gli umani è diventata il mondo intero, al punto che gli abitanti si domandano quanto abbia senso per loro portare a termine un viaggio che è stato pensato e programmato cinque generazioni prima. L’umanità che abita la Discovery comincia a considerare il viaggio l’essenza stessa dell’esistenza, che ha importanza inquanto tale, a prescindere dalla destinazione. Parla di un’umanità diversissima da quella che è coraggiosamente partita dalla Terra e che ha ormai paura di rischiare. La nuova sfida è reimparare ad avere a che fare con pericoli, incognite e dissensi, oltre al trovare la risposta di quale sia il senso della propria vita: se sia il viaggio un viaggio senza meta o la destinazione per cui tale viaggio è stato intrapreso. Questa è stata decisamente la storia che mi è piaciuta di più di tutta la raccolta e mentre ne scrivo ho già voglia di rileggerla. 

Se avrete la pazienza di aspettare, oppure deciderete di saltare i racconti che non vi convincono, poiché in una raccolta di tredici storie non tutte possono fare al caso vostro, troverete sicuramente qualcosa nelle vostre corde: la penna di Le Guin spazia in registri e generi al punto che Ritrovato e Perduto costituisce un catalogo delle sue abilità e saprà indirizzarvi verso le opere della sua produzione che vanno bene per voi.

mercoledì 15 gennaio 2025

L’ultima Ora tra i Mondi

  • Titolo: L’ultima Ora tra i Mondi
  • Titolo originale: The last Hour between Worlds
  • Autrice: Melissa Caruso
  • Traduttrice: Veronica La Peccarella
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9791259676290
  • Casa editrice: Fazi
Trama 


In questo gioco nulla è come sembra e neppure la morte è la fine di tutto. Il tempo scorre inesorabile.
Chi farà la prossima mossa?
È la vigilia del nuovo anno e, dopo settimane passate in casa con la figlia appena nata, Kembral Thorne, membro in congedo della gilda dei Segugi, si prende una serata libera per andare a uno sfarzoso ballo, a cui parteciperanno tutte le personalità più in vista della città di Acantis. Nonostante la stanchezza per le notti insonni, Kem tenta di godersi la festa e di ignorare la presenza di Rika, attraente spia dagli occhi grigi e penetranti e sua acerrima nemica. Quando però gli invitati iniziano a morire e i rintocchi di un antico orologio a pendolo fanno precipitare la realtà Alfa in una serie di dimensioni parallele sconosciute e pericolose, Kem sarà costretta a prendere in mano la situazione. E per salvare la città dall’imminente catastrofe e sconfiggere lo spaventoso cavaliere dagli occhi d’argento dovrà contare proprio sull’aiuto di Rika.
Con il ritmo incalzante di una spy story, in L’ultima ora tra i mondi Melissa Caruso ci trascina tra inquietanti mondi paralleli e sontuosi balli dalle atmosfere vittoriane, costruendo un meccanismo diabolico e misterioso che terrà il lettore incollato fino all’ultima pagina.

Recensione e commento


Nella scorsa recensione, quella che riguardava A Dark and Drowning Tide, avevo posto la domanda “che cosa rende tale un romanzo per adulti?”, proprio perché quel titolo non aveva delle caratteristiche particolari che lo differenziassero da un target diverso. Non si può dire la stessa cosa di L’ultima Ora tra i Mondi.

Questo romanzo, che mi è capitato tra le mani per caso, dato che mi è stato regalato, ha saputo stupirmi con una rappresentazione ben fatta (cosa nient’affatto scontata) di una delle categorie più sottorappresentate del fantasy: quella delle madri. Kembral, infatti, è da poco diventata madre, ha una bambina di due mesi ed è comprensibilmente in debito di sonno e già qui le cose si faranno interessanti, dal momento che nella narrativa fantastica sono poche le opzioni per le madri: possono essere angeli del focolare, assenti, matrigne, molto più spesso muoiono di parto con il solo scopo narrativo di portare alla luce chi salverà il mondo, oppure in ultima istanza la maternità determina la fine delle avventure. Per Kembral, invece, non sarà così, perché per quanto il suo intento sia quello di passare una serata rilassante a una festa senza sua figlia, sarà proprio questo il teatro della vicenda. Kem non si sente a suo agio nel suo nuovo corpo, cambiato dalla gravidanza, e nonostante abbia deciso di uscire senza la sua neonata, il pensiero va sempre a lei: ogni decisione che prende è finalizzata a tenerla al sicuro e assicurarle la presenza di sua madre, quando le circostanze la porteranno a combattere per la sua vita, completando perfettamente l’arco di formazione dell’eroina.

È questo che intendo dire quando affermo che L’ultima Ora tra i Mondi è un romanzo adulto: non per la sola età della protagonista e nemmeno, come viene spesso frainteso questo target, con la presenza di sesso e violenza espliciti, anche perché in questo libro non ce ne sono. No, L’ultima Ora tra i Mondi è un romanzo adulto perché Kembral parla, agisce e si comporta come un’adulta, e lo sarebbe anche se la figlioletta appena nata non esistesse proprio. I suoi problemi e il modo di affrontarli sono da persona adulta che non ha tempo per i drammi inutili, deve pensare a un’altra creatura, è divisa tra maternità e carriera, che sembrano inconciliabili, e deve al più presto risolvere una situazione che mette in pericolo la vita di molte persone, senza che in questa circostanza si faccia guidare dagli ormoni per il bel tenebroso di turno, che in questo caso non c’è affatto.

E in effetti, per una volta, ho apprezzato anche la sottotrama romantica perché anche qui mi è sembrato tutto fatto bene, la dose di dramma era adeguata al contesto e anche quella viene gestita contenendo i toni e senza degenerare, nonostante Kembral e il suo interesse amoroso, la sfuggente Rika, siano letteralmente cane e gatto.

L’originalità della storia non si ferma qui, anche il worldbuilding e il sistema magico sono dei grandi punti di forza. All’inizio ho pensato in maniera prevenuta che fossero entrambi una scopiazzatura dell’Attraversaspecchi, ma per quanto ci siano delle somiglianze, in realtà le strade intraprese nelle due storie sono completamente diverse. Melissa Caruso riesce nell’intento di creare un sistema magico così dettagliato da fare apparire le vicende estremamente logiche e sensate, anche se per arrivare a questo risultato l’inizio del libro è stato un pochino macchinoso perché alcune informazioni andavano per forza date tutte assieme. Passato quel momento, il libro scorre via senza intoppi, anche quando non era semplice. Una delle possibili difficoltà consisteva proprio nel worldbuilding, dal momento che tutta la trama, o quasi, si sviluppa all’interno della stessa stanza, sono pochissime le situazioni in cui le protagoniste escono da essa o addirittura dall’edificio. Questo espediente avrebbe potuto risultare claustrofobico, ma poiché la trama consiste nel degenerare via via sempre più in profondità di questi echi che sono livelli diversi e mutevoli della realtà, allora la stanza, la casa, la città cambiano e chi le abita assieme a loro.

Anche l’uso della violenza, che è presente, serve a risolvere un conflitto momentaneo ma non quello trainante, dato che per problemi complessi servono soluzioni complesse. In numerose situazioni, infatti, Kembral dice nel suo flusso di coscienza di avere voglia di sfoderare la spada, ma di essere consapevole che questo non risolverebbe le cose.

Sono felicissima che L’ultima Ora tra i Mondi sia stata la mia prima lettura conclusa nel 2025, senza nemmeno farlo di proposito ho cominciato con un romanzo ambientato proprio a capodanno. L’arco di formazione dell’eroina, la sua costruzione solida e il fatto che sia una storia tanto ponderata e senza buchi me lo hanno reso molto caro.

mercoledì 8 gennaio 2025

A Dark and Drowning Tide

  • Titolo: A Dark and Drowning Tide - Un’oscura marea
  • Titolo originale: A Dark and Drowning Tide
  • Autrice: Allison Saft
  • Traduttrice: Federica Beltrame
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788809920095
  • Casa editrice: Giunti
Trama


Quando Lorelei Kaskel, giovane esperta di folklore, viene coinvolta in una spedizione per conto di re Wilhelm, pensa che sia l'occasione perfetta per riscattare le sue umili origini di figlia di un ciabattino: potrà finalmente mostrare il suo talento, incoronare il sogno di diventare una naturalista e liberare il popolo degli yevi, da sempre oppresso e discriminato. La missione prevede di trovare l'Ursprung – la sorgente di tutta la magia – al fianco di sei nobili accademici, cresciuti insieme ma divisi da antiche rivalità. A capo del gruppo l'abile professoressa Ziegler, che Lorelei aiuterà nel ruolo di guida. La ricerca, però, prende d'improvviso una piega inattesa: Ziegler viene brutalmente uccisa, e tutti diventano possibili sospettati. Il re interviene per chiedere a Lorelei di scoprire il colpevole, ma anche di portare a termine l'obiettivo. Accanto a un'indagine serrata, comincia così un viaggio avvincente tra creature maligne e foreste mutaforma, tra acque dai segreti insondabili e affascinanti volte stellate. A complicare le cose c'è Sylvia von Wolff, la principessa dai capelli lunari e gli occhi d'argento, acerrima rivale di Lorelei da tempo immemore. Nessuno meglio di lei conosce e sa addomesticare gli esseri che popolano quei luoghi fumosi e, soprattutto, è proprio Sylvia l'unica in grado di testimoniare l'innocenza di Lorelei agli occhi degli altri. Le due nemiche si trovano così unite per risolvere il mistero e scovare la preziosa fonte che dovrebbe garantire la salvezza del regno intero. Ma la tensione fra loro diventerà presto febbrile: e se dietro l'ostilità si nascondesse solo l'eterna paura di amare? Tra folklore e atmosfere gotiche, degne di un magistrale dark academia, un delicato sapphic romance capace di emozionare come la migliore delle fiabe.

Recensione e commento

Cosa fa di un adult un adult? Mi sono posta questa domanda sia mentre leggevo il libro di cui vi parlo oggi, sia quando ho iniziato la mia lettura successiva, di cui vi parlerò presto.

Ho parlato di A Dark and Drowning Tide nelle mie storie su Instagram varie volte e per ciascuna di esse ho sempre ricevuto dei messaggi in privato da parte di persone che mi dicevano di non essere state in grado di portare a termine la lettura. Da persona che invece ce l’ha fatta, credo di aver trovato delle spiegazioni e hanno tutte a che fare con la sospensione dell’incredulità che traballa troppo, per una serie abbastanza vasta di motivi.

Il primo che mi viene in mente, per esempio, è che è tutto estremamente blando, sbiadito. Saft nella sua scrittura cerca di essere sintetica, ma purtroppo quella è una dote che appartiene a penne più esperte e profonde, per cui la mancanza di dettagli si traduce non in una scultura creata con pochi colpi di scalpello, quanto in un bassorilievo abbozzato che ci racconta di personaggi, ambientazione e sistema magico che non sono né macchiettistici, né caratterizzati. Ed è proprio questo fenomeno, secondo me, che si traduce in una serie di conseguenze a cascata: a noi che leggiamo non interessa praticamente nulla di quello che ci viene raccontato, non ci affezioniamo a nessuna delle figure in scena e non ci coinvolge emotivamente neanche in minima parte il loro viaggio pieno di peripezie. In questo romanzo che parla di acqua che scorre e del suo potere trasfigurativo manca completamente l’immersione. Non c’è un motivo che ci porti a fare il tifo per le protagoniste e per la loro causa, nonostante la situazione politica complessa e precaria del regno in cui vivono non abbiamo abbastanza ragioni per credere nella loro causa, che è quella dell’unificazione, preferendola a quella dell’indipendenza di ciascuna provincia. Anche l’antagonista non ha abbastanza carisma da catturare l’attenzione, perché anche in questo caso la pecca maggiore è proprio quella della mancanza di immersione. 

Sin dall’inizio è evidente il tentativo di creare una tensione che non solo non esplode, ma nemmeno comincia mai davvero, dato che le due protagoniste sono apparentemente rivali ma finiscono con l’ottenere immediatamente ciò che vogliono, l’antagonista si capisce in maniera quasi immediata e ci sono troppe occasioni narrative sprecate. Abbiamo una persona che si sta trasformando in un albero e la cosa viene risolta a tarallucci e vino, così come la ricerca di un’isola che si sposta e appare sempre in luoghi diversi e imprevedibili non esiste perché, per motivi che non ci vengono raccontati, la protagonista sa già dove apparirà, senza darci alcuna spiegazione su come abbia avuto certe informazioni, rendendo tutto macchinoso e inverosimile. Inoltre, alcune volte i comprimari hanno alcune caratteristiche che spiccano rispetto a Sylvia e Lorelei. La storia è narrata proprio attraverso il punto di vista di quest’ultima ma spesso è maggiormente visibile la passione di altri personaggi per il proprio lavoro che di lei per il suo. Capita, infatti, che nel flusso di coscienza vengano inseriti dei frammenti di fiabe e racconti popolari che le vengono in mente in quel momento, ma ciò molto spesso distrae, non ha un’utilità e spezza la narrazione, il tutto senza che Lorelei mostri mai di amare davvero le storie e senza mai farci comprendere o intuire un qualsiasi significato, anche solo emotivo, che potrebbero avere per lei.

La cosa più apprezzabile è stata proprio la storia d’amore tra le due ragazze, anche se mi ha convinta solo sul finale, perché lì ho iniziato a percepire la chimica di una coppia che a me pare male assortita. Si volva creare il classico mix di persone che riescono ad amarsi nonostante le differenze caratteriali e di classe, ma anche in questo caso mi è parso che Sylvia, la più privilegiata delle due, non fosse in grado di comprendere a pieno il disagio di Lorelei, letteralmente costretta a vivere in un ghetto in quanto ebrea (anche se non è questo il termine che viene usato, ma è costante il riferimento alle tradizioni ebraiche, ai luoghi di culto e al folklore), per cui anche nell’affrontare la loro love story manca qualcosa.

Tornando alla domanda che ho scritto all’inizio, l’autrice ringrazia il suo lettorato perché ha deciso di leggere il suo primo adult, ma cosa dovrebbe rendere tale questo romanzo? Credo che il solo elemento sia l’età delle protagoniste che sono a metà dei loro vent’anni, ma gli eventi e le dinamiche non differiscono molto da quelle dello young adult, specialmente nella presenza di drama non necessario, e in effetti credo di aver letto diversi libri con trama e dinamiche molto simili annoverati nel target ya (questo è un argomento che affronterò meglio in una delle prossime recensioni perché ho scovato un libro che per me è l’emblema di come si scrive davvero una protagonista adulta).

Come recensione può sembrare molto negativa, ma in realtà il peggior difetto di A Dark and Drowning Tide è quello di non avere una vera e propria identità né nei pregi né nei difetti, purtroppo è una lettura che passa inosservata, che si dimentica più che lasciare una sensazione di disappunto. Non è brutto in senso stretto, ma è un romanzo per il quale abbassare le proprie aspettative.

mercoledì 11 dicembre 2024

Il Mondo della Foresta

  • Titolo: Il Mondo della Foresta
  • Titolo originale: The Word for the World is Forest
  • Autrice: Ursula K. Le Guin
  • Traduttore: Riccardo Valla
  • Codice ISBN: 9788804757467
  • Casa editrice: Mondadori 

Trama

Il "mondo della foresta" è il pianeta Athshe, abitato da una specie umanoide di "piccoli ometti verdi" che ha dato origine a una civiltà pacifica, basata sulla conoscenza di sé e sull'armonia dello spirito. I coloni venuti da Terra lo chiamano New Tahiti, ne sfruttano la popolazione, che considerano inferiore, e ne predano le risorse abbattendo indiscriminatamente gli alberi per inviare il prezioso legname sul loro lontanissimo mondo, dal quale la vegetazione è scomparsa. I miti nativi di Athshe si scontreranno loro malgrado con il modo di vivere rapace dei terrestri, imparando cosa siano l'avidità, la violenza, la vendetta. Sesto libro del "ciclo dell'Ecumene", "Il mondo della foresta" (Premio Hugo nel 1973 per il miglior romanzo breve) parla di sopraffazione e resistenza, della perdita dell'innocenza e del potere del sogno. In una trama fantascientifica che riecheggia gli eventi del Vietnam, racchiude, con toni talora crudi, talora fiabeschi, i temi cari a Le Guin: l'eterna dialettica tra bene e male, l'incontro di culture, l'armonia con la natura, la pace.


Recensione e commento

Come ormai saprete, per me è sempre difficile scrivere una recensione su un romanzo di Ursula Le Guin perché qualsiasi cosa io possa dire appare superflua rispetto a tutto quello che ha detto lei da sé. Questo testo non fa eccezione, si esplica perfettamente da solo, ma come sempre cercherò di fare del mio meglio. 

I temi di ambientalismo e diversità sono quanto mai presenti in Il Mondo della Foresta, al punto che sono arrivata a capire che non era lei avanti sui tempi, ma noi estremamente in ritardo. Infatti, in questo romanzo, lei stessa ammette di non aver resistito alla tentazione del pulpito e di farci la morale, per una volta, e, senza mai sfociare nella banalità, ci racconta di un mondo in cui non puoi mangiare i tuoi soldi, una volta che hai bruciato tutti gli alberi e inquinato tutte le acque. Questo romanzo scritto e pubblicato in piena guerra del Vietnam ha sicuramente delle similitudini con la realtà, primo fra tutti l’uso del napalm, la forte presenza della foresta sia come tratto culturale che come elemento strategico in guerra, e di un popolo che in essa riesce a nascondersi al punto da considerarla il mondo intero.

Ci viene mostrato come gli umani si concentrino sempre e solo sulle differenze e mai sulle cose in comune, infatti, come spesso accade nella fantascienza di Le Guin, abbiamo esseri umani che sono stati impiantati sui vari pianeti e lì hanno seguito percorsi evolutivi diversi, ma sono sempre la stessa cosa, anche se adattata a una natura diversa. In questo contesto, l’autrice ci mostra le sfaccettature del razzismo, le sue ipocrisie e i suoi bias, perché i nativi vengono considerati umani o non umani a seconda di ciò che fa comodo all’oppressore: quando si tratta di farli lavorare come asini da soma allora sono facilmente identificabili come animali, ma quando c’è da violentare le donne allora sono abbastanza umane da andare bene. Allo stesso tempo, mentre tutto ciò che viene commesso in prima persona viene considerato legittimo, sacrosanto o quantomeno giustificabile, il pensiero che possa accedere qualcosa di simile a parti inverse diventa insopportabile e disgustoso. Al rapporto tra le due fazioni presenti nel romanzo viene attribuita moltissima della retorica ancora oggi presente nella dialettica razzista, soprattutto per quanto riguarda la cultura e le differenze fisionomiche che nulla hanno a che fare con il pensiero o le capacità.

Lo stesso tipo di traslazione viene fatta anche in ambito ambientalista. Nella prefazione Le Guin ci racconta che in quel periodo era comune per lei unirsi a manifestazioni pacifiche di protesta contro la guerra e contro lo sfruttamento dell’ambiente e che trovasse molto strano che tutto ciò venisse considerato bizzarro. Nel romanzo vediamo che l’utilitarismo verso la terra si giustifica con una indiscriminata deforestazione sul pianeta colonizzato, come se la mancanza di legno sulla Terra, causata proprio dallo stesso identico tipo di sfruttamento, giustificasse tutto. Ci viene mostrata un’umanità che non solo non ha imparato nulla, ma che continua a basare il suo modello economico sulla prepotenza e la prevaricazione, senza mai comprendere che non siamo noi contro la natura, ma noi e la natura assieme.

Sono 160 pagine davvero pregne e personalmente la cosa che amo di più di Le Guin è che non si perda in chiacchiere, perché riesce sempre a delineare anche in un solo paio di battute di un discorso diretto tutto quello che ci serve estrapolare per farci un pensiero nostro. Ed è infatti in questo modo che ci viene raccontato dell’inadeguatezza della politica, perché i politici dei vari enti internazionali e interplanetari sono lì a parlarsi tra di loro, a chiedere tregue, a dire che devono parlare prima con i loro superiori, ma nessuno si prende la briga di trattare con la popolazione locale o di fare a lei delle promesse.

Anche i personaggi sono altrettanto complessi per quanto delineati in pochissimo spazio, solo uno di loro è completamente malvagio, mentre gli altri sono umani e quindi un mix di bontà e cattiveria. Persino il personaggio più positivo è inconsapevolmente sessista, non perché intenda esserlo, quanto perché è nato e cresciuto immerso in quel tipo di società e questo è chiaro dalle cose che dice in merito al suo rapporto con le donne.

Non sono sicura di essere stata sufficientemente convincente, ma non credo che Le Guin abbia bisogno di troppe presentazioni. Non ho mai letto un suo libro pensando “Questo lo ha scritto perché aveva la rata del mutuo”, anzi, ogni sua parola, ogni sua frase è sempre necessaria e la vivo come un arricchimento. Il Mondo della Foresta non fa eccezione, è un libro efficace e all’avanguardia che dovremmo recuperare tuttɜ per sapere quanto tempo abbiamo avuto per cambiare le cose e invece non lo abbiamo fatto.

In 160 pagine è riuscita a criticare l’invasione del Vietnam, la scarsa attenzione verso l’ambiente sia dell’opinione pubblica, sia della politica, che resta indifferente anche davanti ai genocidi. Se dopo cinquant’anni dalla prima pubblicazione non è cambiato nulla allora temo che non fosse lei a essere troppo avanti ma noi troppo indietro.

venerdì 29 novembre 2024

La seconda Lingua madre

  • Titolo: La Seconda Lingua Madre
  • Titolo originale: La segunda lengua materna
  • Autrice: Flor Canosa
  • Traduttrice: Rosa Ricciardi
  • Lingua originale: spagnolo
  • Codice ISBN: 9791281937024
  • Casa editrice: Future Fiction
Trama


Argentina, futuro prossimo: gli impianti neurali fanno parte della quotidianità e la memoria è diventata inutile, sostituita dall’abilità di saper cercare il dato giusto. Tra i creatori degli impianti spicca la figura di Hana Schmidt, impegnata nello sviluppo di un chip – destinato a essere rivoluzionario – presso l’Istituto Nazionale di Tecnologia Implantologica. Hana divide il suo tempo libero tra due amanti: Lars Kunkel, un indolente collega di lavoro, e Johan Müller, un compositore introverso. I tre finiranno per creare un triangolo amoroso, mutevole e irreversibile, una struttura complessa dalla quale sarà impossibile uscire indenni. In questo scenario avverrà l’impossibile: Hana concepirà un figlio da due padri e da quel momento in poi, nulla sarà più come prima, non solo per lei, ma per tutta l’umanità.
Difficile da classificare, impossibile da abbandonare, La seconda lingua madre si muove tra fantascienza, cyberpunk, new weird e melodramma familiare. Intessuta da un labirintico sistema di note a piè di pagina che s’infiltra in maniera spiazzante nella narrazione di Hana, questa è una storia di legami: erotici, sentimentali e linguistici, tutti influenzati e plasmati dalla tecnologia.
Preparatevi a un’esperienza di lettura che vi farà mettere in discussione la realtà stessa e che vi lascerà con una domanda inquietante: siamo pronti all’avvento della “seconda lingua madre” che sta per hackerarci tutti?
Flor Canosa (Buenos Aires, 1978) è sceneggiatrice, montatrice cinematografica e docente all'Università di Buenos Aires. Ha pubblicato sei romanzi. Nel 2015 ha vinto il Premio X per il romanzo contemporaneo della casa editrice El Cuervo con Lolas. Pulpa (2019) è stato pubblicato in Argentina, Spagna e Cile e Los accidentes geográficos (2021) in Argentina e Brasile. È sceneggiatrice per diverse case di produzione e co-editrice della Colección Arqueologías del Futuro (nuova narrativa weird) per la casa editrice Indómita Luz. Nel 2023 ha pubblicato in Argentina e Spagna La segunda lengua materna, (pubblicato in italiano da Future Fiction con il titolo La seconda lingua madre) candidato al Premio Celsius della Semana Negra di Gijón e al Premio Medifé Filba tra i dieci migliori romanzi dell'anno.

Recensione e commento

Devo fare due mea culpa in apertura di questa recensione, perché il libro di cui vi parlo oggi è stato pubblicato da una delle mie case editrici preferite e nonostante ciò non vi ho mai parlato di nessuno dei loro titoli. Le Onde, di quel biscottino di Ken Liu, è stato scalzato per un posto dai libri migliori del 2023 e i miei auricolari mi hanno fatto ascoltare moltissima della produzione Future Fiction presente su Audible. Con questa recensione, che esiste anche grazie al fatto che mi sia stato fatto omaggio del libro, spero di cominciare a rimediare in tal senso. 

Il secondo mea culpa, invece, è più un disclaimer, perché ho dovuto fare decantare questa lettura per qualche giorno prima di riuscire a mettere qualcosa nero su bianco anche perché ho dovuto studiare un po’ prima.

La seconda Lingua Madre non è un romanzo semplice, dal momento che si tratta di una commistione tra fantascienza e weird, e allo stesso tempo presenta delle caratteristiche tipiche della letteratura sudamericana che segue degli schemi diversi rispetto a quelli della letteratura nostrana o che ci viene portata in traduzione dai Paesi anglofoni. Il primo elemento che mi viene in mente è il rapporto con il corpo, in ogni sua forma: l’esperienza del corpo femminile, che viene messa al centro nella produzione del realismo magico sudamericano, si ritrova anche qui, con una protagonista che vive la sua sessualità in maniera molto libera. La commistione tra fantascienza e weird porta spesso a delle scene esplicite abbastanza disturbanti, volutamente poco piacevoli e altrettanto eccessive e discutibili. La sua esperienza è fuori da ogni canone sociale, perché non è poliamorosa, quello che mette in atto, per sua stessa ammissione è un tradimento bello e buono perché sta contemporaneamente con due uomini uno all’insaputa dell’altro, con ciascuno dei quali ha un rapporto disfunzionale e superficiale, sempre in modo variegato, dato che essendo persone tanto diverse, sono altrettanto diverse le ragioni della loro disfunzionalità.

Ho già citato il realismo magico perché studiando quella parte della letteratura, La seconda Lingua Madre mi è apparso subito più chiaro: in questo volume la tecnologia ha lo stesso ruolo che altrove viene ricoperto dalla magia perché fornisce alla protagonista gli strumenti per svincolarsi dalla sua posizione trascendendo il proprio corpo, così come fornisce all’autrice degli espedienti per fare in modo che alcuni episodi tipici della letteratura fantastica diventino possibilità narrative e non cliché.

Per quanto riguarda il worldbuilding, invece, partiamo col dire che ci troviamo davanti a un’utopia che è solo apparente, proprio perché è difficilissimo scrivere un’ambientazione in cui non esiste conflitto dal momento che inevitabilmente questo dovrà rientrare dalla finestra. E in effetti era proprio nelle intenzioni dell’autrice raccontarci un mondo perfetto solo in superficie, con un livello di tecnologia avanzatissimo e un benessere economico generale. Eppure, andando avanti con la storia vediamo che i ruoli di genere sono ribaditi e ancora ben saldi, i diritti civili sono ancora solo formali, perché la nascita di un figlio con una disabilità cognitiva è ancora un problema da correggere perché è un problema avere un figlio “idiota” e “cretino” a cui non poter lasciare la propria eredità intellettuale. Le persone continuano a essere infelici e alla spasmodica ricerca di qualcosa, anche se pensano di avere tutto. Non è mai così, perché quello che manca davvero è uno scopo, e anche quando se ne ha uno, esso è talmente spostato sopra il piano della realtà da essere irrealizzabile.

Infine, anche la forma è coerente con il contenuto strano dell’intero libro, perché le note a piè di pagina ci spiegano esattamente tutte le parole e i concetti che avemmo cercato su Wikipedia mettendo momentaneamente da parte la lettura e in questo senso è geniale, perché consente, se state leggendo il libro cartaceo, di non mettere mai da parte l’analogico per il digitale. Insomma, il libro basta a sé stesso anche in questo caso.

In conclusione, oggettivamente parlando, La seconda Lingua Madre non è minimamente un libro che punta ad abbracciare una larga fetta di pubblico, è sicuramente una lettura per cui non ci si può preparare. La cosa che ho preferito, anche quando non concordavo con le scelte compiute da una protagonista che diventa via via meno empatizzabile, è stata la necessità di porsi domande durante la lettura e di fornire risposte che possono solo essere personali e non univoche.

Not Quite Dead Yet

Titolo: Not Quite Dead Yet Titolo originale: Not Quite Dead Yet Autrice: Holly Jackson Traduttore: Paolo Maria Bonora Lingua originale: ing...