lunedì 30 ottobre 2023

Wolfsong

  • Titolo: Wolfsong
  • Titolo originale: Wolfsong
  • Autore: T J Klune
  • Traduttrice: Alice Arcoleo
  • Codice ISBN: 9788804778066
  • Casa editrice: Mondadori

Trama

Ox aveva 16 anni quando ha incontrato un ragazzo sulla strada verso casa. Il ragazzo che parlava, parlava e parlava. Soltanto in seguito scoprì che il ragazzo non aveva aperto bocca per quasi due anni prima di quel giorno. Ox aveva 23 anni il giorno in cui la morte arrivò in città, scavandogli un vuoto nella testa e nel cuore. Il ragazzo rincorse il mostro con lo sguardo assetato di vendetta, lasciando Ox a raccogliere i cocci. Sono trascorsi tre anni da quel fatidico giorno… e il ragazzo è tornato. Ma ora quel ragazzo è un uomo e Ox non può più ignorare il canto che ulula tra di loro.


Recensione e commento

In genere concedo sempre una seconda opportunità a una penna che non mi è piaciuta la prima volta, per cui dopo il nulla cosmico emotivo suscitatomi da La Casa sul Mare celeste, ho voluto dare il beneficio del dubbio a T J Klune con questa lettura a tema licantropi. E temo di dover ormai constatare che questo autore non faccia per me e mi devo rassegnare.

Ma andiamo con ordine. Tanto per cominciare, ci tengo a precisare che questa nuova edizione targata Oscar Vault contiene la stessa traduzione che era stata già pubblicata nel 2020 da Triskell, per cui se possedete già quella sappiate che cambia solo la copertina e un capito bonus che comunque non cambia il senso generale di quello che contiene il corpo della storia. 

Per quanto riguarda il romanzo in sé, ho parecchie cose da dire. Tanto per cominciare che la scrittura di Klune non mi attraversa emotivamente né nel bene né nel male, per me leggere questo libro è stato molto simile a leggere un manuale, nel senso che è stato come e le emozioni non dovessero essere coinvolte. L’unica sensazione che sono riuscita a provare durante la lettura è stato l’occasionale disgusto quando i liquidi corporei altrui venivano descritti con dovizia di particolari, tutti gli altri pregi e difetti che ho trovato sono stati frutto di un’analisi a posteriori molto distaccata.

La primissima cosa che mi preme dire per quanto riguarda ciò che non va in questa lettura è che il protagonista Ox (sì. Ox. Klune ha chiamato il suo protagonista “Bue”), sedicenne all’inizio della storia, incontra Joe, il suo ”compagno” quando aveva ben dieci anni. Ora. Per quanto non succeda nulla di sessuale fino al raggiungimento della maggiore età di Joe, non capisco, umanamente parlando, come il fatto che uno sia quasi adulto e l’altro sia in età prepuberale possa non mettere a disagio. Trovo assurdo trovarmi qui a tentare di spiegare perché questa cosa sia tanto sbagliata, eppure su piattaforme come GoodReads ho trovato diversi commenti che davano delle puritane a persone che avevano un’opinione simile alla mia, per cui immagino che le parole che ritenevo superfluo spendere su questo tema, alla fine non lo siano, quindi eccoci qui. Tanto per cominciare, il concetto di mates ha un po’ stancato, perché priva l’individuo della libertà di scelta: sebbene all’interno della trama venga detto più volte che questa libertà di scelta esiste, la verità è che sapevamo benissimo fin dall’inizio come sarebbe andata a finire. Raga, seriamente, trovo assurdo trovarmi qui a dire che una dinamica del genere che coinvolge un bambino di dieci anni è inquietante e sbagliata e trovo altrettanto assurdo che una persona che esprime un legittimo disagio si senta dare della bacchettona. In secondo luogo, Joe si dimostra in numerose occasioni un ragazzino possessivo, geloso e manipolatore anche prima di poter avanzare delle pretese sul rapporto con Ox. La loro relazione, infatti, non ha niente di diverso da tutte le altre ritratte in romanzi dello stesso genere: sono una coppia composta da due individui che avrebbero tanto bisogno di psicoterapia per risolversi i traumi, che sono gelosi, possessivi, territoriali, insicuri e non si fanno problemi a minacciare violenza nei confronti dei rivali e come al solito tutto questo viene romanticizzato e trattato come fosse qualcosa di desiderabile.

Ricollegandomi a questo, la sensazione generale che ho avuto durante la totalità della lettura è stata di trovarmi davanti a un sottoprodotto di Twilight, sia per tutta la dinamica della relazione, sia per l’ambientazione in sé. In determinate scene ho proprio avuto dei dejà vu, sembrava quasi di vedere un remake, ma la sostanza era la stessa. Stessa ambientazione umida, alberata e cupa, stesso gruppo di persone unite tra di loro e molto chiuse rispetto agli agenti esterni, con meccaniche territoriali, possessive, con tanto di “mio” riferito alle persone. E quando il branco non riesce (o non può) risolvere le cose ricorrendo alla violenza, lo fa facendo girare un po’ di soldi (o minacciando di smettere di farlo). Inoltre, faccio fatica a capire come mai questo autore sia circondato da tanto clamore: ho trovato la sua prosa scadente e gretta. Non scarna, essenziale e provocatoria. Proprio scadente e gretta.


Invece, qualche elemento salvabile o neutro ci sarebbe. Una cosa che all’inizio mi stava convincendo è stata la scelta di Klune di ritrarre un protagonista neurodivergente, non mi lancio in diagnosi perché non è il mio mestiere, ma è lui stesso, nel suo flusso di coscienza e nei suoi dialoghi a dire di essere mentalmente lento. Eppure, per quanto all’inizio la cosa funzionasse bene, poiché Ox manca di malizia, di capacità di elaborare bugie convincenti un po’ come i bambini, da circa il 15% del libro in avanti il suo personaggi cambia radicalmente e questa sua caratteristica viene totalmente meno e sembra che la sua intera persona sia stata totalmente sostituita con un qualsiasi altro protagonista medio da quel punto del libro in avanti. Insomma, per quanto è riguardato Ox, è mancata un po’ di coerenza, anche per quanto riguarda la rappresentazione della sua bisessualità. C’è un momento del libro in cui Ox fa coming out come bisessuale e fin qui tutto benissimo, ma le ragazze dalle quali il protagonista è attratto o con le quali avrà una relazione sono macchiettistiche e restano sempre sullo sfondo, non hanno uno spessore e sono pretestuosamente messe nella storia solo per mostrare quando Joe, nel frattempo ancora imberbe, sia geloso e si strugga per amore. Inoltre, nella prima parte del libro il buon Ox intrattiene relazioni con uomini e con donne, con le quali, ci tiene a farcelo sapere, non ha mai avuto rapporti completi, ma ci viene fatto capire, in maniera neanche troppo velata, che comunque sono successe delle cose. Le stesse cose che succedono con le controparti maschili, alle quali però vengono dedicate righe su righe di particolari anatomici e liquami vari. In sé e per sé questo non è un problema: Klune, in quanto uomo gay, non ha corso il rischio di parlare di qualcosa che non conosceva e che non gli sarebbe riuscita bene, in più sicuramente conosce molto bene il suo pubblico e sa benissimo che è composto da persone non interessate a leggere scene etero. Fino a qui non sarebbe stato un problema, se non fosse che la questione è sfociata in una rappresentazione della bisessualità che non sta in piedi: non funziona perché a priori noi sappiamo già che non funzionerà e la prosa che esplicitamente ci dice che a Ox piacciono entrambe le portate del pranzo non serve a farci credere a quello che dice perché il tentativo è fiacco e le controparti femminili sono abbozzate ed esistono solo per entrare in scena in funzione di Ox e uscirne una volta che Joe si ingelosisce. Fine. Questa non è una rappresentazione adeguata, come invece penso fosse negli intenti dell’autore, e visto che narrativamente non è particolarmente rilevante non capisco perché inserirla, dato che non ha una funzione strutturale e non è nemmeno verosimile come vezzo narrativo. Non basta che respiri, lo standard di una buona rappresentazione deve essere migliore di così.

In sostanza, Wolfsong è un libro che non mi ha lasciato molto emotivamente, troppe cose non sono state di mio gradimento e immagino che questo sia il mio ultimo tentativo con questo autore, con cui ho poca affinità. Consiglio questo libro esclusivamente se avete un tipo di sensibilità diametralmente opposta rispetto alla mia.

mercoledì 25 ottobre 2023

House of Roots and Ruin

  • Titolo: House of Roots and Ruin - La Casa di Radici e perdizione
  • Titolo originale: House of Roots and Ruin
  • Autrice: Erin A. Craig
  • Traduttrice: Leonarda Grazioso
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788834743768
  • Casa editrice: Fanucci
Trama


Nonostante sogni avventure ben oltre le coste delle isole Salann, la diciassettenne Verity Thaumas è rimasta nella tenuta di famiglia, Highmoor, con la sorella maggiore Camille, mentre le altre ragazze Thaumas si sono divise per Arcannia. Quando Mercy comunica loro che la duchessa di Bloem è interessata a far dipingere a Verity un ritratto del figlio Alexander, lei si mostra subito entusiasta, ma Camille non è d’accordo e prova a impedirglielo rivelandole un segreto taciuto per anni: Verity è in grado di vedere i fantasmi. Sconcertata, la giovane fugge da Highmoor diretta a Bloem, dove viene conquistata dal paesaggio florido e lussureggiante e dall’affascinante e spiritoso Alexander. Ben presto, però, Verity inizia a intravedere il lato oscuro della tenuta, nascosto con cura dietro una facciata così vigorosamente stucchevole.


Recensione e commento


Erin Craig ha per ora pubblicato solo tre romanzi, di cui House of Roots and Ruin è solo il terzo, ma in questo lasso di tempo è diventata un’autrice cardine nella mia vita da lettrice.

Per questo avevo alte aspettative riguardo alla sua ultima fatica, ma devo ammettere di essere rimasta solo parzialmente soddisfatta perché non ho trovato tutte le caratteristiche a cui Erin Craig mi ha abituata.

Tanto per cominciare, in genere delle sue protagoniste amo molto la pacatezza, accompagnata però da una grande forza d’animo e una grande attività all’interno della trama. Insomma, ragazze che non si fanno prendere dalle emozioni, ma che ragionano e solo dopo agiscono per il meglio. Qui Verity, una protagonista che abbiamo già conosciuto in La Casa di Sale e Lacrime, in cui era una secondaria, aveva il potenziale per essere la più interessante delle protagoniste viste fino a questo momento e mi duole ammettere che invece è stata la più noiosa perché non solo lei, ma l’intera trama, scade un po’ nel banale e nel già visto della letteratura young adult. Non so se Craig abbia voluto giocare su sicuro o se il romanzo le sia venuto fuori così, fatto sta che la prima parte del libro si concentra moltissimo sulla storia tra lei e Alex e sulla costruzione di sottotrame che alla fine non vengono chiuse al cento percento. Inoltre, Verity non è la protagonista attiva che speravo: moltissime delle risposte che trova le vengono sempre fornite dall’esterno più che da una sua indagine, anche perché troppo spesso dal un’interpretazione errata a ciò che vede.

Anche la trama non è stata all’altezza delle mie aspettative, perché non è del tutto imprevedibile, inoltre l’unico colpo di scena presente è un po’ telefonato e non serve a ribaltare l’idea che già si aveva di come sarebbe andato a finire il romanzo, che fra l’altro si conclude facendo intuire che potrebbe esistere un ulteriore libro. Per quanto nel primo romanzo ci fosse una evidente ricercatezza nel linguaggio dei gioielli, inseriti nella scena sempre con un loro significato, e qui ci sia un parallelo con i fiori, nel complesso ho sentito la mancanza di un messaggio di fondo generale, di un “qualcosa da dire”, come se la storia non mi avesse lasciato nulla e ho solo parzialmente ritrovato le atmosfere cupe che mi avevano fatto amare Erin Craig.

Ho però ritrovato diverse scene splatter e un po’ macabre che mi erano risultate inaspettate ma gradite la prima volte e non mancano nemmeno i temi sensibili che per quanto non siano centrali potrebbero essere un trigger per alcune fasce di pubblico. 

Nel complesso House of Roots and Ruin non è un brutto libro, solo sottotono e non all’altezza qualitativa degli altri due romanzi dell’autrice. Non mi sento di bocciarlo, perché c’è molto di peggio, ma l’amaro in bocca per l’occasione sprecata rimane.

mercoledì 18 ottobre 2023

Colorful

  • Titolo: Colorful
  • Titolo originale: Colorful
  • Autrice: Eto Mori
  • Traduzione di: Alessandro Barbaglia & Carlotta Spiga
  • Codice ISBN: 9791221204285
  • Casa editrice: DeAgostini
Trama


Essere morti ha i suoi svantaggi: niente pomeriggi insieme agli amici, niente ramen, niente tramonti da ammirare abbracciati alla persona che si ama. Insomma, niente di niente. Si è solo un'anima senza corpo, in attesa della reincarnazione. A meno che... A meno che tu non abbia commesso un tremendo errore nella vita precedente. In tal caso, è tutta un'altra storia. Per te, il circolo delle rinascite è off limits, c'è solo il grande e oscuro vuoto. A volte, però, il Grande Capo ha voglia di giocare e indice la Prestigiosa Lotteria delle Anime. Perché non dare una seconda possibilità a quei disgraziati?, dice lui. Al vincitore della lotteria viene concessa la possibilità di tornare sulla Terra in un nuovo corpo e con una missione precisa: porre rimedio agli errori del passato prima che il tempo concesso scada. Nessuno vorrebbe sprecare la sua unica seconda possibilità, ma è più facile a dirsi che a farsi, ve lo assicuro. Lo sa bene l'anima vincitrice di questa tornata della lotteria, a cui è capitato in sorte il corpo ― e soprattutto la famiglia ― di Makoto Kobayashi, un timido quattordicenne che si è appena suicidato. L'anima non ha la più pallida idea di cosa fare, ma, forse, scoprire il motivo che ha spinto Makoto a togliersi la vita potrebbe aiutarla a scoprire qualcosa di più anche su se stessa...


Recensione e commento

Devo mettere un po’ le mani avanti, perché alcune delle cose che dirò in questa recensione potrebbero essere un problema mio più che del libro, per esempio, faccio spesso fatica a interpretare i codici della letteratura giapponese.

Detto questo, ho diverse cose da dire su Colorful, romanzo che ha fatto la storia della letteratura giapponese per ragazzi e che a me non è piaciuto per niente.

La trama è presto detta: un’anima appena trapassata viene rispedita indietro da un angelo perché le viene concessa una seconda opportunità, in quanto ha commesso un errore in vita di gravità tale che le costerebbe l’espulsione dal ciclo delle reincarnazioni. Da questo punto si poteva immaginare veramente qualsiasi cosa, qualsiasi vita, qualsiasi situazione e invece ho trovato problematico il 90% di quello che è stato scritto.

Tanto per cominciare, l’anima a cui viene concessa una seconda occasione si reincarna nel corpo di un ragazzo che si è suicidato ed è costretta a vivere la sua vita. Inserendosi nella vita famigliare di Makoto ne scopre anche le magagne e le ipocrisie quotidiane, perché si sa, la famiglia del Mulino Bianco (o qualunque sia il corrispettivo giapponese) non esiste. In questo frangente sono state moltissime le situazioni che mi hanno lasciata perplessa, prima fra tutte che la famiglia di Makoto: dopo un tentativo di suicidio, si mette pochissimo in discussione e addirittura il fratello maggiore del protagonista lo rimprovera di aver fallito anche nel togliersi la vita. Fratello che poi, a posteriori, risulterà invece profondamente segnato dall’esperienza di Makoto, tanto da fare delle scelte di vita importanti proprio sulla base di questa. Quindi, visto che uno resta segnato dal tentativo quasi riuscito della morte del fratello, gli dice ogni tre per due che dovrebbe ammazzarsi e continua a prenderlo in giro per i più disparati motivi. Faccio molta fatica a inserire questo comportamento all’interno di qualsivoglia contesto sociale diverso dal mio. 

E non è stata la sola dinamica a mettermi molto a disagio. L’intento di ogni episodio che viene raccontato è quello di mostrare come Makoto abbia interpretato male gli stimoli esterni, ma quello che io ho pensavo mentre leggevo era “Cavolo, capisco benissimo che questo ragazzino così solo e incompreso abbia cercato di uccidersi”. Perché ciò che emerge da ogni confronto con tutti gli altri personaggi è che nessuno di loro lo conoscesse veramente: ognuno di loro ha delle aspettative su di lui che sono pesanti e davvero difficili da portare, solo che la cosa non viene raccontata come un problema (perché in Giappone in effetti è una delle più gravi piaghe sociali), ma piuttosto è stata circondata dalla retorica “guarda quante persone credono in te e ti vogliono bene”. Il flusso di coscienza del personaggio, invece, ci dice che lui è un ragazzino normale, che fa e ama cose normali e ha sentimenti e pulsioni nella media per la sua età, ma che per vari motivi, fra cui il bullismo, si è chiuso in sé stesso, ed è proprio questa introversione a essere interpretata nel modo sbagliato da chi la vede. Perché per talune persone lui è un’anima artistica che coglie la vera essenza delle cose, per altre persone è un bambino pigro e lavativo, ma nessuno si preoccupa mai (o quasi) di spogliarlo di queste aspettative e di queste sovrastrutture che gli sono state appioppate. Nessuno si chiede mai chi lui sia davvero, ognuno dà la propria interpretazione e lui dovrebbe pensare “oh, questa persona ha così tanta stima di me che non posso deluderla togliendomi la vita”. Avrei tanto voluto abbracciare Makoto e dirgli che gli avrei voluto bene in qualsiasi situazione, anche se lo avessero bocciato a scuola, anche se aveva le riviste porno nel cassetto. Invece è solo e soltanto alla fine, dopo un percorso che io, da persona adulta, ho trovato sfiancante perché nessuno lo ascolta davvero, che Makoto riesce a frequentare una scuola che faccia per lui, perché appunto nonostante il suo tentativo di suicidio la sua famiglia non si preoccupa di cambiare rotta: viene soffocato di attenzioni e di cose materiali per qualche giorno, ma poco dopo gli viene richiesto di riuscire a farsi promuovere a pieni voti, facendo cadere nel vuoto il suo disperato grido di aiuto.

Un altro dei motivi del tentativo di togliersi la vita di Makoto è stato l’aver scoperto che la ragazza che gli piaceva, in realtà si prostituiva. Makoto ha circa 14 anni. La ragazzina che gli piace è due anni più giovane e viene più volte detto che ha delle caratteristiche anche più infantili della sua età. Questa bambina viene solo giudicata all’interno del romanzo. A Makoto passa la cotta perché ha disgusto di lei ma non si fa mai un’indagine di cosa ci sia sotto, né viene problematicizzato il fatto che degli uomini di cinquant’anni si avvalgano dei suoi servigi. La schifosa è sempre lei e non si fa mai riferimento al fatto che il Giappone abbia dei problemi nella sessualizzazione di ragazzine giovanissime. Non dico che Colorful dovesse essere un libro in stile Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino, anche perché l’autrice dichiaratamente non desiderava un libro troppo impegnativo, ma inserire temi di questo tipo per poi trattarli con questa superficialità non giova sicuramente al messaggio e non capisco perché inserirli se poi non vengono sviscerati. Risultano solo un po’ lanciati a caso come il mangime delle galline. 

Il succo, alla fine della fiera, è che Makoto non avrebbe mai dovuto sprecare la sua vita perché il mondo è bellissimo, il sole brilla, i fiorellini sono colorati, nessuno è perfetto, la vita è un dono e non devi ammazzarti che se non mamma piange e bla bla bla, retorica su retorica su quanto valga la pena vivere nonostante tutto. È Makoto che deve capire, Makoto che deve mettersi nei panni altrui, Makoto che ha interpretato male e non aveva diritto di sentirsi ferito. Ripeto: ho provato più di una volta senso di immedesimazione per il protagonista e comprensione per il suo desiderio di farla finita e questa cosa non è cambiata sul finale, anzi, si è acuita e ho avuto la conferma che davvero nessuno lo conosce per chi è davvero.

Colorful aveva l’ambizione di essere un libro catartico e invece è andato molto vicino a farmi saltare i nervi. Mi dispiace moltissimo doverlo dire, ma faccio fatica a comprendere come possa essere diventato un libro tanto segnante nella cultura di un popolo intero. 

lunedì 9 ottobre 2023

in memoriam

Ciao, bellezze! Per questa prima collaborazione con Garzanti, che ringrazio per la copia omaggio, non voglio indugiare nemmeno un secondo, per curi ringrazio Valeria per aver organizzato l’evento e cominciamo!


  • Titolo: In memoriam
  • Titolo originale: In memoriam
  • Autrice: Alice Winn
  • Traduzione di: Federica Merati & Roberta Scarabelli
  • Codice ISBN: 9788811008477
  • Casa editrice: Garzanti
Trama

Alla fine di tutto, per tutti, l'inverno diventa primavera. Quando ha ascoltato per la prima volta i versi di "In Memoriam" di Tennyson, Gaunt era all'ultimo anno di scuola. Ricorda perfettamente la voce baritonale del suo migliore amico Sidney mentre li recitava nel cortile del collegio, in un pomeriggio plumbeo. È stata una bella giornata, quella, pensa, sdraiato su una brandina cigolante, con la testa bendata e la mascella rigida. Rigida come la bocca spalancata del soldato che ha calpestato fuggendo per trovare riparo in trincea. Non riesce a toglierselo dalla testa e le uniche cose che lo tengono ancorato alla realtà sono Tennyson e le lettere che Sidney gli ha inviato dall'Inghilterra, dandogli notizie sui compagni, sulle lezioni, sugli studi. Gaunt darebbe l'anima per tornare a quei giorni, a discutere di metrica e poesia greca, invece di indossare la divisa. In collegio l'eco delle bombe e dei proiettili era pioggia, qui è tuono insondabile. Eppure ci sono quei versi. Eppure ci sono due braccia che lo stringono forte e un corpo caldo con cui condividere il misero spazio della brandina. Il respiro di Sidney, accanto a Gaunt, lo rassicura e, lentamente, lo rende consapevole del cuore che batte. D'altronde, la letteratura lo insegna: la tragedia della guerra non può annientare l'amore. Una storia che racconta ombre e luci dell'inizio del Novecento, attraverso gli occhi di due giovani uomini che trovano l'uno nell'altro la forza di superare l'insensatezza del conflitto e consolazione nell'immortale lezione dei classici, appresa tra i banchi di scuola.


Recensione e commento 

Il romanzo storico è uno dei miei generi preferiti, anche se non lo leggo spesso quanto mi piacerebbe, per cui non mi sono fatta sfuggire l’occasione di leggere In memoriam appena è stato pubblicato in italiano, dopo che la mia amica Valeria me ne aveva parlato così bene in privato.

Ho diverse cose da dire su questo titolo, alcune molto positive, altre meno, e a volte le une sfumano nelle altre. Ad esempio, ho apprezzato moltissimo la parte relativa alla ricostruzione storica della Pima guerra mondiale, ma molto meno quella relativa alla trattazione dell’omosessualità in quegli anni. 

Volendo sviscerare questo secondo aspetto, che è quello che troviamo proprio in apertura del libro, sono rimasta perplessa da come sia stato affrontato all’interno del contesto del collegio maschile degli anni Dieci. Se da un lato è vero, storicamente e sociologicamente attendibile che nei luoghi abitati da persone di un solo genere ci sia un alto tasso di rapporti omosessuali, come appunto i collegi o le carceri, è anche vero che spesso si tratta di rapporti puramente punitivi e soverchianti finalizzati alla dominazione, e nel contesto del romanzo nello specifico mi ha un po’ spiazzata vedere che all’interno della scuola ci fosse questo nonnismo che sfociava nella violenza sessuale (ripeto, anche in modo storicamente accurato), ma che ciò venisse riconosciuto come tale dalla voce narrante solo a posteriori, mentre sul momento diversi di questi rapporti venissero romanticizzati e mostrati sotto un occhio un po’ feticizzante, più che critico o quantomeno distaccato. 

Sempre relativamente a questo tema, ci sono state altre due occasioni che mi hanno fatto storcere il naso e sono strettamente legate alla guerra e alle sue dinamiche. Tanto per cominciare, per essere gli anni Dieci del Novecento, c’è stata un po’ troppa apertura mentale, nel senso che quando l’omosessualità dei due protagonisti saltava fuori, per un motivo o per l’altro, la reazione generale in soldoni era “ma sì, alla fine ciascuno è fatto a proprio modo”. In questo libro c’è un solo omofobo (passatemi il termine filologicamente poco accurato per un periodo in cui era la norma e non un fenomeno da combattere) e addirittura cerca di fare ammenda, mentre tutte le altre persone, soprattutto i soldati, hanno una reazione assolutamente moderna e invidiabile per quello che ai tempi era un crimine da corte marziale e pena capitale. Da qui il secondo elemento: sarebbe stato interessante, nel contesto tragico, assurdo, paradossale e logorante della guerra di trincea, vedere come un omosessuale avesse anche la preoccupazione di non farsi scoprire dai suoi stessi compagni, oltre che di non farsi uccidere dai nemici, mentre qui la preoccupazione, per quanto legittima, è quella di raggiungere l’altro e assicurarsi che stia bene.

Ma non mi fraintendete, ho speso fiumi di parole per dire quello che non ho apprezzato, ma il libro, nel suo complesso, mi è piaciuto e mi ha fatto molto riflettere. La parte relativa alla guerra, infatti, è costruita molto bene, è convincente ed è impossibile che lasci emotivamente indifferenti. Una pagina dopo l’altra viviamo sulla nostra pelle il massacro di un ragazzino dopo l’altro. Ragazzini, spesso minorenni, cresciuti con i classici Greci e Latini che dichiarano il falso pur di arruolarsi, che hanno gli occhi che brillano al pensiero delle gesta eroiche che compiranno in battaglia. Ragazzini che volevano essere Leonida e alla fine sono meno che carne da macello. Non mi viene in mente nemmeno un paragone, perché la carne da macello almeno serve a qualcosa, un animale, con tutte gli scrupoli etici che si può avere, muore per essere mangiato, mentre il muro di ragazzini, sporchi, denutriti, infreddoliti, scalzi, mandati a prendere proiettili in battaglia sono serviti solo a riempire le fosse di una guerra pretestuosa, stupida, che non è servita a niente e a nessuno se non a sventrare un impero troppo scomodo a spese di milioni di innocenti. Alice Winn è stata bravissima a far trasudare le pagine di rabbia e di senso di ingiustizia ed è riuscita a dipingere in modo impeccabile quanto tutta la società fosse impregnata da questo bellicismo interiorizzato: l’estetizzazione della guerra non riguardava solo i ragazzi che volevano andare in guerra per dimostrarsi uomini, ma anche le madri che domandavano loro di arruolarsi per trarne dei vantaggi sociali e le complete estranee che per strada davano dei codardi ai ragazzi intorno ai diciotto anni perché il culto della guerra, una guerra che è stata presa sotto gamba, che doveva essere veloce e indolore e portare gloria all’impero inglese, in qualche modo riguardava anche loro, come se spingere i ragazzi in guerra fosse parte del loro compito sociale. Ci sono scene che indignano al punto da voler quasi strappare il libro, come quando un superiore rimprovera ai soldati semplici di non aver lucidato i bottoni anche se sono appena usciti, traumatizzati e a mala pena in piedi, da una missione suicida. Sono le scene che ho trovato più significative, perché nella loro emotività fanno anche comprendere la grande insensatezza della guerra e la mancanza di scrupoli di chi sta in alto.

Ho molto apprezzato la scelta dell’autrice di non mostrare i tedeschi come dei mostri: anche loro sono profondamente umani, anche loro sono dei ragazzini, esattamente come gli inglesi, e anche loro sono in trincea a sprecare le loro giovani vite per una guerra inutile, pretestuosa e che non hanno chiesto. I soldati tedeschi saranno capaci di gesti di grande umanità, non in modo apologetico, non per mostrarli come pecorelle smarrite e incomprese, ma solo per mostrare quanto fossero persone capacissime dell’umanità normale, basica, che in questo inferno brilla come straordinaria. 

Per quanto il libro sia nel complesso pregevole, alcuni problemi sono derivati dalla traduzione in italiano, che nella prima parte è un po’ carente perché riporta male alcune età anagrafiche, con risultati grotteschi, cambia la punteggiatura dei periodi (e con essa il loro senso), oltre al fatto che alcune espressioni vengono rese in modo anacronistico, con dei termini non ancora esistenti in quel periodo. Tuttavia, a onor del vero, questo problema non si presenta nella seconda parte del libro. Giuro che ho controllato tutto prima di scrivere questo paragrafo, non linciatemi, ma giuro che ci sono stati dei momenti in cui la sospensione dell’incredulità è venuta meno proprio perché alcune cose non tornavano e andando a controllare in originale invece erano corrette.

Tirando le somme, In Memoriam è un bellissimo libro sulla Prima guerra mondiale, dal quale scaturiscono numerose riflessioni, mentre la parte relativa all’omosessualità è più che altro una love story in condizioni tragiche senza troppe implicazioni sociali. È una lettura che, nel bene o nel male, non può lasciare indifferenti.

venerdì 6 ottobre 2023

Vita Nostra

  • Titolo: Vita Nostra
  • Titolo originale: Vita Nostra
  • Autrice e autore: Marina & Sergej Djačenko 
  • Traduttrici: Silvia Carli & Denise Silvestri
  • Lingua originale: russo
  • Codice ISBN: 9791259670892
  • Casa editrice: Fazi
Trama


Durante le vacanze estive, la giovane Saška viene avvicinata da un uomo che la costringe a eseguire una serie di compiti a dir poco bizzarri. La ragazza è spaventata ma non ha altra scelta se non obbedire, ricevendo in cambio dei gettoni d’oro con un marchio sconosciuto. Gli incarichi continuano e le monete si moltiplicano; l’autunno successivo, invece di iscriversi alla facoltà di Filologia come ha sempre sognato, Saška viene infine obbligata ad allontanarsi da casa per raggiungere l’Istituto di Tecniche speciali. Non è una scuola come le altre: i libri risultano incomprensibili, gli insegnanti negano qualsiasi spiegazione e gli studenti più grandi sembrano sempre altrove con la mente. La classe del primo anno prova a restare unita di fronte al rigore quasi crudele dei professori, mentre Saška trova conforto nell’amicizia con Kostja, un ragazzo sensibile che, come lei, vuole solo rimanere a galla per scongiurare terribili conseguenze. Nonostante tutto, Saška è sempre più attratta dalle lezioni e la sua improvvisa fame di sapere la trascina in uno studio ossessivo: quando diventa la migliore del suo corso, il severo e magnetico tutor Farit la prende sotto la sua ala e la spinge a sperimentare cose che Saška non avrebbe mai immaginato di poter fare. Non ci sono però solo giorni esaltanti costellati di progressi, ma anche estenuanti momenti di crisi e metamorfosi inaspettate: il sapere arcano e fondamentale che Saška insegue ha un prezzo molto alto, e lei deve decidere se è disposta a lasciare indietro tutta la sua vita precedente, incluse le persone a cui tiene di più.


Recensione e commento

Ora, io vi dirò delle cose, ma sappiate che comunque ve la metta giù risulterà sempre molto semplificata rispetto al chiaroscuro di Vita Nostra, un romanzo che ha saputo farmi riflettere e che è corso via senza scossoni. 

Ci troviamo di fronte a un libro scritto a quattro mani, eppure le due penne si fondono in un’unica voce e non si direbbe mai che dietro ci siano due persone, anzi, probabilmente lo stile, la psicologia della protagonista e i suoi flussi di coscienza sono stati pianificati e strutturati nei minimi dettagli quanto tutto il resto. Per quanto Vita Nostra sia un romanzo metaforico, non sia diviso in capitoli e sia stato scritto da una coppia, credetemi quando vi dico che è estremamente semplice e lineare da seguire, non fatevi scoraggiare da tutto quello che potreste aver sentito in giro.

Ma al di là di stile e struttura, di cosa parla Vita Nostra? Grazie per avermelo chiesto! In pratica è una gigantesca critica al mondo accademico e alle pressioni sociali che impongono determinate convenzioni e stili di vita, che detta così non sembra granché interessante, ma immaginate questi concetti inseriti in una storia al sapore di Il Maestro e Margherita, con simboli che sono interpretabili solo con il progredire della trama e una struttura e un’ambientazione profondamente slave. Credo che questo romanzo sia davvero arrivato al momento giusto, in cui ero un po’ stanca delle penne anglosassoni, che ultimamente si stanno presentando sempre con la stessa struttura e le stesse dinamiche. Vita Nostra ha saputo sorprendermi con la sua imprevedibilità. 

Ma tornando al messaggio che, ripeto, viene trasmesso in crescendo in modo da essere metabolizzato poco alla volta, personalmente mi sono particolarmente rispecchiata in tutta la questione che riguarda la trattazione della strada già tracciata, del percorso da seguire per forza di cose, perché sì, perché è così che si fa e perché la vita è fatta a tappe, come se le vite non fossero tutte una diversa dall’altra. In questo senso abbiamo messaggi contraddittori sul percorso universitario, sulla verginità che va persa entro una certa età, ma al tempo stesso anche no, di studiare tanto ma non troppo, ammazzarsi di lavoro sì, ma solo per arrivare al livello di bravura che viene richiesto e mai al di sopra. Si fa tutto sotto minaccia. Minaccia di non si sa bene cosa, ma le vite delle studentesse e degli studenti di quell’età sono governata dalla paura, dal terrore del fallimento, perché se perderanno il controllo accadrà qualcosa di terribile a chi amano di più e perciò esiste la colpevolizzazione se (quando) succede qualcosa di brutto: non si pensa che l’universo sia così sterminato e pieno di connessioni che le cose negative semplicemente accadono, ma che quando accadono sia per un qualche merito. E da qui scaturisce la personificazione del disordine ossessivo compulsivo, i tentativi di tenere sotto controllo l’imponderabile attraverso azioni del tutto irrilevanti. Di conseguenza, si studia quasi fino a morirne perché sente di doverlo fare, senza trarne soddisfazione e, cosa ancora più importante, senza alcuna idea di quale sia il fine ultimo di questo studio insondabile, nemmeno la conoscenza in sé stessa. Gli studenti e le studentesse non conoscono né l’argomento dei loro studi, né quale sia il loro punto di arrivo. Vita Nostra è un’evidenziazione costante e graduale di tutta la vacuità del percorso accademico che costringe a sacrificare gli anni migliori della propria esistenza al servizio di qualcosa che alla fine non ha utilità né pratica, né personale. In questo senso, Vita Nostra viaggia in senso opposto rispetto a romanzi analoghi come Piranesi, perché se questo tipo di narrazione tende a prendere una direzione che sottolinei quanto il mondo interiore sia più importante di quello esteriore, qui invece si fa notare che le percezioni fisiche e sensoriali hanno molta importanza e non è vero che si tratta di questioni trascurabili. Viene detto, o fatto intuire, inculcato, che l’istruzione sia tutto, ma non è così: la giovinezza e le esperienze da fare in questa età non tornano indietro e hanno un valore. Come se non bastasse i personaggi di questo romanzo ricevono, con molta sofferenza, delle monete non spendibili dal valore pari a zero ogniqualvolta compiono un’azione che non vogliono fare, che causa loro disgusto, disagio o che va contro i loro principi. Tutto per compiacere qualcun altro, mostrando quali siano le conseguenze del fare sempre e solo quello che si deve (che poi, chi lo ha deciso?) e mai quello che si vuole.

Allo stesso tempo, l’ambiente accademico non ha soltanto lati negativi, perché se è vero che esiste poca libertà di scelta, d’altro canto è vero che la libertà piena e consapevole è difficile, implica uno sforzo di volontà e una profonda conoscenza del proprio io, perché creare una strada nuova è più complicato che seguire quella che esiste già. Avere qualcuno che indichi il percorso, invece, può essere profondamente distensivo, perché toglie dalle spalle la grossa responsabilità di decidere per sé. Inoltre, la cultura e l’innalzamento intellettuale possono creare un divario tra sé e i propri affetti, ma è anche vero che possono consentire di spiegare le ali e trasfigurarsi, per quanto sia spesso necessario fare un’analisi di costi e benefici. 

Non so perché Vita Nostra abbia atteso tanto sulla mia libreria, ma so che non mi sono pentita di averlo letto. È un romanzo magistrale, diversissimo da qualsiasi cosa mi aspettassi, dal gusto slavo e dal simbolismo pregnante, lontano da tutto quello che conoscevo. Non fatevi intimorire dal contenuto e tuffatevi! Vita nostra brevis est. 


domenica 1 ottobre 2023

La Cattedrale di Sabbia

Buongiorno, bellezze! Per l’evento di oggi devo ringraziare Graziella, che ha organizzato, e l’editore che ci ha fornito la copia in anteprima. Senza ulteriori indugi, cominciamo!

  • Titolo: La Cattedrale di Sabbia
  • Autore: Leonardo Patrignani
  • Lingua originale: italiano
  • Codice ISBN: 9788804758104
  • Casa editrice: Mondadori
Trama

La Milano del 2045 è una metropoli ipertecnologica, in cui le realtà virtuali e aumentate operano una costante distorsione del mondo e dell'identità delle persone. Stefano Valeri è un brillante neuroscienziato e ricercatore per Engram, azienda all'avanguardia nel campo delle interfacce neurali. La moglie Arianna Molinari, stimata neuropsicologa, lavora a stretto contatto con il suo dipartimento. Fino al giorno dell'attentato. Da quando, quattro anni prima, Arianna è rimasta vittima di un attacco terroristico nel corso di un importante convegno scientifico, l'uomo vive infatti come un relitto umano, rintanato nella sua solitudine. Ma quando scopre che il suo ricordo del momento in cui la moglie ha perso la vita è inattendibile, Stefano non ha alternativa: deve uscire allo scoperto e rimettere insieme i pezzi di un passato carico di enigmi e traumi irrisolti. Come sono andate davvero le cose? Su quale genere di anomalie della memoria stava indagando Arianna e chi poteva avere interesse a fermarla? Soprattutto, cosa sta per succedere nel mondo, se nessuno può più fidarsi dei propri ricordi?


Recensione e commento

In psicologia si chiama “sincronicità” quel fenomeno per cui una coincidenza diventa rilevante nella nostra vita. Due eventi casuali si verificano nello stesso momento ma per quanto non siano direttamente collegati possono avere un valore per noi, per esempio, se devi andare al lavoro e non ti suona la sveglia è una sfortunata coincidenza, ma se il giorno in cui non ti suona la sveglia è l’undici settembre 2001 e tu lavori al World Trade Center, be’, quella si chiama sincronicità.

Tutta questa lunghissima premessa solo per dire che non posso essere oggettiva su Leonardo Patrignani: è sempre entrato nella mia vita con delle coincidenze inquietanti, ogni singola volta. E questa non è da meno, perché in La Cattedrale di Sabbia, fra le altre cose, affronta dei temi che ho cercato di sviscerare con la mia psicologa appena il giorno prima di cominciare la lettura in vista di questo evento.

Ecco, allora partiamo da qui, dalla psicologia. I personaggi sono psicologicamente ineccepibili non solo nella loro caratterizzazione statica individuale, anche nel percorso che intraprendono hanno degli archi di formazione credibili e verosimili, oltre che nelle relazioni interpersonali fatte di sfumature e scale di grigi. In più, è proprio la psicologia, assieme alle neuroscienze, il tema chiave di questo romanzo. A Patrignani non si può rimproverare di non aver fatto i compiti a casa, perché si vede che ha studiato tantissima letteratura scientifica per essere in grado di mettere insieme una trama accattivante e che non presentasse inesattezze tecniche tali da spezzare la sospensione dell’incredulità. Oltre a questo, si vede benissimo che di certe cose l’autore ha un’esperienza diretta, come il lutto, argomento che resta aleggia sempre onnipresente sulla trama, quando non è trattato in maniera esplicita. C’è il vuoto della mancanza, il senso di colpa del sopravvissuto, il non detto, il tentativo di elaborare la morte e trovare la soluzione tecnologica per ricongiungersi con un essere umano unico e irripetibile che non esisterà più. Emotivamente, questo è l’elemento che mi arriva sempre più forte nelle sue storie e mi dispiace tanto per lui. 

E collegato a doppio filo al tema della psicologia, delle neuroscienze, è quello della tecnologia, che all’inizio temevo sarebbe stato sviluppato in modo vecchio e quasi complottista, ma mi sono ricreduta strada facendo. Come ogni nuova tecnologia, da un lato esiste il panico dovuto all’ignoto, ma dall’altro delle legittime paure relative alle ricadute sociali. Nello specifico, in La Cattedrale di Sabbia i ricordi degli individui possono essere modificati e manipolati, così che le persone facciano sempre più fatica a distinguere la realtà dal mondo digitale, se poi una sia ancora sensato domandarsi se tale divisione ancora esista. Sotto questo aspetto, temevo che assieme al tema dello sviluppo tecnologico, anche quello del mistero da risolvere sarebbe stato sottotono e già ampiamente sfruttato, e un’altra volta sono stata felicemente smentita, perché la trama si fa via via più ingarbugliata, con vicoli ciechi e svolte inaspettate, alleati nuovi e insospettabili e colpevoli che poi sono innocenti. Non ho previsto nemmeno una delle cose che sono successe ed è stato questo, principalmente, a tenermi incollata alle pagine fino a fine lettura.

Un altro elemento che ho apprezzato particolarmente è l’ambientazione. Basta americanate di sparatorie con i laser, perché La Cattedrale di Sabbia è ambientata a Milano nel 2045 e sono felicissima di constatare che esistono ancora le identità regionali. In un mondo di protagonisti che si chiamano John o Steven, Patrignani crea dei Piercarlo (quanto è milanese come nome? Quanto?), Guido, Martina e così via. Nessun anglicismo ingiustificato, niente “General Hospital”, ma solo Niguarda, e sicuramente mettere in scena questa storia in un posto che conosce come le sue tasche gli dà la possibilità di parlare del divario sociale ed economico che la tecnologia non sarà in grado di colmare, oltre che di rendere credibile un’ambientazione che ama ma della quale vede i difetti.

Ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi di Multiversum e lo stile di Patrignani è innegabilmente migliorato, più elastico e ricco anche nelle metafore, ma se proprio devo sforzarmi di trovare un paio di difetti, mi verrebbe da dire che forse avrebbe potuto essere leggermente più corto e che alcuni dialoghi mi sono risultati un po’ macchinosi, ma complessivamente è una storia che mi è entrata nel cuore.

Nel complesso, sono davvero soddisfatta di La Cattedrale di Sabbia, per la quale, per qualche motivo, avevo aspettative ingiustificatamente basse. Alla fine si è rivelata una lettura catartica e profonda, perfetta per la stagione della vita che sto vivendo. Non è un romanzo perfetto (ma la perfezione non è di questo mondo), ma mi ha fatta sentire meno sola e al tempo stesso mi ha intrattenuta.

A Study in Drowning - La Storia sommersa

Titolo: A Study in drowning - La Storia sommersa Titolo originale: A Study in Drowning Autrice: Ava Reid Traduttore: Paolo Maria Bonora Ling...