venerdì 28 gennaio 2022

La Repubblica del Drago

  • Titolo: La Guerra dei Papaveri
  • Titolo originale: The Poppy War
  • Autrice: R.F. Kuang
  • Traduttrice: Sofi Hakobyan
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804729747
  • Casa editrice: Mondadori
Trama:

Già tre volte nella sua storia il Nikan ha dovuto combattere per sopravvivere alle sanguinarie Guerre dei papaveri. Il terzo conflitto si è appena spento, ma Rin, guerriera e sciamana, non può dimenticare le atrocità che ha dovuto commettere per salvare il suo popolo. E ora sta scappando, nel tentativo di sfuggire alla dipendenza dall'oppio e agli ordini omicidi della spietata Fenice, la divinità che le ha donato i suoi straordinari poteri. Solo un desiderio la spinge a vivere: non vuole morire prima di essersi vendicata dell'Imperatrice, che ha tradito la sua patria vendendola ai nemici. E l'unico modo per farlo è allearsi con il signore di Lóng, discendente dell'ultimo Imperatore Drago, che vuole conquistare il Nikan, deporre l'Imperatrice e instaurare una repubblica. Né l'Imperatrice, né il signore di Lóng, però, sono ciò che sembrano. E più Rin va avanti, più si rende conto che per amore del Nikan dovrà usare ancora una volta il potere letale della Fenice. Non c'è niente che Rin non sia disposta a sacrificare per salvare il suo paese, e ottenere la sua vendetta. Così si getta di nuovo nella lotta. Perché in fondo lottare è ciò che sa fare meglio.

Recensione e commento

 La repubblica del Drago è il secondo libro dedicato alle avventure di Rin (trovate qui la recensione de La Guerra dei Papaveri) e tutto si può dire fuorché che questo volume soffra della sindrome del libro di mezzo. Al contrario, è un libro pieno di azione, che si concentra sulle dinamiche della guerra, più che sulle vicende personali della protagonista, dato che quelle sono già state approfondite nel primo volume. E tuttavia non mancano formazione e introspezione: la prosa, sempre snella e diretta, priva di fronzoli e che si limita a raccontare i fatti, senza imboccare lə lettorə di emozioni o pensieri, ci mostra una Rin sempre più umana e imperfetta, troppo concentrata sul proprio dolore per rendersi conto che le persone attorno a lei vivono le stesse vicende e le elaborano proprio come sta facendo lei. Rin è capace di vedere l’ipocrisia altrui, i comportamenti moralmente sbagliati e gli errori degli altri, ma non i propri, ma questo vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro e non la trave nel proprio, paradossalmente è esattamente ciò che la rende coerente perché esprime tutti i suoi limiti della sua umanità in una storia che coinvolge la divinità. Non sono questi gli unici difetti di Rin, poiché un’altra cosa interessante da notare è l’inadeguatezza al ruolo che ricopre per via della sua giovane età e della sua inclinazione personale; Rin ha sempre bisogno che sia qualcun altro a prendere le decisioni difficili al suo posto e ha bisogno di compiacere il potente di turno per sentirsi realizzata. Questa dinamica e la sua altalentante formazione rendono precarie tutte le possibili alleanze della guerra sulla base di chi sia più simpatico alla protagonista sul momento ed è precisamente questa la ragione per cui, nonostante il romanzo sia lineare e privo di inutili complessità, è davvero imprevedibile del dipanarsi della trama. Tuttavia, nonostante le azioni e i pensieri di Rin siano spesso e volentieri opinabili e difficilmente condivisibili, è comunque difficile non empatizzare con lei, perché nella sua situazione difficilmente sarebbe possibile agire in modo lucido, moralmente retto e non farsi accecare dall’odio e dalla rabbia: quando tutto si riduce a un “noi contro di loro” la disumanizzazione dell’altro è appena un passo dietro la soglia, sia da un lato che dall’altro, perché ciascuna fazione della guerra pensa semplicemente di rendere pan per focaccia alla controparte. Da un lato si aggredisce, sempre con la convinzione della giustezza delle proprie azioni, dall’altra si subisce e ci si vittimizza, deresponsabilizzandosi. In particolare, Rin non si fa problemi a odiare chiunque sia di etnia o nazionalità diverse dalle sue, ma si sente punta sul vivo, si sente vittima (giustamente, ma non senza ipocrisia) quando sono gli altri a farlo a lei. Nel fare questo, Kuang introduce magistralmente gli occidentali bianchi e colonizzatori in questo fittizio Oriente che ripercorre alcuni fatti reali, senza retorica e senza scusanti da nessuna delle due parti. È una guerra in cui nessuno ha ragione ma in cui ognuno ha le proprie ragioni, per quanto possano essere bislacche. I bianchi applicano la teoria darwiniana all’antropologia e si proclamano superiori sulla base di connotati fisici che, misurati con il metodo ciarlatano della frenologia, confessano qualsiasi cosa, persino che esistano esseri umani di serie dalla A alla Z. D’altro canto, Rin comprende che tutto quello che dicono e predicano dall’alto della loro religione monoteista sia falso, ma contemporaneamente si sente superiore a loro e la sua dissonanza cognitiva in tal senso non sembra colmabile. 

In la repubblica del Drago, la formazione di Rin segue un percorso verosimile anche perché mostra l’aiuto che le viene dato dai suoi amici. Nello specifico spiccano Nezha e Kitay, due personaggi positivi che sono quasi il suo Grillo Parlante, la voce della ragione che lei non segue mai, preferendo una visione della verità sempre filtrata dai propri sensi e da quello che, secondo lei, è utilitarismo o giustizia.

Il romanzo si chiude in modo interessante, inaspettato e narrativamente interessante, senza mostrare in tutta la trama nemmeno una parvenza di romance, elemento assai apprezzabile in un libro che parla di un mondo plasmato da una guerra che non lascia spazio per i drammi adolescenziali.

Ci ritroveremo presto su questi schermi per parlare del terzo e ultimo libro, in uscita a febbraio. Nel frattempo, leggete i primi due, perché davvero, per quanto la piacevolezza vari a seconda del gusto personale, di sicuro è una serie molto diversa nel panorama young adult mondiale.

martedì 25 gennaio 2022

Violet e il Libro proibito

Grazie di essere qui sul mio blog per questa recensione! Oltre a te che stai leggendo, tengo a ringraziare tantissimo la mia amica Francesca, che ha organizzato questo review party, e la casa editrice per avermi dato la possibilità di leggere in anteprima Violet e il Libro proibito.

  • Titolo: Violet e il Libro proibito
  • Titolo originale: Iron Hearted Violet
  • Autrice: Kelly Barnhill
  • Traduttrice: Alessandra Maestrini
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788851198428
  • Casa editrice: De Agostini

Trama

Nelle fiabe, tutte le principesse sono bellissime, i draghi orrende e spietate creature e le storie... semplici e innocue storie. Ma questa non è affatto una fiaba come le altre. Nel regno di Andulan, la figlia del re si chiama Violet. È una ragazzina solitaria, con gli occhi di colore diverso e una massa di ricci che le nasconde la faccia. Si vede brutta, e questo la rende insicura. C'è solo un momento in cui non si sente sbagliata: quando racconta storie. Perché Violet è una lettrice voracissima e una voracissima narratrice di favole. Se apre bocca rapisce tutti, dalle dame di corte al più umile dei servitori. Quando insieme al suo migliore amico, Demetrius, trova nei sotterranei del castello un misterioso libro, è convinta di aver scoperto una miniera di storie che cambierà la sua vita. E la sua vita cambia, ma non come aveva immaginato... Dal polveroso tomo si leva la voce spaventosa di una divinità dimenticata, che inizia a sussurrare ai servitori, alle ancelle, al popolo, ammaliando l'intero reame. Ammalia il re, offrendogli l'opportunità di catturare l'ultimo drago sopravvissuto. E ammalia la principessa Violet, con l'illusione di renderla bellissima. Ma ogni parola sussurrata dal libro proibito ha un prezzo, e tremende conseguenze. E Violet, per salvare il regno, dovrà trovare il modo di ascoltare solo le voci amiche, e di raccontare l'unica storia che potrà guarire il suo mondo. Età di lettura: da 10 anni.

Recensione e commento 

“Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?” Questa è una famosissima frase tratta da una fiaba che vede come nucleo narrativo la bellezza e la vanità. Ebbene, anche qui si parla di bellezza e di vanità e anche in Violet e il Libro proibito ci sono tantissimi - praticamente tutti - i canoni della fiaba classica, ma in modo così rivisitato e così nuovo e sperimentale, da creare un mix narrativo esplosivo e irresistibile.

Violet è una principessa che non si sente tale, perché non ha l’aspetto che, secondo la narrativa classica, dovrebbe avere: viene ripetuto più volte che è brutta e che non ha un aspetto gradevole, eppure il suo disagio non viene dall’interno, ma sempre da pressioni sociali e dalle storie stesse, che qui hanno grande importanza. Le storie sono sia il movente narrativo che il mezzo: tutto si svolge a causa di una storia e che ci viene raccontata da un narratore interno di secondo grado con focalizzazione variabile, che, quindi, interviene, è onnisciente e in più di un’occasione rompe la quarta parete. Il narratore è contemporaneamente personaggio e voce narrante, ma non protagonista, eppure il tutto risulta estremamente piacevole e scorrevole perché la vicenda si svolge in modo veloce, sviluppando nello spazio adeguato un intreccio che altr* autor* avrebbero impiegato una trilogia intera per affrontare. Violet e il Libro proibito contiene tutto: ci sono draghi, storie che prendono vita, magia, aiutanti e divinità buone e cattive, ma tutto utilizzato in modo nuovo, perché la principessa è quella che cavalca il drago e il cavaliere è quello che cerca di fermare una guerra attraverso il dialogo. Il re non è un coraggioso condottiero, ma uno studioso innamorato della moglie e schiacciato dal lutto. Violet e il libro proibito, in questo modo, riesce a fare due cose contemporaneamente: pone all’interno della narrazione la questione della necessità di un nuovo tipo di narrativa, con una rappresentazione più verosimile, e allo stesso tempo la crea, sovvertendo gli schemi che già conosciamo. In questo frangente, una nota dolente sono le illustrazioni, non perché siano brutte, ma al contrario, ritraggono una bella ragazzina con la messa in piega e un viso regolare, ben lontana dalla Violet che ci viene raccontata, il che depotenzia un po’ il messaggio.

Anche il worldbuilding è deliziosamente originale, poiché ci troviamo in un mondo circondato completamente da specchi e in cui lo stesso antagonista è composto da specchi. Il nemico, qui, non è tanto la vanità, quanto la superficialità, il preoccuparsi di come le cose appaiono, non come sono e l’avventura dei personaggi consiste nel cercare di andare oltre l’apparenza, Violet stessa, in modo molto maturo ed equilibrato, si riappropria del suo corpo perché è il suo, perché è funzionale per la sua vita, perché i suoi calli vanno bene per arrampicarsi e i suoi capelli ricci e corti non le impediscono i correre e saltare. La riappropriazione avviene in maniera naturale, non retorica, senza patetismi, il che rende Violet una protagonista saggia, perfetta per il ruolo di futura regina e lontana dallo stereotipo della damigella in pericolo. Violet cerca da sé le proprie risposte, non le vengono imboccate e decide sia per sé che per il suo popolo in maniera ponderata e sicura, dimostrandosi, in effetti, perfettamente all’altezza del ruolo di principessa, per il quale, invece, secondo le fiabe, non sarebbe adatta per via del suo aspetto. Nota di merito anche a Demetrius, l’aiutante, Aragorn e Samvise assieme, poiché non vacilla mai, mai è tentato dal potere  o dai cattivi pensieri. 

Violet e il Libro proibito è senza ombra di dubbio un romanzo da leggere sia per grandi che piccini, perché costituisce forse una pietra miliare nel cambiamento del fantasy come lo conosciamo oggi. Una lettura di cui è impossibile pentirsi. 




mercoledì 19 gennaio 2022

Multiversum - La Trilogia completa

  • Titolo: Multiversum - La saga completa
  • Autore: Leonardo Patrignani
  • Lingua originale: italiano
  • Casa editrice: De Agostini
  • Codice ISBN: 9788851184971
Trama:

Secondo un’ipotesi scientifica, chiamata Teoria del Multiverso, non esiste un solo universo ma una rete di infiniti mondi paralleli, realtà alternative alla nostra dove gli eventi si sono verificati in un’altra maniera, e il corso dell’esistenza di ciascuno di noi ha seguito pieghe imprevedibili. Si suppone che queste dimensioni non siano in contatto tra loro. Ma se qualcuno riuscisse a stabilire un ponte telepatico tra due esistenze? E se un ragazzo e una ragazza si dessero un appuntamento impossibile? Come Jenny che abita a Melbourne. E Alex, di Milano. Da sempre sentono l’uno la voce dell’altra nella testa, ma per incontrarsi dovranno scavalcare ogni confine dello spazio e del tempo. Con l’aiuto di Marco, il miglior amico di Alex, in una fuga continua attraverso questa e la prossima civiltà, tra paradossi temporali, profezie, labirinti di ricordi, esperimenti genetici e identità inafferrabili, i due ragazzi cercheranno la chiave per comprendere la natura di questo legame e il significato della loro stessa vita. Con oltre 200 mila copie vendute nel mondo in più di venti Paesi, Multiversum è una delle saghe italiane più amate nel panorama young adult.

Recensione e commento

Ci sono alcune letture che vengono a trovarci nel momento giusto della nostra vita, come in questo caso, in cui la Trilogia di Multiversum, che mi inseguiva da un po’ nello spazio-tempo, mi ha finalmente trovata pronta per lei, quando la casa editrice me l’ha inviata. Nonostante ciò che questa lettura significa per me a livello personale, cercherò comunque di essere obiettiva e di farvi capire se possa fare al caso vostro o meno. Cominciamo.

Presentazione di Multiversum nella biblioteca della 
mia città nel lontano 2014. Va’ com’ero brava
come fotografa…

La trilogia di Multiversum si apre con il libro omonimo, che in realtà funge quasi da antefatto, da prologo per gli altri due, Memoria e Utopia, i quali prenderanno invece una sterzata di trama inaspettata. In Multiversum conosciamo i tre protagonisti, Alex, Jenny e Marco, i primi sono due ragazzi che si amano a due universi di distanza, mentre Marco è dapprima un amico di Alex, che aiuterà nella sua ricerca di Jenny, e poi diventerà via via più approfondito e centrale negli altri due libri, fino a diventare colui che tira le fila della storia. Marco è il mio personaggio preferito, non c’è ragione di nasconderlo: nerd, paziente ma tenace, curioso e studioso non si lascia fermare dalla sua disabilità, ma anzi, in un certo senso è proprio grazie a questa che cerca delle risposte grazie alle quali riuscirà a salvare il mondo. Se il primo libro fungeva da premessa della storia, il secondo, Memoria, di sicuro non soffre della sindrome del libro di mezzo, anzi, è migliore del primo, perché, lo ammetto, dei tre è il mio preferito ed è quello che mi ha detto le cose che avevo bisogno di sentirmi dire in questo momento della mia vita: in ognuno di noi c’è un intero universo e gli universi possono interagire tra loro quando le memorie vengono condivise e nessuno è mai veramente morto finché vive in una parte di noi. Finché c’è qualcuno a ricordare e a pronunciare il suo nome. Da questo momento in avanti, fino alla fine del terzo libro, la fantascienza diventa molto più impegnativa, poiché ci sono alcuni topoi letterari di questo genere, come i salti temporali, la tecnologia avanzata, ma anche della distopia, con governi totalitari e persone che possono essere salvate solo dai nostri eroi. 

Sempre con Leonardo Patrignani sei anni dopo, al festival del fantastico.
Dai, almeno come fotografa sono migliorata…

Se vogliamo, qui troviamo uno dei difetti della storia, perché questo risvolto alla V per Vendetta è un po’ frettoloso e con poco approfondimento. Anche per quanto riguarda alcuni personaggi si sente la mancanza di una storia, della loro storia, che ci dica chi sono nello specifico e come sono arrivati a quel punto della loro vita. Da un lato è vero che questo avrebbe occupato molto spazio, ma dall’altro impedisce di affezionarsi adeguatamente ad alcuni di loro, ed è davvero un peccato. Si nota tantissimo, poi, una notevole crescita nello stile di scrittura, che diventa più fluido e meno macchinoso con il passaggio tra i tre libri, ci sono addirittura dei picchi in perfetto stile ballad power metal (e non mancano i riferimenti musicali da cogliere per chi, come me, apprezza). 

Ora arriva il momento polemica (del resto, so che mi amate e mi odiate per questo): non posso non dire che quest’opera di fantascienza young adult tutta nostrana non ha nulla da invidiare a libri che hanno avuto una risonanza maggiore e un pubblico assai più entusiasta: la Trilogia della Falce, ad esempio (qui le mie recensioni/stronzature) nonostante sia stata scritta e pubblicata successivamente e abbia diverse cose in comune con Multiversum ha avuto più successo ed è stata in numerose occasioni definita capolavoro, anche se meno scientificamente accurata di questa trilogia tutta italiana e condividendone con lei numerosi spunti narrativi.

Quindi, se siete alla ricerca di un’opera simile, ma che non termini con buchi di trama e pagine riempitive senza senso (sì, penso di essermela un po’ presa) Multiversum è senza dubbio una trilogia a cui dare una possibilità se avete apprezzato Falce od opere simili, oppure se non le avete apprezzate e volete qualcosa di migliore.

venerdì 14 gennaio 2022

La Guerra dei Papaveri

  • Titolo: La Guerra dei Papaveri
  • Titolo originale: The Poppy War
  • Autrice: R.F. Kuang
  • Traduttrice: Sofi Hakobyan
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804729747
  • Casa editrice: Mondadori
Trama

Orfana, cresciuta in una remota provincia, la giovane Rin ha superato senza battere ciglio il difficile esame per entrare nella più selettiva accademia militare dell'Impero. Per lei significa essere finalmente libera dalla condizione di schiavitù in cui è cresciuta. Ma la aspetta un difficile cammino: dovrà superare le ostilità e i pregiudizi. Ci riuscirà risvegliando il potere dell'antico sciamanesimo, aiutata dai papaveri oppiacei, fino a scoprire di avere un dono potente. Deve solo imparare a usarlo per il giusto scopo.


Recensione e commento

In un mondo di protagoniste overpower è arrivata Rin a salvarci dalla mediocrità: è una protagonista che, pur rientrando in alcuni canoni (orfana, e può, quindi, potenzialmente essere chiunque) rompe moltissimi schemi. Ad esempio si svincola dallo stereotipo della ragazza inconsapevole dalla propria bellezza mozzafiato, anzi, nel testo viene ribadito spesso, anche da altri personaggi, che il suo aspetto è molto ordinario, oltre al fatto che lə lettorə segue tutto il suo percorso di formazione, dalle difficoltà dello studio per entrare nella prestigiosa accademia militare, a quelle per rimanerci. Rin fatica, studia fino a perdere il sonno, impara tutto quello che può in qualsiasi circostanza pur di arrivare al suo obiettivo. Dimostra tantissima umanità - non nel senso di compassione, ma proprio nel senso di comportamento in linea con le reazioni umane - in molte situazioni diverse, ad esempio nel suo desiderio di avere una vita meno mediocre di quella che la aspetterebbe se non si istruisse, piena di bambini indesiderati e votata alla cura di un marito a cui verrebbe venduta e senza alcuna prospettiva personale; uno degli elementi che caratterizza maggiormente la psicologia della protagonista è la sua voglia molto BDSM di avere il beneplacito delle persone che ammira, come i suoi insegnanti, tanto che spesso e volentieri fa la scelta sbagliata proprio perché non desidera altro che ricevere un segno di approvazione da parte loro. Questo suo lato debole, nell’armatura di una soldatessa come lei, è una delle sue caratteristiche più interessanti perché la conduce sull’orlo del baratro: di fatto la crescita di Rin è ascendente in senso culturale e sociale, ma decrescente in senso morale e personale, perché la guerra in cui si ritrova a combattere la porta a un livello di odio tale da bruciare tutto quello che tocca. Rin aspirava a essere la versione migliore di sé stessa e si ritrova a diventare qualcosa di molto vicino a un mostro per colpa di una guerra che non ha voluto e che potrebbe radere al suolo tutto (e qui mi viene da citare la mia amata Laini Taylor: ti sei mai chiesto se sono i mostri a fare la guerra o la guerra a fare i mostri?).

La prosa è abbastanza asettica e tagliente, cruda, non si perde in fronzoli o abbellimenti retorici (se questo sia un pregio o un difetto, sta a chi legge deciderlo, in base al suo gusto personale) e si concentra molto di più sugli avvenimenti che sulla lettura come esperienza estetica. È stimolante, poi, come fatti storici reali siano amalgamati con la trama: sono numerosi i rimandi alle guerre sino-giapponesi e anche a eventi più recenti. Sotto l’aspetto della guerra, l’autrice non ci fa mancare niente, non risparmia i dettagli macabri sulla crudeltà umana, soprattutto verso i più deboli, verso le donne e i civili. Alcune scene sono davvero difficili da leggere proprio perché i fatti brutali raccontati potrebbero essere (e sono stati) reali.

Un lato molto apprezzabile di questa lettura è stato anche il modo in cui è stata raccontata l’evoluzione delle arti marziali, nel momento della storia spogliate della loro componente spirituale e salutistica ed esclusivamente finalizzate alla distruzione. Rin e il suo mentore scoveranno un posto nella propria mente in cui le divinità esistono, perché sono in ogni luogo: Rin riesce a diventare una guerriera più che un soldato perché restituisce alle arti marziali il loro antico significato di ricongiungimento con la divinità, non come semplice ripetizione di azioni meccaniche.

La Guerra dei Papaveri è un libro che si discosta dal panorama delle eroine young adult e dei libri privi di consistenza di significato. La sua lettura, forse non è adatta a chiunque, ma è senza dubbio degna di nota e molto valida qualitativamente, sia per l’intreccio della trama e per il modo in cui la realtà entra nella finzione, ma soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi fuori dal comune. Nei prossimi volumi, sicuramente, non mancherà la formazione di personaggi secondari e un ulteriore percorso della protagonista.

mercoledì 5 gennaio 2022

Pinocchio

  • Autore: Carlo Collodi
  • Illustratore: Iacopo Bruno
  • Codice ISBN: 9788817159388
  • Casa editrice: Rizzoli

Trama

Pinocchio, burattino birbante. Pinocchio, figliuolo scellerato. Pinocchio, bugiardo impenitente. Pinocchio, bambino tra i bambini, nato da un pezzo di legno. 

In un’edizione di straordinaria bellezza, il romanzo italiano più letto al mondo interpretato dallo sguardo sensibile e colto di un grande artista contemporaneo.

Commento e analisi

Pinocchio è una di quelle fiabe che tutt* conosciamo perché fa parte della tradizione comune e della cultura generale, ma spesso si fa più riferimento all’adattamento cinematografico della Disney, rispetto alla versione originale di Carlo Collodi, molto più complessa, cruda e decisamente più psicologicamente sfaccettata rispetto al film di animazione. 

Pinocchio è una fiaba che si presta alle interpretazioni più disparate perché contiene sia significati ancestrali validi per tutta l’umanità, sia, nello specifico, un messaggio per l’Italia unita: i destinatari di questa storia, che all’inizio non nasce come libro unico, ma come racconto a puntate sul giornale dei ragazzi tra il 1881 e il 1883, sono i giovani dei ceti disagiati che l’autore vuole invogliare a innalzarsi culturalmente per distaccarsi dall’analfabetismo, dalla povertà e dall’ignoranza delle generazioni precedenti. Pinocchio, infatti, per diventare un bambino vero deve affrontare delle prove che lo porteranno alla coltivazione delle proprie virtù e al distaccamento dal proprio desiderio egoistico e vizioso al fine di perseguire la conoscenza, l’unica cosa che rende veramente liberi. In questo, Collodi è chiaro in modo inequivocabile, dal momento che quando Pinocchio smette di studiare gli succedono le cose peggiori, diventa perfino un asino, destinato per sempre a servire come forza lavoro senza mai aspirare a più di questo. Sia chiaro, Collodi non mette in cattiva luce il lavoro di fatica, anzi, lo esalta, quando è finalizzato un obiettivo più alto, come aiutare il prossimo o mantenersi senza mendicare, eppure non deve essere quella l’unica condizione dell’umanità. Attraverso la cultura e l’intelletto Pinocchio non salva solo sé stesso, ma anche suo padre, quando, grazie a un lumicino, che rappresenta l’intelletto umano, riesce a fuggire dal ventre buio del pescecane. L’episodio in cui Pinocchio viene ingoiato dal pesce costituisce, all’interno della costruzione della storia, la seconda morte rituale, tipica delle favole, in cui il protagonista deve morire per poter rinascere migliore; la prima di queste morti, invece, avviene in modo molto crudo per impiccagione a causa del Gatto e la Volpe, i cattivi consiglieri e animali presenti in ogni tradizione con le caratteristiche di scaltrezza e intelligenza e sono i tentatori della mente e del corpo di Pinocchio. 

La mia foto per Instagram

Questa fiaba si discosta molto dai canoni classici e lo dimostra sin dall’incipit, poiché non comincia con una principessa in un castello o un prode cavaliere. Si apre con “C’era una volta…-Un re!- diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno”. I significati, anche in questo caso, sono molteplici: alcuni critici ci vedono nel passaggio da pezzo di legno a bambino vero la transustanziazione della materia come la intendono i cristiani, e di fatti i simboli cristiani non mancano, Geppetto stesso è il diminutivo di Giuseppe, di cui esiste un famoso esemplare nella storia che faceva sempre il falegname e che quindi rappresenterebbe un dio plasmatore. Pinocchio deve quindi compiere un viaggio per passare dall’essere un pezzo di materia inanimata, al diventare un umano in carne, quindi tutta anima. In questa visione cristiana, la Fata Turchina può tranquillamente rappresentare la Madonna, anche se la sua fisionomia ricorda molto poco quella del film della Disney. La Fata nel libro, infatti, si presenta come una bambina dai capelli turchini, con il volto bianco e le mani incrociate sul petto; una bambina morta che per Pinocchio sarà una sorella e una madre e che rappresenta la morte stessa, poiché per essere umani bisogna incontrare la morte, prima o poi, a differenza degli oggetti inanimati. Sarà proprio la fata, dopo che il burattino si sarà deciso a seguire la diritta via, come avrebbe detto un altro toscano, e avrà posto sé stesso al servizio del prossimo, a trasformare Pinocchio in un bambino vero, facendo assimigliare tantissimo questo episodio al mito di Pigmalione, scultore della tradizione greca che si era innamorato a tal punto della propria scultura di donna che Afrodite decise di darle la vita. Allo stesso modo, Geppetto Ha amato un pezzo di legno come suo figlio al punto che questo è diventato reale. 

Anche l’interpretazione massonica data a Pinocchio non risulta forzata (e con questo si intende la Massoneria completamente spogliata di qualsiasi significato romanzato e complotti sta alla Dan Brown che possa esserle attribuito, ma basandosi unicamente sui testi che sono stati scritti a riguardo). Non vi sono prove che Collodi fosse un massone, ma ve ne sono che ne conoscesse diversi. Tanto per cominciare, lo stesso percorso di Pinocchio ricorda l’iniziazione di un membro della massoneria, come la stessa morte per rinascita tramite un rituale simbolico in cui, in genere tramite cappio al collo, l’iniziato lascia fuori le proprie spoglie mortali per elevarsi intellettualmente, staccando la mente dal proprio in inferiore, oltre a promettere di tacere gli insegnamenti che imparerà in Massoneria(la cravatta nasce proprio da questo rituale). I simboli sono numerosissimi, ad esempio Mangiafuoco stesso sembra il capo di una società verticistica che viene nominato “mastro Mangiafuoco”, richiamo al capomastro della loggia. Anche il grembiule di questo burattinaio è un simbolo a sé stante dell’ apprendista massone.

Vi è un episodio in cui il Gatto e la Volpe portano Pinocchio nel  cosiddetto Campo dei Miracoli o Campo delle Stelle e questo luogo ricorda tantissimo la volta stellata di un tempio massonico. Il Gatto entra sotto questa volta stellata zoppicando, proprio come accade al neofita massone, che entra anche bendato perché non ha ancora visto la luce. Non mancano anche i riferimenti numerologici, come il numero quattrocento: nel capitolo 29 la fata prepara duecento tazze di caffè latte e duecento panini imburrati, richiamo ai quattrocento melograni che sormontano le colonne Jachin e Boaz nei templi massonici (qui per saperne di più). 

I simboli massonici sono numerosissimi e non si esauriscono qui, mi sono limitata a fare alcuni brevi esempi, ma al di là di quest’analisi, il significato pedagogico di Pinocchio è fortissimo e contribuisce a rendere questa fiaba immortale soprattutto perché ogni ambito culturale può contribuire a fornire un’interpretazione diversa. Inoltre, è fuori discussione che sia una storia a tratti molto crudele, ma altrettanto commovente, poiché Geppetto e la Fata, pur cercando di insegnare l’obbedienza a Pinocchio, lo lasciano comunque libero di sbagliare. Non è l’obbedienza cieca e dovuta quella che domandano, ma si comportano da buoni genitori che non pretendono l’amore del figlio senza dare nulla in cambio per il solo fatto di averlo messo al mondo. Geppetto è un padre che si priva del cibo e dei vestiti pur di dare da mangiare e da studiare a suo figlio e la Fata lo perdona sempre finché Pinocchio non smette di sbagliare e non dà finalmente ascolto al Grillo parlante, la voce della sua coscienza, quella vocina che tutt* noi abbiamo in fondo alla nostra testa e che spesso cerchiamo di uccidere per metterla a tacere. 

Per tutti questi motivi, penso che conoscere questa fiaba solo tramite il film (bellissimo) che ne è stato tratto, sia riduttivo e non renda giustizia a una storia tanto sfaccettata e studiata, in grado di commuovere e insegnare tantissimo in pochissime pagine. Pinocchio non è solo una storia istruttiva, ma anche narrativamente appagante, non solo perché gli episodi raccontati sono molto fantasiosi, ricchi di animali parlanti e di soluzioni interessanti a problemi assurdi, ma anche perché, in un modo che ha plasmato la comicità italiana, riesce a strappare un sorriso in situazioni drammatiche, anche attraverso l’utilizzo del linguaggio a tratti dialettale di Collodi. Se poi desiderate anche un volume esteticamente appagante, non c’è edizione migliore di quella illustrata da Iacopo Bruno per Rizzoli.


Fonti:

Ambra Raza: Pinocchio esoterico

Le due colonne

La fata turchina 

A Study in Drowning - La Storia sommersa

Titolo: A Study in drowning - La Storia sommersa Titolo originale: A Study in Drowning Autrice: Ava Reid Traduttore: Paolo Maria Bonora Ling...