lunedì 25 novembre 2019

Nowhere Girls


  • Titolo: Nowhere Girls
  • Titolo originale: Nowhere Girls
  • Autori: Amy Reed
  • Traduttrice: Elena Papaleo
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8856662894
  • Pagine: 368
  • Editore: Piemme

Trama

 Chi sono le Nowhere Girls? Sono tutte le ragazze, ma per cominciare sono in tre: Grace, tenera e impacciata, è nuova in città, dove si è dovuta trasferire a causa dei pregiudizi nei confronti della madre; Rosina, lesbica e punk, sogna di diventare una rockstar, ma è costretta a lavorare nel ristorante messicano di famiglia; ed Erin, un'asperger con due fissazioni, Star Trek e la biologia marina, vorrebbe assomigliare a un androide ed essere in grado di neutralizzare le emozioni. In seguito a un episodio di stupro rimasto impunito, le tre amiche danno vita a un gruppo anonimo di ragazze per combattere il sessismo nella scuola. Le Nowhere Girls, una moltitudine di voci diverse, dovranno superare la paura e l'imbarazzo per confrontarsi con coraggiosa onestà e opporsi alle minacce di chi si sente forte e non è disposto a mettersi in discussione. Ma alla fine riusciranno in ciò che sembrava impossibile: le cose possono cambiare e tutti hanno diritto alla felicità. Senza compromessi. Senza discriminazioni.

Analisi

Dare un parere su questo libro non è facile, data la moltitudine di argomenti che tratta in meno di quattrocento pagine. Tanto per cominciare, si affronta il tema della mascolinità tossica, vissuta dal punto di vista femminile, infatti sin dalle prime pagine vediamo ragazze e donne trattate come oggetti da uomini che si tamandano di padre in figlio uno spirito da spogliatoio, che fa in modo che si coprano a vicenda, anche quando commettono azioni deplorevoli. Tuttavia, l'escalation non parte dallo stupro di Lucy, quella è solo la goccia che fa traboccare il vaso: è interessante vedere come ragazze, e in generale donne, con diversi trascorsi famigliari, culturali ed economici, finiscano tutte, in un modo o nell'altro, per subire discriminazioni di genere. La madre di Rosina è una delle vittime di questo sistema, anche se non se ne rende conto, poiché non ha gli stessi strumenti culturali della figlia sedicenne: Rosina e sua madre sono costrette a lavorare come schiave nel fast food di famiglia e a rimanervi legate per una presunta solidarietà familiare che a loro non porta altro che doveri e svantaggi. Rosina vuole di più, vuole la sua vita e per questo viene fatta sentire come un'ingrata, come una ragazza che non sa qual è il suo ruolo. La loro subordinazione agli uomini non parte da un dominio esclusivamente sessuale, ma da molto prima, da uno che le vuole entrambe schiave sottomesse e docili. 

 È questa deumanizzazione che porta gli uomini che le circondano a vederle come oggetti, utili soltanto a soddisfare qualsiasi bisogno maschile. Da qui la questione diventa complessa, perché i risvolti sono molteplici: le ragazze della Prescott High vengono violentate impunemente da degli stupratori seriali, nel silenzio generale delle autorità che minimizzano e sviano l'attenzione. Questo clima di tolleranza nei confronti degli abusi non fa che fomentare la solidarietà maschile, la modalità da branco fa sentire gli stupratori in questione tanto spavaldi da mettere per iscritto su un blog le loro azioni abiette, catalogate come "ragazzate" dalla polizia locale. La cosa interessante è che il blog sul quale scrivono si chiama "I veri Uomini di Prescott" e ogni articolo viene firmato da MaschioAlfa541, ma la realtà suggerisce che i soggetti che scrivono siano insicuri della propria mascolinità, dato che si sentono in dovere di sbandierarla e la percepiscono come autentica esclusivamente quando si trovano in una posizione di dominio sul prossimo. Di fatto si approfittano delle donne, facendole sbronzare e uminiandole in tanti modi diversi, spersonalizzandole, il che mostra una chiara deficienza nelle capacità relazionali. In effetti, il gestore de "I Veri Uomini di Prescott" non è nessuno al di fuori della scuola, è un fallito sotto il punto di vista lavorativo e relazionale. La sua vita fa schifo e piuttosto che cercare una soluzione, preferisce incolpare qualcun altro, spesso chi sta peggio, e se non c'è nessuno da incolpare, si incolpano le femministe cattive che gli tolgono il sesso, tanto è un evegreen. 






Ciò che l'autrice cerca in più modi di enfatizzare è che i maschi non sono innocenti solo perché non violentano, anche quelli che gridano al "not all men" sono una parte della cultura dello stupro, perché distolgono l'attenzione dal problema preso in esame per concentrarla su di sè e sentirsi la coscienza a posto, lavandosene le mani e non prendendo consapevolezza di essere parte del problema, dato che tolgono spazio alle vittime che cercano appoggio. I "not all men" spesso minimizzano il problema, dall'alto del loro inconsapevole privilegio (spesso si tratta di maschi, bianchi, etero) e lo classificano come "roba da donne", atteggiamento che fa sentire in difetto chi denuncia un abuso.
Lentamente, verso la metà del libro, il centro si sposta dai "maschi cattivi" a sè stesse, a come loro si sentono e si cerca di instaurare una sorellanza, meno tossica della solidarietà maschile a cui si è accennato prima, che trascenda le divisioni sociali. Il cambiamento parte da loro e, con una citazione della Lisistrata di Aristofane, si comincia uno sciopero del sesso. Tale avvenimento causa un vero e proprio terremoto sociale all'interno della Prescott High, come se, in qualche modo, tutti al suo interno avessero sempre considerato il sesso come un diritto inalienabile degli uomini. Incredibilmente, l'affissione dei volantini per annunciare lo sciopero del sesso viene catalogato come atto vandalico dalle stesse identiche persone che non hanno fatto niente per cercare un colpevole per lo stupro di una ragazzina e che tacciono davanti a ogni altro tipo di ingiustizia. Con la citazione di Lisistrata si trae spunto per parlare anche del tema della verginità, che alcune percepiscono come sacra, non tanto in senso religioso, quanto perché sinonimo di non aver ceduto alle pressioni sociali che stabiliscono quale sia l'età limite per essere una vergine. Per altre, invece, il sesso è esclusivamente un divertimento, come lo è per molti maschi, per cui non deve necessariamente essere una cosa speciale in senso spirituale, ma deve comunque essere un'attività piacevole e sicura anche per loro. Ciò, sfortunatamente, accade raramente, perché  molte delle protagoniste del libro non hanno idea di come sia fatto il proprio corpo nè che sia possibile per loro provare piacere esattamente come per gli uomini. Quindi è emancipatorio sia conservare la propria verginità, sia avere un'intensa vita sessuale, purché entrambe le opzioni siano scelte dalle dirette interessate, in base ai propri desideri e non condizionate dalla società. 

Connesso al tema della verginità è quello sulla bellezza: esiste una mancanza di rappresentazione di un certo tipo di donne, infatti le donne in carne nei film e dai mass media vengono rappresentate come "quelle simpatiche" e se sono potenti come "quelle malvagie", non sono mai eroine ed è proprio qui che Grace, generalmente invisibile, decide di prendere in mano la situazione e cercare di cambiare le cose e avere giustizia per Lucy. 
Delicatissimo anche il discorso sull'abilismo che viene portato avanti: durante la lettura tutte le protagoniste crescono, in un modo o nell'altro, ma nessuna più di Erin, la ragazza Aspeger che viene trattata come una ritardata o come un fragile fiorellino da tenere sotto una campana di vetro. Lei non è fragile, lei è quella che combatte più di tutte, più a lungo di tutte, soffrendo più di tutte, proprio a causa della (o grazie alla) sua sindrome, che mai abbandona il campo di battaglia quando le cose si fanno difficili. Questo porta all'attenzione del lettore un fatto importante: i disabili sono persone normali, con una libido, dei desideri, dei trascorsi personali e delle relazioni come chiunque altro.
La protesta scolastica si espande e fa presa anche sui ragazzi che non si rispecchiano nei canoni della mascolinità tradizionale: se da un lato abbiamo dei maschietti arrabbiati, abituati a battere i piedi per terra e pretendere, che piagnucolano quando viene negato loro il sesso, dall'altro ci sono anche uomini disposti ad ascoltare e cambiare assieme, anche perché spesso la cultura dello stupro è legata ad altri pregiudizi, come il razzismo e l'omofobia, che non danneggiano solo le donne. 
A questo punto è chiaro che gli stupratori non sono uomini col passamontagna che aspettano agli angoli bui delle strade, ma, al contrario, sono persone dall'aspetto ordinario che hanno ereditato un modo di pensare sbagliato. La cultura dello stupro è qualcosa di così radicato in ogni ambiente che nessuno a Prescott vi presta attenzione, ma si parla di una pericolosa escalation di violenza quando le ragazze cominciano a essere assertive e a denunciare. Da qui, al victim blaming il passo è breve, perché tutta l'attenzione dei giornalisti si concentra su come la vita dei poveri ragazzi accusati di violenza sessuale sia cambiata in peggio e venga resa impossibile da un mucchio di femministe radicali: paradossalmente i carnefici si atteggiano da vittime.
Nessuno si occupa di indagare, nessuno si occupa di aiutare le molteplici vittime, tutti difendono "quei bravi ragazzi", dando per scontato che la lei della situazione stia sempre mentendo. Risulta, quindi, evidente, che a nessuno, nè alla preside della scuola, nè alla polizia, nè ai genitori, interessi davvero la giustizia, quanto il mantenimento dello status quo, poco importa che ci siano dei violentatori a piede libero. In questo frangente le cose cambiano, perché gli stupratori hanno sempre fatto affidamento sul principio della fratellanza, per cui ci si copre a vicenda per qualsiasi cosa, e sul fatto che le vittime non denunceranno mai per vergogna e perché si sentono sole, ma grazie alle Nowhere Girls, le ragazze della scuola riescono a riunirsi, a condividere, a pianificare un modo per avere giustizia. Non tutte hanno la forza di denunciare e, del resto, non è giusto costringerle a farlo, dato che sono già state costrette a fare qualcosa contro la loro volontà, tuttavia, grazie al gruppo che si è formato si riesce almeno ad avviare un processo di guarigione.  
Unite al di là di colore, classe sociale e religione, le donne diventano più forti. 

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