- Titolo: La ragazza guerriera
- Titolo originale: Warrior girl unearthed
- Autrice: Ageline Boulley
- Traduttrice: Cristina Proto
- Lingua originale: inglese
- Codice ISBN: 9788817183765
Trama
Perry Firekeeper-Birch, sedici anni, sa da sempre di essere la gemella imperfetta, la combinaguai, ma anche quella spensierata, e il miglior pescatore di Sugar Island. La sua vita le piace così com’è e non ha alcun desiderio di allontanarsi da casa per studiare in una prestigiosa università. Ma mentre cresce il numero di donne indigene scomparse e la sua famiglia viene coinvolta in un’indagine per omicidio, Perry inizia a mettere in discussione quello che accade attorno a lei, soprattutto quando scopre che ci sono persone senza scrupoli che profanano le tombe dei suoi antenati e cercano di trarre profitto da antichi manufatti che dovrebbero appartenere di diritto alla sua tribù. Spinta dal desiderio di rivendicare l’eredità del suo popolo, Perry non ha altra scelta che buttarsi nell’impresa disperata di riportare a casa gli oggetti appartenuti ai suoi antenati. Non è sola: può contare sulla sua competitiva e amatissima gemella, sul loro vecchio amico d’infanzia e sul nuovo irreprensibile e affascinante ragazzo venuto dalla città. Vecchie rivalità, segreti e rapine fallite proveranno a sbarrarle la strada, ma non potranno impedirle di portare alla luce una spaventosa verità. Età di lettura: da 12 anni.
Recensione e commento
Questo libro mi ha fatta arrabbiare. Mi ha fatta proprio uscire fuori dai gangheri. E ha fatto bene, perché era precisamente questo il suo interno.
Quando mi sono approcciata a La ragazza guerriera, titolo e copertina mi avevano fatta pensare a un fantasy, invece mi sono trovata davanti a un romanzo di narrativa young adult che mescola temi attualissimi, coming of age e thriller in un’amalgama ben scritta, ritmata e credibile. Questo romanzo è come i suoi personaggi: niente è solo qualcosa. Per cui ogni persona del cast ha varie caratteristiche che sono più che semplici etichette decise a tavolino dall’autrice che voleva rappresentare più varietà umane possibili. Questo è proprio uno dei moniti della storia, che mette in guardia dai pericoli di affibbiare etichette alle persone, ridurle a un token, a una singola cosa da feticizzare e per quella odiarle o amarle. E questo non vale soltanto per quello che succede alle persone native da parte dei bianchi, poiché accade anche tra persone della stessa comunità, anche quando non concerne la questione razziale o culturale. Una ragazza di sedici anni perfettamente normale non può essere etichettata come “quella sfaticata” da contrapporre alla “gemella sveglia” solo perché non ha ancora trovato qualcosa da amare al punto da volerla fare sempre bene. Una ragazza non è perbene solo perché prende ottimi voti che raggiunge tramite l’ansia sociale di fallire. Succede così tanto in meno di quattrocento pagine, che sono volate via, che mi sono stupita di come Angeline Boulley sia riuscita a fare entrare così tanti concetti, affrontati benissimo, in poco spazio.
Oltre a questo tema, La Ragazza guerriera parla anche di appropriazione culturale riuscendo ad andare così in profondità di un concetto tanto (ma tanto) frainteso e minimizzato che in un paio di occasioni mi è rotolato via un paio di lacrime. Attraverso gli occhi di Perry vediamo come il governo degli Stati Uniti (e non solo quello) tratti le nazioni di nativi in modo totalmente ingiusto, approfittando, e a volte creando di proposito, di vuoti legislativi per poterne trarre vantaggio. L’autrice ci spiega come i trattati che intimano di restituire alle famiglie i loro oggetti rubati (RUBATI!) dalle tombe dei loro cari vengano totalmente bypassati o serenamente ignorati, di come oggetti di importanza religiosa o anche soltanto pregni di valore affettivo e culturale vengano venduti a prezzi esorbitanti perché finiscano nella casa di qualche riccone per essere sfoggiati come oggetti esotici di lusso: decorazioni, non oggetti con un valore intrinseco. Nella postfazione Angeline Boulley spiega che molte delle scene che racconta nel libro sono realmente accadute a lei o a persone che conosce e molte di esse sono scioccanti: come vi sentireste se domani un archeologo o un’archeologa andassero nella vostra tomba di famiglia col favore delle tenebre, tirassero fuori dal terreno le ossa di vostra nonna e le mettessero dentro una scatola di cereali asserendo che tutto questo viene fatto per un bene superiore? Io penso che non vi farebbe piacere, specialmente se il governo del vostro Paese dicesse che no, non necessariamente quello che è stato rubato deve essere restituito, dato che deve essere studiato. In tutto il libro la rabbia di Perry, la sua frustrazione, sono state le mie, ho sentito veramente tutte le sue emozioni e penso che questa sia la vera potenza della narrativa: spiegare attraverso l’empatia dei concetti di cui spesso ci si riempie la bocca senza averli mai davvero capiti nel profondo.
La protagonista percorre una strada che la porta a comprendere che non conta solo il fine, ma anche i mezzi e che fare le cose nel modo giusto ha importanza. Sul finale, dopo tutte le sue epifanie, avrei voluto abbracciarla e sono stata felice di vedere che Perry ha compreso finalmente di poter scegliere per sé le sue etichette e persino cambiarne qualcuna. Durante il suo percorso la vediamo affrontare gli effetti catastrofici della colonizzazione che coprono letteralmente qualsiasi cosa. Persino il cibo è stato colonizzato, perché molto di quello che nel Cinquecento è stato importato dall’Europa si è rivelato dannoso per le popolazioni indigene che ancora oggi hanno una genetica che rende più probabile l’insorgere di determinate malattie. Proprio nell’instancabile tentativo di mantenere bilanciata la propria vita, la famiglia di Perry cerca di costruire una bolla di felicità non dando mai nulla per scontato e cercando di mantenere vive delle tradizioni salutari anche in termini di produzione di cibo proprio. Tutto questo sforzo costante per il mantenimento di costumi che a un certo punto hanno rischiato di andare completamente perduti, poiché le persone della generazione dei nostri nonni sono state strappate dalle loro famiglie e affidate a bianchi che avevano il compito di “civilizzarli” anche tramite l’uso della violenza e della mortificazione, per cui non avendo più avuto contatti con le famiglie di origine hanno perso moltissimo in termini di cultura. Sotto questo aspetto, Boulley ci fa notare come in determinati ambienti con “cultura” viene inteso un punto di arrivo al quale si giunge tramite un percorso accademico spesso elitario, mentre in realtà questa parole dovrebbe denotare tutto un contesto che parla di chi siamo nel qui e ora che è frutto del percorso delle generazioni precedenti e di quello che ci hanno lasciato. La cultura è qualcosa in cui siamo immersɜ come nello spazio tempo, non è necessariamente una scalata su una montagna. Solo che tutto ciò che non è frutto di lavoro accademico e che differisce dalla cultura dominante viene relegato come folklore, come carnevalata da mettere in scena per i turisti.
Ultima precisazione: La Ragazza guerriera non è il sequel di Un Grammo di Rabbia, ma comunque ci sono dei riferimenti che potrebbero essere spoiler del libro precedente perché fanno riferimento a una personaggia secondaria e al suo passato. Sono comunque fruibili separatamente senza problemi.
La Ragazza guerriera è la dimostrazione di quanto possa essere interessante un romanzo quando chi lo scrive ha qualcosa da dire e nel farlo non sottovaluta il suo pubblico. A mio avviso un libro validissimo che fa giustamente indignare e scoprire il modo di pensare di chi fino a ora è statǝ cancellatǝ.
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