mercoledì 2 ottobre 2024

La lunga Notte senza Luna

  • Titolo: La lunga Notte senza Luna
  • Titolo originale: The spear Cuts through Water
  • Autore: Simon Jimenez
  • Traduttrice: Marinella Magrì
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804781455
  • Casa editrice: Mondadori
Trama


Anticamente, Luna e Acqua si amavano. In cerca di un modo per stare insieme, crearono il Teatro Riflesso, un luogo sospeso tra i mondi e nel tempo, a cui anche ai mortali è consentito l’accesso attraverso il sogno. Quando arrivi, sai già dove andare: ottava fila, posto centrale. Attratto da una forza sconosciuta, ti siedi e assisti al racconto di questa storia: un tempo, uno dei Primi Uomini scucì Luna dal cielo con la punta della sua lancia. Lei gli concesse quindi un desiderio: una discendenza investita di doni sovrannaturali che da allora ha regnato sull’Antica Patria, soffocandola, tuttavia, con la propria sete di potere e gettandola in un’oscurità sempre più profonda. Gli imperatori hanno tratto per secoli la loro forza da Luna, imprigionata nelle segrete del palazzo reale, ma una divinità non può essere rinchiusa per sempre... Mentre l’Ottavo Imperatore si prepara a un pellegrinaggio in cerca del segreto della vita eterna, e i suoi eredi, i Tre Terrori, tramano per prendere il suo posto, Luna convince Jun, figlio prediletto del Primo Terrore, ad aiutarla a scappare per rimediare al suo passato da feroce assassino. Durante la fuga, i due incontrano Keema, un giovane guerriero con un solo braccio e dalle misteriose origini, che si unisce a loro in questo pericoloso viaggio verso i confini più estremi del regno, alla ricerca di un modo per riportare la libertà e la luce nell’Antica Patria. Grazie a una capacità narrativa estremamente originale e stratificata, Simon Jimenez dà vita a un incredibile romanzo corale, che è allo stesso tempo un’avventura epica e una storia d’amore, un’esplorazione profonda dell’identità e del senso di appartenenza, e un tributo all’immenso potere delle storie e del racconto.

Recensione e commento

Ho lasciato sedimentare questa lettura per diversi giorni dopo averla conclusa, nella speranza che mi venissero le parole giuste parlarvene. Non sono sicura che questo sia successo, ma cercherò comunque di fare del mio meglio.

Penso sinceramente che La lunga Notte senza Luna sia uno di quei libri dei quali non si possa dire se siano belli o brutti, perché è così fuori dal comune e così particolare che solo voi, provando a leggerlo, potete decidere se vi piaccia o no. A me è sinceramente piaciuto, l’ho percepito un po’ come se N.K. Jamisin avesse scritto Il Mare senza Stelle, immaginatevi che trip.

Già solo la struttura è originalissima, la narrazione si sviluppa “a matrioska”, c’è una storia, dentro una storia dentro una storia, con un tono e uno stile che cambiano a seconda del lettore implicito. Lo so, è complicatissimo, ma è così: la narrazione si apre usando una seconda persona singolare, con un narratore onnisciente che si sta rivolgendo sia a noi, sia a un ascoltatore che sarà solo occasionalmente un personaggio attivo e mai protagonista. A noi e a lui viene raccontata la storia del Teatro Riflesso, in cui si può andare solo una volta nella vita, nei propri sogni. Ed è proprio qui che l’ascoltatore, che poi siamo noi, diventa personaggio e la maggior parte della sua attività consiste nell’assistere alla storia che viene messa in scena. La sua vita personale, quella del mondo da sveglio, si intrufola solo saltuariamente e la conosciamo a grandi linee (la guerra, i fratelli, il padre severo), la narrazione a cui viene riservato il novanta percento dello spazio è appunto quella che viene messa in scena nel teatro: è quella di cui sappiamo tutto, ambientazione, vita morte e miracoli dei personaggi, sistema politico etc. È il vero centro del romanzo e la chiave per interpretare tutto il resto perché è un po’ come se ci venisse fornito un racconto universale sulle nostre origini come individui e come popolo che è sepolto dentro di noi. Non sappiamo in modo consapevole che è lì, ma in qualche modo ci forma e ci definisce.

Riguardo alla storia che si svolge nel Teatro Riflesso, non so cosa mi aspettassi, ma non mi aspettavo quello che ho letto. E mi è piaciuto. È stata una storia epica spalmata su un periodo di cinque giorni in cui viene data la spinta finale a un impero che sta crollando e fin qui niente di strano, ma tutto questo avviene all’interno di un universo immaginifico incredibile, ci sono delle scene di una bellezza e di una fantasia che non saprei descrivere e che non mi verrebbero mai in mente. Non ve le racconto perché molte di loro sono spoiler, ma sono spesso delle situazioni così impensabili che la loro risoluzione e di per sé un colpo di scena. E contengono tutto, dalla brutalità della guerra alla bellezza poetica del mito che si perde nel tempo.

Generalmente amo sviscerare i significati nascosti, le metafore e quello che l’autore voleva veramente dire senza dirlo in modo esplicito, ma qui mi trovo completamente spiazzata, perché credo che sia un po’ una di quelle storie universali che potrebbero essere analizzate per secoli. È un romanzo che va avanti per archetipi che sono universali e non sono riconducibili a una sola mitologia, ma a tutte, poiché è collocata fuori dallo spazio e dal tempo. Anche in questo risiede l’originalità del libro, perché non sembra la rielaborazione di qualcos’altro e penso che sia uno dei rari casi in cui l’aggettivo “inimitabile” sia veramente calzante. Va da sé, non penso che l’originalità sia una valore assoluto, a volte basta solo narrare bene un bel racconto, ma in questo caso è un pregio proprio per il fatto che non è solo simulata, ma portata al suo apice, limata e cesellata. È indubbiamente anche un esercizio di maniera, ma mi ha anche lasciato qualcosa a livello emotivo, per quanto io non sappia ricondurre questa sensazione a un singolo elemento preciso, perché le tematiche contenute sono tantissime e non veicolano messaggi semplificati. Si parla di redenzione, di potenti che pensano a fare festini mentre arriva la fine del mondo (se vi ricorda qualcosa immagino che non sia casuale), di leggende che prendono vita, di ciò che ereditiamo dalla nostra famiglia, di poteri magici tramandati, di rinascita, di perdono e divinità che possono morire, il tutto mentre gli ingranaggi della trama si incastrano uno alla volta e il meccanismo continua a girare con un’armonia che vedo sempre più di rado. Infatti, a questo proposito, per quanto La lunga Notte senza Luna si apra con un incipit che sembra quasi un’allucinazione, quando si arriva alla fine lo si fa con la consapevolezza che nulla è stato lasciato al caso e ogni pezzo è andato al suo posto.

In questo viaggio attraverso l’acqua di Keema e Jun, potrete dare il significato che vorrete, poiché il significato è qualcosa che si dà, non qualcosa che si trova, esattamente come accade con le storie antiche del mito e delle fiabe. Siamo ancora qui a parlarne e a scrivere saggi su saggi a secoli di distanza per via degli echi che hanno lasciato. Per me La lunga Notte senza Luna ha esattamente la stessa potenza. Non so dire se sarà qualcosa che verrà studiato a scuola in futuro, ma sicuramente è il tipo di racconto che ha l’ambizione far rispecchiare in sé chi legge, più che di metterci davanti a una lavagna e spiegarci qualcosa in modo didascalico. Anche la storia d’amore, che in genere è il mio tallone d’Achille, per me è stata convincente proprio perché cresce poco alla volta e non appare forzata o infilata a forza nella trama perché deve esserci per forza. Ho sinceramente fatto il tifo per la ship e ho sperato fino all’ultimo che l’epilogo non fosse tragico.

Fra, abbiamo capito che ti è piaciuto, ma quindi è perfetto?, mi chiederete. No, qualche piccolo difetto c’è, anche se è trascurabile nella cifra totale del romanzo. Innanzi tutto, il primo errorino che mi viene in mente è che i nomi di due personaggi sono troppo simili perché iniziano con la stessa lettera, hanno la stessa lunghezza e hanno circa le stesse vocali all’interno della parola; questo mi ha portata in un paio di occasioni a confonderli e dover tornare indietro di un paio di paragrafi per capire chi avesse fatto cosa. Inoltre, ho trovato un problemino nella rappresentazione di Keema, un guerriero a cui è stato amputato un braccio. Sebbene sia auspicabile la rappresentazione di corpi sempre diversi e mi abbia fatto piacere vedere per una volta un corpo con una disabilità dall’inizio alla fine, senza che per magia ricresca il braccio alla chiusura del libro, allo stesso tempo non ha nessuna delle difficoltà che realisticamente dovrebbe avere: si arrampica con un braccio solo senza mai un’esitazione, combatte senza che questo sia mai uno svantaggio e non ci viene mai spiegato come venga compensata la sua mancanza nello svolgimento delle azioni più complesse. Insomma, ci viene detto esplicitamente della sua disabilità, ma manca l’esperienza immersiva nella sua vita, anche perché non ha aiuti di altro tipo. E non penso che in questo caso l’autore volesse renderlo un super umano, credo, più che altro, che non ci abbia pensato e non si sia immedesimato a sufficienza nel suo protagonista da capirne la quotidianità al cento percento. In qualche modo, questo rovina un po’ la rappresentazione, proprio perché sotto questo aspetto è un lavoro fatto a metà. Ma questo è davvero tutto quello che ho da dire sui difetti.

La lunga Notte senza Luna è un romanzo che non è propriamente incasellabile. Non saprei a quale pubblico consigliarlo, perché è qualcosa di così originale e fuori dal comune che bisogna davvero provare e decidere in base al proprio gusto personale. Probabilmente, potrete apprezzarlo se avete amato libri come Vita Nostra o Il Mare senza Stelle. Io comunque credo che meriti un’opportunità anche solo per lo stile e la struttura inusuale.

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