martedì 11 ottobre 2022

I nostri Cuori perduti

 Bellissima gente, siamo qui oggi per parlare di un libro che, ve lo anticipo, ho amato. Devo ringraziare Patrizia per aver organizzato l’evento, e la casa editrice per avermi dato la possibilità di leggerlo in anteprima.


  • Titolo: I nostri Cuori perduti
  • Titolo originale: our missing hearts
  • Autrice: Celeste Ng
  • Traduttrice: Federica Aceto
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804753322
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama

Bird è un ragazzino di dodici anni che vive a Cambridge, Massachusetts, con suo padre, un ex linguista ora impiegato nella biblioteca universitaria di fronte a casa. Sua madre, Margaret, una poetessa di origini cinesi, li ha abbandonati quando lui aveva solo nove anni in circostanze misteriose, dopo che una sua poesia è diventata il manifesto dei dissidenti contro le leggi in vigore. Leggi autoritarie, volte a preservare "la cultura e le tradizioni americane", a bandire i libri o le forme d'arte non allineati, e a "ricollocare" i figli dei soggetti sovversivi. In questo clima di paura, Bird sa che non deve fare domande; è cresciuto rinnegando sua madre e le sue poesie, ma quando riceve una lettera al cui interno c'è un foglio cosparso di minuscoli gatti disegnati, capisce che si tratta proprio di un suo messaggio in codice. Inizia così l'affannosa ricerca per ritrovarla. Partendo dalle storie che lei gli raccontava da piccolo, attraverso una rete clandestina di bibliotecari che aiuta le famiglie dei bambini rapiti, Bird approda a New York, dove un estremo atto rivoluzionario può cambiare il futuro per sempre. Come "Il racconto dell'Ancella", "1984" e "Fahrenheit 451", "I nostri cuori perduti" è una metafora di come le comunità all'apparenza avanzate ignorino l'ingiustizia più palese. Un perfetto capolavoro distopico, che racconta il coraggio di vivere in tempi bui con il cuore intatto. E un testamento prezioso sul potere intramontabile dell'amore, della letteratura e della speranza.

Recensione e commento 

L’autrice 
Trovare le parole per parlare di un libro che si è amato fino a questo punto è difficilissimo. Ho iniziato la lettura di I nostri Cuori perduti senza grandissime aspettative: io amo le distopie e quando le leggo, spesso preferisco farlo a scatola chiusa, senza sapere la trama in anticipo, voglio partire a tabula rasa. Ebbene: mi ha stupita vedere che I nostri Cuori perduti non parla di un futuro, anche prossimo, ma del nostro presente o passato recente.

Quando ho terminato la lettura ero sull’orlo delle lacrime, perché questo romanzo è così tecnicamente ben fatto da avere poco bisogno di spiegazioni e per questo motivo riesce a essere emotivamente toccante in modo lineare, senza neanche un incidente. Credetemi, io ne ho lette, di distopie, e non c’è stato un solo momento in cui sia riuscita ad anticipare i colpi di scena o indovinare la trama. Tutto è stato inaspettato e naturale al tempo stesso, come la vita. Il flusso di coscienza si trasforma senza soluzione di continuità in discorso diretto slegato libero e, se questo espediente in altri romanzi può risultare di difficile fruibilità, sicuramente non lo è qui, dove è il modo migliore per fare arrivare i personaggi a chi legge, senza filtri. 

I nuclei tematici di I nostri Cuori perduti sono tantissimi e spesso si ibridano a vicenda. Si passa da pesanti crisi economiche che mettono in ginocchio un intero Paese, che cerca di dare la colpa della propria sfortuna a uno Stato straniero, accusato di manipolarne l’economia. In un clima fortemente xenofobico, alimentato dal Governo stesso, non stupisce che le aggressioni a persone dai tratti somatici asiatici siano in forte aumento. Questo tema nello specifico ha stuzzicato tante ferite aperte nel mio cuore, perché il parallelismo con le aggressioni sinofobiche durante (e dopo) la pandemia che abbiamo vissuto e stiamo a ancora vivendo non sono casuali. Mi sono tornate alla mente le piccole discriminazioni di bianchi che non volevano sedersi accanto a bambini asiatici sul treno, a ristoranti cinesi e giapponesi costretti a chiudere per via delle minacce e dei mancati incassi, alle vere e proprie aggressioni per strada. Mi ha fatto male come questo romanzo mi abbia mentito per raccontarmi la verità. Anzi, non me l’ha solo raccontata: me l’ha sbattuta in faccia in modo da rendermela talmente innegabile che quasi è stato insopportabile. Mi ha fatto viver disagi che non ho mai sperimentato sulla mia pelle, incluso quello dell’isolamento, delle strade deserte e del loro silenzio assordante. Perché per me il 2020 è stato un momento di rinascita, ma non è stato così per tutto il mondo, e I nostri Cuori perduti mi ha dato l’opportunità di comprendere appieno qualcosa che conoscevo solo a livello concettuale. 

La cover originale
Eppure, per quanto dolorosa, è stata una lettura necessaria. Ha raccontato la responsabilità dei media nel modo di raccontare le informazioni, di come tutte le numerose aggressioni a danno di persone asiatiche fossero sempre casi isolati portati avanti da mele marce, mentre il contrario era sempre sintomo di qualche atto terroristico bloccato sul nascere. Di come non puoi chiedere aiuto a nessuno quando il sistema è costruito appositamente per prendersela con persone come te. Ha perfettamente senso, quindi, che tutta la prima parte del libro sia narrata dal punto di vista di Bird, un bambino di 12 anni che vive tante piccole ingiustizie sulla sua pelle da così tanto tempo da averle normalizzate, per quanto ancora gli facciano male. Sente dentro di sé che quello che vive ogni giorno non è giusto, che c’è di più, eppure non ha gli strumenti per fare qualcosa, nemmeno per lamentarsene. E visto che i bambini sono la voce della verità, la sua visione priva di sovrastrutture è stata quella più delicata e al tempo stesso crudele nel mostrare tutto quello che, giorno dopo giorno, gli è stato strappato via. 

Questo è stato uno dei rari casi in cui “pensate ai bambini” è un concetto che ha davvero avuto valore: i figli qui vengono utilizzati come arma di ricatto per far tacere genitori che protestano a voce troppo alta e che vogliono un mondo migliore proprio per le creature che hanno messo al mondo. E allora arriva un complesso discorso sulla genitorialità: cosa devono fare le madri e i padri? Insegnare ai figli a combattere con le unghie e con i denti, fino alla morte, oppure educarli a tenere lo sguardo basso, non attirare l’attenzione e sopravvivere senza mai alzare la voce? Non c’è una risposta giusta, univoca. So solo che tutte le decisioni prese dai genitori di questo romanzo, padri o madri che fossero, mi sono sembrate ugualmente giuste, valide. Estremamente condivisibili, anche quando si trovavano agli antipodi. 

Ed è proprio tramite il silenzio dei genitori che sperano di rivedere i propri figli che passa il messaggio dell’importanza della parola e della sua assenza. Di quanto ogni singola volta che tacciamo stiamo facendo un favore al potente, di quanto le informazioni che adesso possiamo raggiungere con tanta facilità, non siano da dare per scontate. Perché in un perfetto mix tra Fahrenheit 451 e 1984, qui i libri vengono bruciati, talvolta per celare segreti e non consegnare persone all’aguzzino, talvolta per distruggere il pensiero divergente. I nostri Cuori perduti mostra un mondo in cui in Grande Fratello non è un’entità esterna ed estranea, superiore, ma siamo tutti noi, controllandoci a vicenda e denunciandoci non appena notiamo la diversità, diventata sinonimo di pericolo. Qui arriva l’importanza delle parole nel loro percorso, nel modo che hanno trovato per arrivare fino a noi, tramite un dizionario o una storia. Di come siano l’unica vera soluzione, molto più alta della repressione e del rumore della violenza. Dell’importanza di poter raccontare la propria storia personale, senza soffocarla, della libertà di poter raccontare la propria individualità difendendo il diritto di non essere trasformati in simboli o martiri. Questo aspetto è probabilmente quello che ho preferito, al di là del fattore emozionale: I nostri Cuori perduti non è un libro polarizzato, perché mostra sì le brutture di una dittatura, ma anche la durezza della resistenza. Insegna quando entrambi gli aspetti rischino di togliere individualità, strumentalizzando le storie personali. Riesce a mostrare tutte le sfumature della realtà, prendendo una posizione chiara, ma non piatta.

In effetti, è proprio la propaganda, da una parte e dall’altra, un altro dei nuclei tematici del romanzo. Le persone non sono simboli. Sono persone. Con tutto ciò che comporta. La trasformazione in un simbolo che porta la strumentalizzazione della propaganda si perde tutti i milioni di piccole sfumature di un individuo ed è su questo che ci si basa quando si cerca di spersonalizzare qualcuno: se non pensiamo all’alrt* come persona allora possiamo commettere le peggiori atrocità senza sentirci in colpa. Senza pensare di aver commesso qualcosa di sbagliato e se ci voltiamo dall’altra parte, non abbiamo fatto nulla di grave. 

Quindi è un libro perfetto? Sì, o ci va vicino. Ho trovato solo due difettucci, uno dei quali non dipende dalla penna dell’autrice. Il primo è che, a mio parere, il sistema scolastico viene attaccato in modo troppo feroce e la trovo una cosa molto mainstream, specie negli Stati Uniti, quando agli insegnanti, categoria molto bistrattata, era stata data persino la colpa della crisi economica del 2008. Il secondo difetto dipende più dalla traduzione che dall’autrice, anche se parliamo di sottigliezze. Personalmente, non avrei convertito i pollici in centimetri. Mi ha fatto tornare in mente che George Orwell il 1984 optava per l’utilizzo del sistema metrico, al posto del sistema imperiale britannico, proprio per indicare la perdita dell’identità nazionale da parte del Regno Unito. Qua succede un po’ il contrario, volendo fare le equivalenze in centimetri dei pollici e di molti altri elementi (come le classi del sistema scolastico); così facendo si perde un po’ il contesto culturale e potremmo essere ovunque, cosa che può essere sia un pregio che un difetto. 

I nostri Cuori perduti mi resterà dentro molto a lungo. È una lettura che è arrivata dritta al punto in modo efficace e diretto. Una ferocissima critica agli Stati Uniti d’America, che può essere diretta a ogni altro Paese. La maestria dell’autrice mi ha lasciato la voglia di leggere tutto quello che ha scritto, sperando che faccia breccia nel mio cuore come ha fatto questo libro, che mi ha insegnato tanto, semplicemente raccontandomi una storia, non una favola.

1 commento:

  1. Sembra proprio una lettura forte, di quelle che ti prendono e non ti lasciano andare... cercherò di sicuro di recuperarlo!

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