martedì 21 febbraio 2023

Carne da Macello

  • Titolo: Carne da Macello
  • Titolo originale: Meat Marker
  • Autrice: Juno Dawson
  • Traduttrice: Tiffany Vecchietti
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8804754244
  • Casa editrice: Mondadori
Trama


Jana Novak è una sedicenne alta e allampanata, da sempre a disagio con il suo aspetto androgino. Un giorno, però, mentre è in un parco divertimenti insieme ai suoi amici, viene notata da un talent scout che le propone di iniziare a lavorare come modella per una prestigiosa agenzia di Londra. Da quel momento, la vita di Jana subisce un brusco cambiamento: dalla periferia londinese dove vive con la famiglia entra a far parte di un mondo sfavillante e attrattivo che sembra prometterle un futuro straordinario fatto di ricchezza, viaggi, feste, incontri con creativi e celebrità. Ben presto, però, Jana comprende che dietro alla spessa e frastornante patina glam della fashion industry si nascondono un lato sudicio e orde di insospettabili predatori pronti ad azzannare a ogni passo le loro giovani prede. E che la fiaba di cui pensava di essere protagonista si sta rapidamente trasformando in un vero e proprio incubo. Con Carne da macello, Juno Dawson ci accompagna nel ventre oscuro dell'industria della moda nell'era del #MeToo, e lo fa con una scrittura potente che non teme di essere cruda e spietatamente onesta. Un romanzo, questo, che non potrà lasciare indifferenti.


Recensione e commento


Provo sentimenti ambivalenti nei confronti di Carne da Macello, un romanzo che si è presentato come denuncia del mondo della moda e che a conti fatti, parla di tutt’altro.

Ma andiamo con ordine. La protagonista è Jana, una ragazza di sedici anni che viene scovata da uno scout mentre si trova in gita scolastica con la sua classe. I problemi sono iniziati proprio a questo punto, al principio della storia, perché è esattamente qui che la trama comincia a inanellare stereotipi: il mondo della moda raccontato in Carne da Macello è molto più simile a come lo immaginiamo noi profane che a come effettivamente è. L’essere reclutata in una situazione quotidiana, le feste prima delle sfilate e i vestiti portati via dal set dopo gli shooting sono solo alcune delle situazioni considerate non professionali e che non avvengono nella realtà. Non sono un’esperta di moda, questo è vero, ma mi piacciono i documentari, di qualsiasi argomento trattino, e ricordo chiaramente due puntate del programma Il Testimone di Pif dedicate alla supermodella Bianca Balti in cui si mostra davvero una panoramica di questo mondo che dall’esterno sembra tutto luccichii e glamour. In quelle puntate, sia Bianca Balti che altre modelle hanno più volte sfatato alcuni degli avvenimenti di Carne da Macello, come le feste prima delle sfilate: durante la settimana della moda non hanno il tempo di andare alle feste, se hanno decine di sfilate al giorno. Chiariamoci, non intendo fare un elenco di cose che so e che sono diverse rispetto al libro solo per fare la maestrina e fare sfoggio di cultura, intendo solo puntualizzare che questo libro si apre con un elenco di trigger warning proprio perché voleva raccontare una storia veritiera, realistica e far venire a galla i comportamenti disfunzionali di un intero sistema, ma per me non è stato possibile credere al racconto proprio perché è andato avanti per cliché di varia natura, inclusi quelli legati alla nazionalità. Se mi seguite su Instagram, forse avrete visto nei giorni scorsi le mie storie che contenevano alcuni screenshot riguardanti le descrizioni di personaggi tedeschi, italiani, francesi. Tutti loro erano perfettamente aderenti allo stereotipo: tedeschi uguali a Schwarzenegger (che è austriaco, ma a quanto pare per l’autrice non c’è differenza), italiani unti, abbronzanti, grassocci e coperti di catene d’oro, più somiglianti allo standard del camorrista della domenica nei film di gangster americani che ai fashion addicted milanesi, autisti francesi con cappelli piatti, odore di sigaretta addosso e barba sfatta. 

La fiera del luogo comune viene riservata anche alle descrizioni delle città: Milano (MILANO!) è piena di gelaterie artigianali in zona Duomo (Burger King, McDonald, Starbucks e gli all-you-can-eat hanno lasciato la chat), l’appartamento per modelle in affitto a Parigi durante la settimana della moda in quella città è guarda caso su una salumeria, e le città asiatiche più disparate sembrano uscite direttamente dai videogiochi. Sarei potuta passare sopra moltissime di queste cose, se prese singolarmente, ma messe tutte assieme no, anzi, sono abbastanza arrabbiata, dato che complessivamente tolgono credibilità alla storia e poi perché scrivere un libro di denuncia presuppone un certo grado di ricerca che qui manca. Penso che narrazioni come questa facciano molto male sia al pubblico che alle vittime, perché semplicemente cavalcano l’ondata di fama di movimenti come il #MeToo per monetizzare. È irrispettoso e da un’autrice che si è a più riprese dichiarata a favore della figura del sensitivity reader non mi aspettavo una tale sfilata di stereotipi, tra l’altro espressi consapevolmente, poiché non mancano frasi che esordiscono con “so che è un cliché, ma…”. Avere la consapevolezza di star scrivendo un luogo comune trito non lo rende meno grave, anzi, forse peggiora addirittura la situazione, perché fa prendere alla storia, che voleva presentarsi come realistica, un taglio inadeguatamente caricaturale.

Tralasciando il mio momento di rabbia, posso dire che il libro è diviso in due macroparti: nella prima, la narrazione si focalizza esclusivamente sui drammi adolescenziali di Jana che fa fatica a conciliare impegni scolastici e vita privata con il suo nuovo lavoro. Non mancheranno punti alla Il Diavolo veste Prada con tanto di fidanzato che si lamenta di non riuscire più a vedere Jana perché sempre impegnata o amiche del cuore che improvvisamente non sopportano un po’ di distanza. Non lo so, raga, a me questa gestione dei rapporti umani è sembrata fintissima. Molte delle persone che ho più care al mondo abitano a migliaia di chilometri di distanza da me e non litighiamo certo per questo (anzi, forse proprio in virtù di questo litighiamo meno).

Tuttavia, la seconda parte è quella che si concentra sugli abusi e lo fa anche benino. Ma anche qui, ho da ridire su alcune cose, perché, nonostante l’abusatore fosse una persona protetta a più riprese da chi sapeva e non ha fatto nulla, il suo ci viene comunque fatto passare come un caso isolato, come una singola persona, più che un sistema che ti mastica e ti risputa quando ha finito con te. Si tratta, insomma, di una sola persona che commette azioni abbiette, più che di un sistema fatto di persone che ti dicono di dimagrire e prendere droghe per dormire o stare sveglia, o ancora che sessualizza ragazzine dodicenni (vedi intervista a Sara Merlotti nel link a fine pagina), tutti comportamenti che sappiamo esistano nel mondo della moda, ma che qua vengono mostrati solo sullo sfondo delle vicende adolescenziali di Jana, in modo molto annacquato, o non vengono mostrate affatto. Leggere questo libro dopo lo scandalo Balenciaga è un po’ come guardare rai YoYo dopo un documentario su Chernobyl. La parte degli abusi, dicevo, è anche raccontata bene, verosimile e credibile, ma accade troppo velocemente e quasi di punto in bianco, senza alcun climax che ci faccia arrivare al punto di rottura. Un vero peccato, perché era questa la vicenda importante e l’autrice ha anche saputo raccontarla con delicatezza, pur con qualche scivolone dettato dalla fretta. 

La prima parte del romanzo, poi, oltre che dilungarsi in patemi adolescenziali anche legittimi per un libro riservato a questo target, si sofferma su qualcosa che mi è via via più indigesta man mano che invecchio: le scene di sesso tra persone minorenni. No, non prendete i forconi e lasciatemi spiegare. So che gli adolescenti sono sessualmente attivi e non c’è nulla di male, ma è davvero necessario che una donna adulta si metta a scrivere delle scene così esplicite che riguardano dei ragazzini che alla fine non sono finalizzate a raccontare qualcosa di importante ai fini della storia? Poiché non servono a narrare o spiegare nulla nella trama e non fanno parte di un quadro più ampio, ho sinceramente fatto fatica a capire il motivo per cui fosse stato riservato loro tanto spazio e dopo aver letto il finale del libro sono rimasta ancora più perplessa, proprio perché speravo che servissero per andare a parare da qualche parte, ma così non è stato. La narrazione si è soffermata tantissimo su dettagli di nessuna rilevanza per poi affrontare in modo sbrigativo le questioni davvero importanti della storia. Secondo Cěchov, se nel primo atto inserisco una pistola lo faccio perché arriverà il momento in cui dovrò sparare; qui no, non c’è un motivo per cui molte cose accadono e se fossero state tagliate le parti inutili, le pistole che non sparano, per intenderci, ci sarebbe stato più spazio per il vero tema del libro, che sarebbe arrivato prima, invece che dopo 200 pagine. 

Nota di demerito alla traduzione. Non me ne vogliate, non ho nulla di personale contro Tiffany, la stimo molto come content creator, ma questo è il secondo libro che leggo tradotto da lei e per la seconda volta la traduzione per me è peggiorativa del contenuto. In Una Dote di Sangue c’erano problemi con i congiuntivi, le consecutio temporum erano spesso e volentieri sbagliate. Qui ci sono problemi sintattici di varia natura e troppi periodi che sembrano tradotti con Google Translate. Spero che questo mio pensiero non causi una shitstorm ma per onestà intellettuale non mi sento di soprassedere su un aspetto tanto importante.

Un elemento che ho trovato pregevole, invece, è la prosa: Carne da Macello è scritto in prima persona dal punto di vista dell’adolescente Jana e devo ammettere che lo stile di scrittura ricalca in modo credibile quello di una sedicenne. Ci sono elenchi puntati, gergo giovanile e stralci di chat, che aiutano decisamente a calarsi nella storia e nella psicologia di Jana, per quanto una prosa del genere potrebbe non essere facilmente digeribile per un pubblico più adulto. Forse sono stata un po’ disfattista nell’ elencare i difetti, ma Carne da Macello non è completamente da buttare via, è comunque un romanzo scorrevole e gradevole, per quanto non esente da problemi. È un libro che scivola via velocissimo e intrattiene a dovere, quindi se questo tipo di lettura è ciò che cercate al momento, allora questo libro fa per voi.

In conclusione, non penso che Carne da Macello sia un libro intrinsecamente brutto, solo che non mantiene le promesse iniziali. Come libro per spezzare, da leggere per piacere, va benissimo, ma non se cercate una lettura dal taglio giornalistico, dato che sotto certi aspetti si tramuta involontariamente in una sfilata di stereotipi caricaturali.  



1 commento:

  1. Condivido la tua riflessione sulle scene esplicite tra minorenni. Non danno nulla alla trama soprattutto di un libro dedicato agli adolescenti

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