venerdì 19 maggio 2023

Sole Nero

Buongiorno, bellezze! Prendete qualcosa di caldo o qualcosa da sgranocchiare, perché, dopo aver ringraziato Francesca per aver organizzato questo evento e l’editore per avermi consentito di leggere il romanzo in anteprima, partiamo subito con il massacro. Carthago delenda est.


  • Titolo: Sole Nero
  • Titolo originale: Black Sun
  • Autrice: Rebecca Roanhorse
  • Traduttore: Andrea Cassini
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804749196
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama


Nella città sacra di Tova, il solstizio d'inverno è un momento di celebrazioni e rinnovamento, ma quest'anno coincide con un'eclissi di sole, un evento astronomico raro che i Sacerdoti del Sole vedono come una rottura dell'equilibrio globale. Nel frattempo, una nave proveniente da una città lontana sta per arrivare a Tova proprio per il solstizio. La sua capitana, Xiala, una Teek caduta in disgrazia, ha il dono di un Canto in grado di placare le acque e sconvolgere le menti; trasporta un passeggero, Serapio, un giovane cieco, sfregiato, totalmente innocuo. Ma Xiala sa fin troppo bene che, di solito, quando un uomo è definito "innocuo", finisce per diventare il malvagio della storia. Animata da una serie di personaggi indimenticabili, l'avventura narrata da Rebecca Roanhorse esplora temi come la decadenza del potere, il peso della storia, la lotta degli individui contro le convenzioni sociali e le ferite del loro passato.


Recensione e commento

Nel caso di questo libro nello specifico partivo molto prevenuta, nel senso che ero già praticamente sicura che mi sarebbe piaciuto: pensavo di trovarmi davanti a un titolo dalla indiscutibile qualità oggettiva, qualcosa che andasse oltre il gusto personale. Insomma, un fantasy ambiento sullo sfondo delle civiltà precolombiane! Perché nessuno ci ha pensato prima? Ebbene, sono stata smentita.

Mi sono accorta sin dal prologo che invece non mi lo avrei apprezzato e quando è successo ho cominciato a scavare, a cercare notizie sull’autrice, sul suo background, sulla narrativa nativa americana e la sua struttura, che potrebbe differire da quella occidentale, e ho letto articoli e interviste su di lei, finché non mi sono resa conto di una cosa: stavo facendo parlare la sua storia personale molto più di quella raccontata nel romanzo, perché in qualche modo non mi sentivo in grado di criticare una storia che ha come obiettivo quello di fare rappresentazione. Insomma, pensavo di non essere nessuno per muovere delle critiche a una storia che rappresenta una comunità di cui non faccio parte e stavo mettendo troppe mani avanti. Non sono nessuno per assegnare medaglie di autenticità. Ma poi ho continuato a leggere ed è apparso chiaro che Sole Nero è un libro scritto da un’occidentale per un pubblico occidentale, con tutto il corollario che ciò comporta. E allora mi sono detta “delenda Carthago”.

Tanto per cominciare, lo stile di scrittura è tremendo, ripetitivo, ridondante, prosaico. Ci sono parole ripetute all’interno della stessa frase e i dialoghi sono surreali, scolastici al punto da sembrare scritti da una ragazzina delle medie: persone nate nello stesso luogo, appartenenti allo stesso ceto sociale e che svolgono lo stesso mestiere che si spiegano a vicenda cosa sia e come si svolga una festività della loro città. È come se voi foste di Napoli e venissero a spiegarvi il culto di San Gennaro: la risposta non sarebbe un conciliante “sì, è una festa molto sentita, infatti *insert another spiegone prolisso here*” ma un più verosimile “Ma come ti permetti? Guarda che lo so benissimo, idiota, perché me lo stai spiegando?” (voglio un premio per non aver scritto parolacce). L’autrice cerca in più occasioni di far vivere le vicende e l’ambientazione in modo immersivo, ma ci riesce raramente, al punto da diventare frustrante in determinate occasioni; infatti sono numerose i momenti concitati in cui sta accadendo qualcosa che tiene con il fiato sospeso e la voce narrante invece di venire al sodo, preferisce aprire una digressione sulle cose più inutili. Esempio: la scena in cui arriva un messaggero recante delle notizie urgentissime della massima importanza viene interrotta nel suo svolgimento per spiegare da quali materiali sia composta la carta su cui è scritto il messaggio, quale sia il processo produttivo, come si chiama l’artigiano (sono seria, non è un’iperbole, succede veramente). E in tutte queste circostanze io posseduta da Giovanni Storti in Chiedimi se sono felice perché ogni volta urlavo 
“MA COSA ME NE FREGA DI COSA AVETE BEVUTO! PIUTTOSTO, DIMMI COSA T’HA DETTO!”. La cosa che trovo assurda è che questo tipo di digressioni è costante e ricorrente, ma non aggiunge nulla, e nonostante l’ ampio spazio che l’autrice si prende per questioni marginali riesce a mancare numerose occasioni narrative interessanti, ci sono diversi passaggi in cui sarebbe stato interessante vedere un flashback che invece non arriva, il che ha contribuito nel totale a una mancata tridimensionalità delle psicologie, perché troppi eventi rilevanti vengono liquidati in una riga o poco più, anche se magari sono durati anni e sono stati segnanti. Il worldbuilding non è neanche male, ma è troppo superficiale, tanto da risultare appena accennato e serve troppo tempo per capire che non si tratta di un’unica amalgama tradizionale, ma di varie culture anche lontane tra di loro. Mi va benissimo che non sia stato spiegato con un’ennesima lunga digressione, ma non è stato nemmeno mostrato e tra le altre cose noi sappiamo che si tratta di un’ambientazione ispirata al periodo precolombiano solo perché ci è stato detto fuori dal testo, non si percepisce attraverso la storia, i luoghi o le tradizioni. Allo stesso modo la magia, che probabilmente negli intenti dell’autrice doveva essere sottesa, risulta invece come se saltasse fuori solo quando fa comodo, salvo poi non essere minimamente presente nei nodi di trama importanti dove si supponeva dovesse succedere qualcosa, finale incluso. Anche qui, le regole alcune volte sono appena accennate ed esclusivamente quando è conveniente. I personaggi secondari vengono gestiti esattamente alla stessa maniera, cioè entrano in scena quando c’è un problema dei principali da risolvere per poi uscirne quando hanno assolto il loro compito. Il tutto, nel complesso, risulta poco verosimile e crea dei personaggi macchietta, oltre a dare l’impressione che l’autrice non avesse chiarissima la direzione da prendere e che non sia stata aiutata dal suo team.

Ma ciò che è più disastroso, a mio avviso, è proprio la rappresentazione. Sia chiaro, io auspico libri che contengano finalmente storie che possano essere universali, parlare al cuore di chiunque e che il bacino di chi può essere protagonista vada via via ampliandosi, ma non mi basta che respiri: non bastano le buone intenzioni per fare un buon libro, perché anche la strada per l’inferno ne è lastricata. Difatti, sin dalle prime pagine veniamo a conoscenza di una delle voci protagoniste (ci saranno quattro pov, uno dei quali spuntato fuori di punto in bianco a metà romanzo) e sin dall’inizio ci imbattiamo in cliché sulla rappresentazione, perché la bisessualità è ancora una volta sinonimo di condotta libertina e dissoluta, per quanto, alla fine della storia, la persona in questione sia stata quella che ho sentito di conoscere meglio, forse perché le è stato dedicato più spazio. Una rappresentazione che stavo trovando più convincente, invece, è quella di una persona agender, che non viene mai descritta fisicamente per non darci modo di aggiungere dei connotati specifici e incasellarla in un genere binario, finché anche qui non mi sono resa conto che l’autrice ha fatto coincidere l’ambivalenza di genere con l’ambiguità morale. In ogni singola questione di genere tirata in ballo ho sentito tantissima retorica: ora, noi sappiamo, perché lo dice anche l’autrice nelle note alla fine, che nelle civiltà precolombiane esistevano persone non-binary, così come l’orientamento era vissuto con enorme naturalezza. Allora non capisco come mai in questo mondo secondario, che dichiaratamente ricalca queste tradizioni e in cui agiscono solo persone nate e cresciute in questa cultura, perché loro stesse abbiano bisogno di tante spiegazioni in merito. Se la risposta è che il messaggio era per chi legge e non per chi agisce nella trama, allora mi viene da dire che ci troviamo davanti a un esempio di scrittura mediocre, perché in un libro che viene venduto come adult non solo si presuppone di avere a che fare con un pubblico cresciuto e già con le proprie idee, ma soprattutto non è giusto imboccare tanto chi legge nell’interpretazione della storia affibbiando etichette che poi sono le uniche a caratterizzare il personaggio: nessuno nella vita è solo una cosa, siamo l’insieme di tanti fattori, ma qui, come spesso accade, abbiamo “la bisessuale”, “il disabile”, “l’agender”, come nelle barzellette. Un modo di scrivere così didascalico non fa altro che marginalizzare ulteriormente, invece di normalizzare. Tutti gli avvenimenti potevano tranquillamente essere mostrati e lasciarli all’interpretazione personale, invece l’autrice, con una condiscendenza spesso malriposta, preferisce fare la spiegazione in una trama che già di per sé è scarna e banale, degna di qualsiasi young adult di questi tempi. Ripeto, io capisco le buone intenzioni, ma non bastano.

Come immagino Serapio 
(Se non avete visto Robin Hood in calzamaglia
di Mel Brooks disonore su di voi e sulla
vostra mucca)
Concedetemi di sdrammatizzare

Arriviamo alle note veramente dolenti (sì, Sole Nero è una spirale discendente). La questione che mi sta più a cuore è quella della rappresentazione della disabilità, di cui ho già parlato anche in altre recensioni, perché i veri disastri sono qui. Non soltanto si ricade nei soliti trope tipici della narrativa fantastica occidentale degli ultimi anni, ma si ricalca addirittura tutta un’impalcatura che regge una serie di preconcetti che sono precisamente quelli che l’autrice aveva l’obiettivo di smontare. Tanto per cominciare, non ho apprezzato lo shock factor gratuito in molti punti, dove la deformità fisica viene usata per disgustare o per impressionare, queste cose lasciamole a Scary Movie, che è meglio. Inoltre, ancora una volta, la disabilità viene usata per inserire il “mito del supercrip”, il “superstorpio” che ha capacità straordinarie per compensare quello che “gli manca”. La disabilità viene usata come scusa per far “skillare” il personaggio, non è una semplice caratteristica intrinseca, ma la cosa sulla quale la sua intera identità è basata e che viene usata per farlo sembrare più figo “nonostante la sua disabilità”, che è esattamente il pensiero abilista per eccellenza. Un po’ come se comportarsi da normodotati, o addirittura avere i superpoteri, fosse solo questione di allenamento, in puro stile retorico americano di “se vuoi puoi”. Insomma, al caro Serapio con la cecità danno in dotazione dei recettori nasali in più e diventa in grado di fiutare le emozioni, come i cani da lavoro che riescono a  prevenire gli attacchi epilettici. Vi fermo subito, so cosa state pensando: no non è un super potere dato dal sistema magico, non è qualcosa che viene giustificato in modo credibile attraverso la componente fantastica, ma con l’addestramento e con il semplice essere cieco, come se la mancanza della vista aprisse il terzo occhio e uno poi diventasse un supereroe. Ma non finisce qui, perché il nostro Serapio è cieco solo quando ne ha voglia, poiché grazie a una potente droga riesce ad abbandonare il suo corpo e prendere in prestito quello altrui e quindi usare la vista. A posto, funziona a intermittenza, come le lucine di Natale, oltre al fatto che ricade nel solito cliché narrativo di moltissime storie che parlando di disabilità in cui la persona in questione ha come obiettivo dell’esistenza quello di fare sesso una sola volta nella vita per poi sacrificarsi. Nella rappresentazione di Serapio le uniche cose che funzionano sono che non è un personaggio infantilizzato o compatito e nelle scene in cui vediamo all’opera la sua cecità si vede che l’autrice ha effettivamente fatto delle ricerche e parlato con persone che ne hanno davvero avuto esperienza, ma per il resto è un totale disastro. 

Non è così che si fa rappresentazione e io sono stufa marcia di storie mediocri che vengono scritte solo perché parlare di categorie marginalizzate fa vendere anche quando vengono ritratte nel modo sbagliato. Sono arcistufa e lo trovo immorale. Non serve assolutamente a niente inserire personaggi fuori dai canoni a cui ci hanno abituato se non viene messo in discussione lo schema narrativo in cui vengono inseriti. Non ci può essere davvero l’inclusività di cui ci si riempie tanto la bocca se alla fine la storia in questione si riduce comunque a un massacro frutto della narrazione “noi” contro “loro”, basata, tra l’altro, su premesse traballanti e con moventi narrativi che non sempre stanno in piedi da soli. E in verità è questo il problema di fondo da cui scaturiscono tutti gli altri: è impossibile scrivere il libro perfetto e quando si parla di certi temi esistono sempre tantissime correnti di pensiero, sarebbe comunque stato molto difficile scrivere senza neanche un difetto, o presunto tale, che aprisse un dibattito, ma ci sta benissimo ed è normale, glielo avrei anche nel complesso perdonato se solo il problema non fosse proprio alla base. Se Sole Nero fosse stato ambientato nella Parigi degli anni Venti, l’intreccio non sarebbe cambiato minimamente, la storia è sentita e risentita, i trope sono gli stessi di ogni young adult in circolazione e l’inclusività è solo di facciata. Ora, questo non è solo un errore, un difetto sul quale si può divergere o soprassedere perché le esperienze non sono universali e si può avere opinioni diverse, ma proprio un presupposto sbagliato, per cui l’intera impalcatura non può reggere, proprio perché la storia complessiva si basa su presupposti di non inclusività: non serve a niente inserire un personaggio disabile in una cornice abilista che però viene fatta passare come aperta e paritaria. Non basta mettere una schwa a caso per farmi contenta, se poi vengo messa davanti a inclusività da social network.

Tra l’altro, Serapio deve sacrificarsi perché sua mamma gli ha detto così. E basta, capito? Nessuno spirito critico da parte sua e a noi deve andare bene la sua disabilità romanticizzata e la sua infanzia in cui è stato “educato” a bastonate perché è così che si addestrano gli eroi. Un movente narrativo di tutto rispetto, davvero! Nelle note, l’autrice afferma di essersi informata tramite saggistica e interviste a persone cieche e si assume la responsabilità di qualsiasi inesattezza abbia riportato nel libro. Ciò le fa onore, ma non mi rende più clemente, proprio perché si vede che nelle scene in cui il personaggio mostra cosa significhi essere cieco durante un’azione sa di cosa sta parlando, ma evidentemente non ha interpellato nessuno che la aiutasse a mettere in discussione l’intera impalcatura narrativa su cui sono fondate le retoriche che circondano i temi sociali che tratta. E questa non è una cosa da poco, perché  l’intento di Sole Nero era quello di fare rappresentazione e poiché l’intreccio è abbastanza mediocre e il colpo di scena finale telefona per dire che sta arrivando, almeno quella doveva essere, se non perfetta, quantomeno mostrarci dei personaggi credibili a cui affezionarci. Invece quando si chiude il romanzo si ha la sensazione di non aver conosciuto davvero nessuno di loro.

In sostanza, non ho trovato un motivo davvero valido per il quale valga la pena leggere Sole Nero, sono molto delusa, mi sento derubata del mio tempo e nutro anche un certo grado di indignazione. Ci meritiamo storie di gran lunga migliori, io me le merito e ve le meritate voi, anche se nessuno ve lo dice abbastanza. Non ci basta avere il contentino.

4 commenti:

  1. Come sempre sei molto esaustiva ma a Bellosguardo mi hai stesa 😂

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  2. Mi hai stesa con Iginio 🤣🤣🤣 Comunque non ho letto il libro, ma le tue critiche mi sembrano ben accurate e so per certo che questo è un libro che non leggerò mai. Come hai detto tu, ci meritiamo di meglio.

    Franci K.

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  3. Non conoscevo questo libro. Ma la tua è una recensione molto bella. Mi segno il libro per leggerlo più in qua.

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  4. Posso dire che mi hai fatto morire con questa recensione? 🤣🤣🤣 grazie perché con le tue parole eviterò un pacco enorme

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