mercoledì 28 maggio 2025

Blood Traitor - La Traditrice della Stirpe

  • Titolo: The Blood Traitor - La Traditrice della Stirpe
  • Titolo originale: The Blood Traitor
  • Autrice: Lynette Noni
  • Traduttrice: Angela Ricci
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788820074890
  • Casa editrice: Sperling&Kupfer

Trama

Dopo gli eventi a palazzo, Kiva è tormentata dal bisogno di sapere se la sua famiglia e i suoi amici sono al sicuro, e se coloro a cui ha fatto del male potranno mai perdonarla. I regni di Wenderall sono sull'orlo della guerra e lei si trova lontana dal cuore del conflitto. Ma, stavolta, in gioco c'è molto più del suo cuore spezzato.
Un nuovo inizio la porterà a intraprendere una missione pericolosa, una corsa contro il tempo che costringerà nemici mortali e alleati improbabili a lottare fianco a fianco per salvare non solo il regno di Evalon, ma l'intero continente. Ora, Kiva non può più limitarsi a sopravvivere: deve combattere per ciò in cui crede. Per chi ama.
Ma con il pericolo che incombe da ogni lato e la vita dei suoi cari in bilico, sarà abbastanza forte da resistere o questa sarà la sua ultima battaglia?


Recensione e commento

Nei confronti del capitolo conclusivo della trilogia dedicata alla Guaritrice di Zalindov nutro sentimenti ambivalenti: da un lato mi sono goduta questa lettura per la quasi totalità del tempo, dall’altro lato ci sono dei difetti oggettivi che hanno inficiato la qualità in numerose occasioni. 

Ma andiamo con ordine: il romanzo si apre esattamente nello stesso punto in cui si era concluso The Gilded Cage, ma già qui iniziano i problemi, perché le azioni compiute nel volume precedente avrebbero dovuto sortire effetti a lungo termine molto complessi da gestire, ma troppo spesso vengono liquidate in modo un po’ troppo semplicistico perché effettivamente troppo scomode da gestire e allo stesso tempo ci sono degli sviluppi che fanno intendere chiaramente che l’autrice non aveva pensato alla trilogia come creatura organica, poiché diverse situazioni che sembrano appiccicate a posteriori senza avere degli antefatti sufficientemente solidi per risultare credibili.

A questo proposito, in realtà si riesce quasi sempre, almeno in questa fase, a passarci sopra perché gli eventi sono talmente veloci e cadenzati che ci si accorge delle pecche tecniche solo a posteriori e l’investimento emotivo che c’è stato per oltre due libri è talmente forte che si perdona qualcosina. I problemi di godibilità arrivano più che altro verso la parte centrale, quando il ritmo rallenta drasticamente e parte una quest gestita in modo un po’ maldestro. Per quanto sia comune che durante le quest si scopra anche qualcosa su di sé, qui ci sono troppe dinamiche forzate, messe in scena esclusivamente per creare drammi non spinti da un effettivo movente narrativo, tutto esclusivamente per fare interagire i personaggi e creare tensione. La critica è che la suddetta tensione è uno degli elementi più carenti e caotici del romanzo perché dovuta a un problema di miscommunication che poteva essere risolto a pagina 12 se semplicemente i personaggi non avessero detto una cosa intendendo il contrario. Infatti, i protagonisti si comportano in modo incoerente, c’è una netta discrepanza tra ciò che dicono e come agiscono, fanno gaslighting ad altre persone e agiscono in modo diverso rispetto a ciò che dicono. È un tira e molla costante non motivato da una base solida, il che frustra tantissimo l’esperienza di lettura, soprattutto perché per due libri ci sono sì stati complotti e intrighi, ma di base non c’era tossicità nelle relazioni interpersonali, mentre qui la sterzata e talmente brusca che le droghe vengono troppo spesso usate come espediente per giustificare un’interazione o una condivisione delle proprie emozioni. Che poi, non è nemmeno vero che il brodo sia stato annacquato: il brodo che c’è è sufficiente, ma troppe volte viene governato nel modo meno convincente possibile, quasi frettolosamente e con poca riflessione. 

I primi due libri della serie erano apprezzabili non tanto per la loro innovazione, quanto per il loro senso della misura: c’era consapevolezza su chi fosse il pubblico e quanto dovesse essere ambiziosa come opera, non si voleva strafare, ma al tempo stesso gli elementi contenuti erano lineari e studiati.  Infatti, per quanto si trattasse di romanzi da intrattenimento, il pensiero che c’era dietro era molto logico e trama e personaggi erano ben gestiti, non lasciando mai nulla al caso. Per fortuna, questa linearità di pensiero ritorna sul finale del libro, dopo aver latitato per un po’, quando finalmente arrivano dei colpi di scena degni di questo nome che sono stati costruiti nell’arco di tutta la narrazione e che non spuntano fuori come dei ex machina.

Nel complesso, è stata una lettura piacevole ma oggettivamente altalenante dal punto di vista qualitativo. Gli elementi che sono stati apprezzati nei volumi precedenti ci sono, ma in misura ridotta e resta un po’ di rammarico per tutto ciò che poteva essere cesellato un pochino meglio. 

mercoledì 21 maggio 2025

The Inheritance Trilogy

  • Titolo: The Inheritance Trilogy - La Successione
  • Titoli originali: The hundred thousand kingdoms/The Broken Kingdoms/The Kingdom of Gods
  • Lingua originale: inglese
  • Traduzione di: Giulia Lenti & Benedetta Tavani
  • Codice ISBN: 9788804800910
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama


In un universo in cui le divinità si muovono accanto agli esseri umani, una famiglia domina il mondo tra corruzione e violenza. La salvezza dell'umanità è nelle mani di tre giovani donne straordinarie che ancora non sanno di esserlo. Yeine Darr vive nel Grande Nord, povero e arretrato. Ma, quando sua madre muore in circostanze misteriose, scopre di essere l'erede al trono dei Centomila Regni e si ritrova al centro di una feroce lotta di potere. Oree Shoth, un'artista cieca, dà rifugio a uno strano senzatetto: un atto di gentilezza che la trascinerà in un incubo, nel cuore di una cospirazione per uccidere le Deidi in cui il suo ospite sembra coinvolto. Shahar Arameri è l'ultima discendente della famiglia che da duemila anni governa la Terra schiavizzando gli immortali, ma è anche innamorata del Deide Sieh. A chi sceglierà di essere fedele? Tutte e tre impareranno quanto possa essere pericoloso mescolare amici e nemici, esseri divini e mortali, amore e odio.

Recensione e commento


È finalmente tornato in italia l’esordio letterario della leggendaria N.K. Jamisin, già famosa nel nostro Paese per la sua trilogia successiva, quella della Terra Spezzata. L’idea di pubblicare l’intera serie in un unico volume in questo caso risulta vincente, perché, per quanto indubbiamente la storia vada in crescendo, se fosse stata pubblicata in singoli volumi come successo con Il Gargoyle, una grossa parte del pubblico avrebbe abbandonato la lettura.

Infatti, nel primo libro, I Centomila Regni, i pregi e i difetti si controbilanciano: il grande punto di forza è l’ambientazione, un mondo che solo l’immaginazione sfrenata di Jamisin avrebbe potuto partorire, con palazzi che sfidano le leggi della fisica, sistemi magici fuori dal comune e una società complessa e sfaccettata che, per una volta, non è lo specchio della nostra: Jemisin, nell’arco dell’intera trilogia più che del singolo libro, non limita la sua immaginazione all’estetica del mondo che ha creato ma la approfondisce al punto da intessere rapporti sociali che sono più simili (con tutte le eccezioni e le limitazioni del caso) a quelli di una società ideale che a quelli che viviamo nella realtà. Tuttavia, la protagonista non riesce a sfruttare pienamente il suo potenziale come personaggia principale, perché nonostante sia nata e cresciuta in una società matriarcale in cui è stata addestrata a combattere e regnare fin dalla più tenera età, resta comunque molto passiva quando viene sbalzata in un mondo diametralmente opposto. È appunto la trama il punto più debole di questo primo volume, perché è molto nella media: per quanto gli intrighi di corte siano interessati e qualche volta sorprendenti resta comunque una storia portata avanti dai secondari che usano Yeine per i propri scopi e lei si lascia usare. Alcuni dei personaggi più attivi della storia sono le divinità che vengono tenute al guinzaglio dalla famiglia reale. A dispetto della loro natura, le loro emozioni sono umanissime e travolgenti, al punto che la protagonista si ritrova spesso in balia di loro e del belloccio di turno, un po’ come le eroine dei moderni ya.

Ma non mentivo quando dicevo che questa serie va in crescendo, perché il secondo libro della trilogia, I Regni spezzati, racchiude in sé una trama più originale e una protagonista più attiva. Questa è una particolarità molto piacevole della Trilogia della Successione: alcuni personaggi del cast sono sempre gli stessi, ma la voce protagonista cambia sempre e vediamo l’evoluzione sia del worldbuilding che della società tramite le loro percezioni. Non voglio svelare troppo per non fare spoiler del primo romanzo, ma persino l’ambientazione cambia e muta, diventando ancora più assurda e sfaccettata, diramandosi sempre in direzioni imprevedibili. È apprezzabile anche il tentativo dell’autrice di raccontarci la vita di una protagonista cieca, riuscendo, tuttavia, in una rappresentazione fatta bene solo a metà. Jamisin è bravissima a creare un universo non abilista, ma non è sufficientemente esperta nell’immergere chi legge nella percezione di una persona a cui manca la vista: troppe volte ci si dimentica che la protagonista non può vedere perché tutta la storia ci viene raccontata per immagini con tanto di sfumature di colore, anche in dei modi che evidentemente lei non può conoscere. In ogni caso, questo è stato il difetto maggiore che ho trovato in questo secondo capitolo, che mi ha coinvolta decisamente più del primo e mi ha invogliata a proseguire con la lettura del terzo, Il Regno degli Dei.

Qui la voce narrante cambia per la terza volta, spostandosi decenni dopo il primo libro, e assistiamo alla storia raccontata tramite una delle divinità che abbiamo conosciuto sin dal primo libro. Un dio intrappolato nel corpo e nella psiche di un bambino, un essere a metà tra tante cose e per questo motivo dotato di una bussola morale molto diversa da quella umana, specialmente perché volubile. Scaltro e ambiguo, schiavo degli impulsi momentanei come qualsiasi bambino, qui la deide Sieh dovrà imparare a fare i conti con l’età adulta e muoversi in un mondo che desidera cambiare. Ed è infatti questa la tematica centrale del capitolo conclusivo: la paura del cambiamento e della solitudine. Ma niente nell’universo è immutabile e immutato, neanche le divinità, che alla fine dovranno comprendere che l’età adulta non è qualcosa da temere. Il Regno degli Dei è forse il mio preferito sotto l’aspetto degli argomenti trattati, tuttavia, credo che avrebbe potuto essere un po’ più sintetico e occupare meno spazio. Praticamente metà del tomo che raccoglie l’intera trilogia è occupato dalla mole di Il Regno degli Dei

La Trilogia della Successione è un assaggio di ciò che Jemisin ha fatto successivamente e fa venire l’acquolina in bocca: vediamo già la sua capacità di creare mondi impensabili da chiunque a parte lei e immaginare la narrativa in modi che escono totalmente fuori dagli schemi. 

mercoledì 14 maggio 2025

Il Pianeta dell’Esilio

  • Titolo: Il Pineta dell’Esilio
  • Titolo originale: Planet of Exile
  • Autrice: Ursula K. Le Guin
  • Traduttore: Riccardi Valla
  • Lingua originale: inglese 
  • Codice ISBN: 9788804798521
  • Casa editrice: Mondadori 
Trama

Su Werel, terzo pianeta del sistema di Gamma Draconis, le stagioni durano decine d'anni terrestri, e ora l'Autunno sta per finire. L'Inverno sarà una sorpresa per le generazioni più giovani, che non l'hanno mai conosciuto, e una dura prova per tutti. Ma le ostilità del clima non sono le sole contro cui gli abitanti devono combattere: ci sono anche i barbari Gaal e i mostruosi diavoli della neve. La contesa contro la natura avversa e i nemici esterni unisce le due razze umanoidi di Werel: i Nati Lontano, ultimi superstiti della colonia hainita che vivono nella città costiera di Landin, ormai isolati da oltre seicento anni dalla madrepatria, e i nomadi nativi del pianeta. È così che Jakob Agat Alterra, discendente degli "alieni" hainiti, conosce la giovane Rolery, figlia di un capo Clan nativo, e se ne innamora. Ma non sarà facile stabilire un'alleanza fra due razze che sembrano destinate all'eterna incomprensione. Pubblicato nel 1966, "Il pianeta dell'esilio" costituisce il secondo tassello del ciclo dell'Ecumene, un grandioso affresco della storia futura dell'umanità che Ursula K. Le Guin tratteggia con un'eccezionale abilità nel dare vita sulla pagina ad affascinanti mondi alieni.


Recensione e commento 

Il Pianeta dell’Esilio è in ordine di cronologia interna il secondo libro del ciclo dell’Ecumene e, essendo stato scritto nel 1966, è precedente a quello che l’autrice stessa chiama “il suo risveglio femminista”.

Infatti, è proprio Le Guin stessa a fornirci la chiave di lettura di questo romanzo nell’introduzione che è stata pubblicata con l’edizione del 1978, dove racconta di non essere stata consapevole, fino a un certo punto della sua vita, di aver creato storie ricche di uomini che prendono il sopravvento e di donne che agiscono molto meno. Eppure, il suo avvicinamento alla filosofia taoista le ha consentito di creare una protagonista, Rolery, che agisce secondo il principio del wu Wei, l’agire tramite il non agire. Per questo motivo, il Pianeta dell’Esilio mi è risultato una lettura più piacevole rispetto a Il Mondo di Roccanon, ma meno di altri romanzi successivi, perché più maturi e consapevoli sotto il profilo femminista.

Eppure, i temi cari all’autrice qui ci sono tutti e sono narrati in una storia tutto sommato lineare ma complessa sotto il punto di vista dell’ambientazione e dell’approfondimento psicologico. Il mondo in cui ci troviamo è un pianeta in cui le stagioni cambiano una sola volta nella vita delle persone perché un singolo anno solare dura circa settanta dei nostri anni. Su Werel sono sbarcati gli hainiti da centinaia di anni terrestri e scopriamo numerose informazioni riguardo all’Ecuemene: ai suoi rappresentanti è vietato imporre sistemi culturali, tecnologici o religiosi sui pianeti di approdo per non sfociare in dinamiche colonialiste. Sfortunatamente ciò porta a uno stallo lungo generazioni perché gli hainiti restano incastrati nella memoria del passato, perdono conoscenze comuni nella loro casa di origine e dimenticano nozioni che nella loro vita attuale non hanno più utilità né importanza, sentendo di non appartenere né al mondo da cui provengono, né a quello in cui si trovano, il tutto mentre aspettano invano che le popolazioni locali sviluppino un grado tecnologico sufficiente a giustificare la loro entrata nella Lega di Tutti i Mondi. Questa storia, nonostante si concentri sulla guerra, parla di come due popoli che non riescono a mischiarsi né culturalmente né biologicamente, alla fine facciano tabula rasa per riuscire a creare qualcosa di nuovo. 

Entrambi i popoli, sia l’approdato che il nativo, considerano sé stessi i veri umani e “alieno” chi non appartiene alla loro specie, nonostante i punti di incontro siano molteplici e prolungati nel tempo. Non è semplice creare qualcosa e in effetti Il Pianeta dell’Esilio si conclude con una speranza, con un punto di partenza più che di approdo, ed è un processo che la generazione corrente vive con sofferenza, perdendo molto mentre nasce qualcosa di nuovo, eppure per me è stato emblematico il modo in cui la vita riesce ad adattarsi a qualsiasi condizione e cambi costantemente, con ostinazione. 

Come sempre, anche il livello della scrittura è altissimo, ma questa volta Le Guin si è spinta persino oltre, perché pur raccontando con narratore esterno mantiene una focalizzazione interna mobile che rende perfettamente la psicologia del personaggio in scena in quel momento, dai conflitti di interiori di Agat, alla costate perdita del filo del discorso da parte dell’anziano Wold, ormai alla fine dei suoi giorni. 

Il Pianeta dell’Esilio è una storia di comprensione dell’altrǝ, di vicinanza e incontro specialmente nei momenti di crisi, di scegliere di vedere le somiglianze invece di evidenziare le similitudini. Le Guin è riuscita a emozionarmi un’altra volta.

mercoledì 7 maggio 2025

Cadavere squisito

  • Titolo: Cadavere squisito
  • Titolo originale: Cadáver exquisito
  • Autrice: Agustina Bazterrica
  • Traduttrice: Francesca Signorello 
  • Lingua originale: spagnolo
  • Codice ISBN: 9791280495600
  • Casa editrice: Eris
Trama


Marcos lavora nel mercato della carne da sempre, è un’attività di famiglia. Ma ora le cose sono cambiate, in modo radicale e irreversibile. Un virus ha attaccato gli animali, sia domestici che selvatici, per cui sono stati tutti sistematicamente abbattuti e la loro carne non può assolutamente essere consumata. Ora la carne che tratta è diversa, speciale, perché i governi di tutto il mondo hanno dovuto affrontare la situazione e hanno deciso di rendere legale l’allevamento, la produzione, la macellazione e la lavorazione della carne umana. Marcos si è dovuto adattare, cerca di non pensare a cosa fa per vivere, e fa del suo meglio per stare dietro a fornitori, clienti, ordini e consegne, perché deve pagare la casa di riposo in cui vive suo padre. E ora che sua moglie lo ha lasciato deve pensare a tutto da solo.


Recensione e commento

Quando si dice “breve ma intenso” si intende senza dubbio qualcosa di molto vicino a Cadavere Squisito, una lettura che sicuramente non suscita indifferenza e che difficilmente verrà dimenticata.

Tanto per cominciare, si tratta di una storia con più stratificazioni di significato delle quali quella letterale non è sicuramente trascurabile. Infatti, in questa Argentina del futuro gli animali non vengono più macellati e mangiati: sono gli esseri umani a venire allevati, ingrassati, uccisi e consumati. Improvvisamente, quando vediamo dei nostri simili nella posizione in cui noi mettiamo gli animali ci accorgiamo di quanto il sistema sia crudele e assurdo. Questa parte, quella letterale, è quella che mi ha scioccato di più ma non nel modo che pensavo: mi ha scioccato non essere rimasta scioccata più di tanto. Anche io, come chiunque altro sono talmente abituata alla violenza da non essere rimasta troppo toccata da un racconto in cui esseri umani come me e voi vengono letteralmente mangiati da altri umani. Mi ha fatto mettere in prospettiva la cultura in cui sono immersa ed è stato un bel colpo comprendere che non sono sensibile quanto pensassi.

Il livello metaforico, invece, si dirama su più livelli: sono soprattutto gli immigrati, i senzatetto, gli emarginati della società a essere vittime della prima ondata, ovvero quella in cui le persone vengono catturate e mattate, prima che venisse affinata la tecnica per sottomettere, rendere mansuete e controllate le nuove “bestie”. Anche all’interno del macello ci sono comunque “capi di bestiame” serie A e di serie B, ci sono i capi normali, allevati a mangimi pieni di ormoni e quelli che vengono cresciuti con cibi biologici solo per essere abbattuti mentre sono più sani possibile. In maniera quasi sfacciata, le femmine (che non sono vere e proprie donne proprio perché viene impedito loro di avere uno sviluppo cognitivo tale per cui possano dirsi persone adulte. In questo senso uso la parola “femmine”, perché non sono adulte cognitivamente, non perché intendo deumanizzarle) se la passano peggio dei maschi: costrette a gravidanze, arti tagliati per impedire loro di autolesionarsi, separate dai loro bambini e addirittura utilizzate come selvaggina a cui sparare mentre scappano per la propria vita mentre sono incinte, riescono comunque ad avere una condizione persino peggiore rispetto ai maschi che vengono allevati come stalloni che hanno più spazio e cibo migliore quasi fino alla morte. E non stupisce di certo vedere come chi ha più denaro e privilegio abbia anche il potere di fare del male impunemente. Come in un’estremizzazione neanche troppo eccessiva assistiamo a come il capitalismo, tramite i suoi esponenti al vertice della piramide, privi gli individui alla base delle libertà fondamentali, come sprema chiunque fino all’osso, come tutto, dalle interiora alla pelle venga utilizzato per essere venduto e trarne un profitto, e non c’è niente di nobile in questo: farsi spremere fino all’osso senza mai farsi domande e senza mai poter scendere dal nastro trasportatore è tutto fuorché glorioso, perché anche noi siamo prodotti da vendere.

Non sono nemmeno solo gli umani macellati le sole vittime del sistema, perché anche chi lavora nell’industria in un certo modo mi ha dato da pensare: nessuno vuole davvero fare quel mestiere, molti si sentono male, svengono e alla fine mollano, mentre i pochi che lo vogliono hanno degli evidenti problemi di sadismo: non puoi amare il tuo lavoro ed essere normale al tempo stesso, in un mondo così. Se non odi il tuo lavoro hai qualcosa che non va. Molti macellai fanno un lavoro che disprezzano solo per mantenere la famiglia e devono in qualche modo mettere un muro emotivo tra sé e quello che fanno per vivere, per non impazzire e non portare tanto dolore a casa, per quanto in una certa misura questo sia impossibile al punto che la nuova generazione è completamente desensibilizzata alla violenza e non ha più speranza di ricevere un contatto umano sano. Insomma, un po’ come in La fattoria degli animali di Orwell, la massa non ha consapevolezza del proprio potere, della forza del numero e vive senza nemmeno avere una voce in luoghi in cui viene allevata con il solo scopo di essere un prodotto e arricchire chi è già ricco, mentre chi deve sbarcare il lunario odia comunque il proprio lavoro e ha disgusto al pensiero di andarci tutte le mattine. Tutti detestano la propria vita e usano tantissimi termini edulcorati per raccontare un fenomeno agghiacciante in cui la maggior parte è vittima e pochi traggono profitto. La macellazione, poi, è anche la punizione per chiunque violi le norme sociali, perché alla fine siamo davvero sulla stessa barca e i ruoli possono invertirsi in un batter d’occhio, senza che si riesca davvero a rivoluzionare la situazione.

Lo stesso Marcos, il protagonista, ha un po’ lo stato d’animo di Winston di 1984, un individuo che sente una profonda insoddisfazione e un distaccamento tra ciò che pensa e ciò che dovrebbe pensare. Si rende conto delle idiosincrasie del sistema, delle sue contraddizioni ma sa di non poter combattere perché ha ancora troppo da perdere. E alla fine, senza nessuna speranza, anche lui amerà il Grande Fratello, appena trarrà il minimo vantaggio dall’oppressione altrui, dimenticando in un battito di ciglia quanto gli sia stato portato via dal sistema per avere in cambio un misero granello di soddisfazione. Il sistema che ci racconta è il nostro: quello in cui abbiamo così poco, ottenuto tramite modalità che odiamo e che è guadagnato su pile di cadaveri altrui.

Cadavere Squisito è un libro che schiaffeggia e fa male, che racconta di come ogni nostro successo sia in qualche modo basato sull’oppressione dei nostri simili e non risparmia nessuna parte della società dalle sue ferocissime critiche.

Quando il mondo dorme - Storie, parole e ferite della Palestina

Titolo: Quando il mondo dorme - Storie, parole e ferite della Palestina Autrice: Francesca Albanese Codice ISBN: 9788817195324 Casa editric...