- Titolo: Creature dell’Assenza
- Autrici: Gloria Bernareggi, Sephira Riva
- Lingua originale: italiano
- Codice ISBN:
- Casa editrice: Eris edizioni
Estate 1996: è trascorso poco meno di un anno dal termine della guerra che ha portato all’indipendenza della Croazia. Nel paese di Preko, l’anziana Petra tenta di superare il lutto per la morte della suocera, sentendosi però isolata e incompresa, anche dal marito Joso. Ad alterare la loro routine, la nipote Marina: una giovane donna traumatizzata dalla morte prematura dei suoi amici durante il conflitto. Marina entrerà in contatto con una creatura dall’aspetto di bambina, Jadranka, l’incarnazione dell’assenza, che rappresenta il vuoto lasciato dai defunti ed entra con delicatezza nella quotidianità di chi sta cercando di imparare a gestire il proprio dolore e stabilire un nuovo equilibrio. Una scrittura limpida senza retorica e melodrammi: non una tragedia ma un delicato realismo magico che si coniuga con un vissuto storico e personale doloroso, fatto anche di atmosfere trasognate e sospese.
Creature dell’Assenza è un libro breve, un racconto, ma chiunque abbia detto che in letteratura la brevità è spesso sinonimo di qualità aveva sicuramente in mente qualcosa del genere, perché in questa piccola storia non ho trovato difetti. Partendo dallo stile e dalla prosa, mi sento di dire che in nessuna parte su sente la scrittura a quattro mani, le parole scorrono fluide, non si percepiscono blocchi o tentennamenti. Il punto di vista alternato è gestito benissimo, nel modo in cui piace a me, ovvero con gli stessi punti di vista dall’inizio alla fine del libro, senza introduzioni di nuovi pov quando fa comodo. No, qui la struttura regge, è ben pensata fin dall’inizio e la trama non viene tirata per le lunghe.
Nonostante Creature dell’Assenza sia ambientato in Croazia, luogo in cui non sono mai stata, quando ho cominciato a leggerlo mi sono sentita a casa, perché la scrittura mi ha ricordato quella di Grazia Deledda in Canne al Vento. Sì, lo so, può sembrarvi pretenzioso, può sembrarvi troppo, ma il modo in cui vengono descritti i paesaggi e il racconto di una festa religiosa di paese, in cui nonostante le celebrazioni aleggia un costante strato di malinconia che durerà fino alla fine, ha ricordato proprio Canne al Vento e la sua disperazione ed è qualcosa che mi ha emozionata tanto, perché mi ha fatto vivere in modo familiare dei luoghi che non conosco affatto. Anche l’arrivo di una nipote al paesello, per cui è necessario un certo quantitativo di preparativi e la descrizione dei monti in lontananza, che significano sempre casa, potrebbero aver contribuito a formare nella mia mente il parallelismo deleddiano, ma posso assicurarvi che l’atmosfera sarebbe ampiamente bastata a questo scopo.
La Croazia di cui si parla nel racconto è quella che sta uscendo da una guerra civile e sta tentando di ricostruirsi, soffrendo immensamente, ancora ferita e spezzata, ma con enorme dignità. Quella delle due protagoniste è una una sofferenza personale, ma anche collettiva e universale, perché i loro punti di vista sono inizialmente opposti proprio per il loro modo contrapposto di vivere il dolore e devono per questo imparare a convivere venendosi in contro e comprendendosi a vicenda, rappresentando, di fatto, vari spettri della sofferenza umana. Le due donne, Petra e Marina, stanno entrambe vivendo un lutto, come chiunque in Croazia in quel periodo, come chiunque su questo pianeta, in realtà, e devono fare i conti con l’assenza, che non è semplicemente una mancanza, ma uno spazio negativo, una creatura di cui si sente il peso ogni giorno sul proprio cuore. Con l’assenza bisogna confrontarsi, non negarla, ma nemmeno farsi trascinare da lei, guardarla in faccia e parlarle, ascoltarla, se chiede di essere ascoltata, perché è una cosa vive e mutevole, per poi imparare a ricostruirsi, come in effetti deve fare tutto il Paese.
Se dovessi descrivere Creature dell’Assenza con una sola parola sarebbe “delicatezza” e non soltanto per il modo che ha di raccontare il lutto e la perdita: anche la parte fantasy entra sottovoce e non diventa soverchiate rispetto alla storia, perché, classificandosi come realismo magico, Creature dell’Assenza ci trasporta in un mondo in cui le creature del folklore locale si sono ibridate con la popolazione locale, fino a marcarne i tratti somatici. Non sarà raro trovare tra le persone comuni mani palmate da kappa o tritoni palustri, peluria irsuta da orsi o capelli verdastri ereditati da orchi. Sarà qualcosa parte del popolo esattamente quanto il cibo, la lingua o il paesaggio e sarà trattato in maniera così naturale e pulita da non dare nell’occhio.
Insomma, Creature dell’Assenza mi è proprio piaciuto perché parla di una sofferenza autentica e malinconica, ma dignitosa e che si rifiuta di buttarsi sul melodramma. Tutto fila liscio sino al finale, che non è una conclusione, ma una ripartenza, un nuovo inizio. Le loro parole saranno un rifugio per me, quando avrò bisogno di tornare a casa.
Un titolo che devo recuperare, Sephira e Gloria sono sempre una garanzia!
RispondiEliminaQuando si parla di certe tematiche è sempre facile fare scivoloni. Sono contenta che invece questo libro sia riuscito a trattarli con delicatezza e la giusta attenzione
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