- Titolo: L’ultimo Carnevale
- Autore: Paolo Malaguti
- Lingua originale: italiano
- Codice ISBN: 9788828201847
- Casa editrice: Solferino
Trama
19 febbraio 2080. Martedì grasso. C’è nebbia, sulla laguna deserta, i turisti non sono ancora arrivati. Affluiranno appena farà giorno, pagando il biglietto e passando dai tornelli: già, perché da quando Venezia è stata dichiarata non più agibile, evacuata e trasformata in Venice Park – la più pittoresca delle attrazioni italiane – non esistono più residenti. Solo il circo quotidiano dei visitatori e degli accompagnatori, oltre a un pugno di Resistenti che vorrebbe vederla tornare viva e abitata. In questo giorno d’inverno ci sono Michele e Sandro, guardiani che pattugliano la laguna. C’è Carlo, guida turistica appena promossa (e già in un mare di guai). C’è Rebecca, la combattiva attivista disposta a trasformarsi in assassina pur di non rassegnarsi alla morte della sua città. E c’è Giobbe, un vecchio che ha perso tutto: la moglie, la casa, la memoria... ma l’unica cosa che gli è rimasta, un segreto racchiuso in un mazzo di chiavi, può cambiare il futuro. Che infatti cambierà, nell'arco di un’indimenticabile giornata di Carnevale. Allucinazione e realismo, tenerezza e mistero sono le cifre di un romanzo storico diverso da ogni altro, capace di proiettare il passato in un futuro prossimo che somiglia vertiginosamente al nostro. La città d’arte più famosa al mondo fa da scenario a un’avventura dal passo di nebbia e di tuono, in cui si muovono quattro personaggi che in modi diversi dovranno scegliere tra se stessi e Venezia.
Recensione e commento
Ogni estate il copione è più o meno lo stesso, c’è la turista insoddisfatta delle spiagge sarde che lascia una recensione negativa su Google perché ha trovato troppi sardi al mare e a suo avviso avrebbero dovuto starsene a casa per lasciare spazio ai turisti; oppure in Sicilia, dove l’emergenza idrica esiste tutto l’anno, ma si corre ai ripari raffazzonando soluzioni solo in occasione della stagione turistica, con buona pace dei residenti; o di come a Bologna è diventato impossibile affittare una casa perché ogni appartamento vuoto viene riconvertito a bed and breakfast, rendendo la città sempre più difficile da abitare. Questo per dire che la storia che viene raccontata in L’ultimo Carnevale riguarda un territorio fragile nello specifico, ma si potrebbe applicare a tutti.
Il matrimonio di Bezos a Venezia si è svolto solo poche settimane prima della stesura di questa recensione e nonostante la pubblicazione del romanzo risalga al 2020 non mi spingo a dire che sia stato profetico, quanto che Malaguti sia stato tanto abile nell’osservare la realtà che per parlarne ha solo dovuto inventare una trama da inserire in un contesto che non è affatto lontano come crediamo e che ha radici in eventi già accaduti. Ricordo un episodio specifico della mia giovinezza, quando una mia compagna di corso veneta mi aveva raccontato di quando, durante un lavoro estivo a Venezia, aveva avuto a che fare con una coppia di americani che le aveva chiesto quale fosse l’orario di chiusura. Sulle prime lei non capendo decise di approfondire la conversazione e saltò fuori che per i turisti Venezia non era una città qualsiasi, ma un parco a tema come Gardaland che a una certa ora avrebbe chiuso i cancelli e tutti a casa. In questo romanzo assistiamo all’avverarsi dell’episodio surreale che la mia amica mi aveva raccontato.
Venezia non è più sé stessa, ma la sua tassidermia: non ci sono più negozietti di quartiere, botteghe di artigianato, supermercati e nemmeno grandi catene di abbigliamento. Ci sono solo teche e monumenti messi sotto vetro da guardare a debita distanza, quando non direttamente ricostruiti da zero con materiali diversi che sembrano quelli originali, ma che originali non sono. Questa pantomima grottesca rende contenti gli investitori, i padroni del parco, le guide turistiche, le guardie di sorveglianza perché riescono a farci i soldi a palate, spennando cifre folli alla fiumana turistica che paga numeri astronomici per entrare in quella che non è più una città, ma l’ombra di sé stessa, esclusivamente per poter sfoggiare la propria presenza come status symbol. Non è tanto diverso da Bezos che per sposarsi ha devoluto una cifra per lui esigua al comune di Venezia, il quale non ha redistribuito ai suoi residenti per via dei costi personali che hanno dovuto sostenere, non potendo rientrare alle proprie abitazioni per questioni di sicurezza, anzi, non ne ha minimamente tenuto conto.
Anche nel romanzo è proprio la cittadinanza a non trarre alcun giovamento dal profitto generato dal flusso turistico. I residenti vengono gradualmente sfollati in nome di cedimenti strutturali (veri o pretestuosi) che guarda caso riguardano loro ma non i turisti. In quest’ottica, tutto ciò che non crea profitto diventa un atto di resistenza, comel’utilizzo del veneto come lingua viva e non come elemento folkloristico, il rifiuto di abbandonare la propria casa, il vivere il proprio patrimonio culturale in modo attivo e più in generale il lottare per non rendere la propria identità un’altra delle cose da osservare dal lato sbagliato di una vetrina, come animali in gabbia in uno zoo. Tuttavia, la struttura sociale così modificata rende sempre più difficile accedere ai servizi alla persona: beni di prima necessità diventano inaccessibili a causa dei prezzi folli e persino i gruppi di resistenza, che sulle prime protestano con foga, diventano sempre più moderati fino a perdere la voce delle proprie istanze. Tutto diventa a misura di turista, tanto che persino i luoghi vengono cambiati per accontentare chi non li abita nemmeno: sono gli spazi che cambiano per il turista, non è il turista a lasciarsi cambiare dal viaggio.
Così assistiamo alla fine di una città per la quale non è stato fatto abbastanza, che abbiamo lasciato morire per pigrizia o per aver accentrato il profitto nelle mani di pochi, invece di redistribuirlo a favore di chi, abitando in luoghi bellissimi ma complicati, ne vive il disagio tutti i giorni. Abbiamo ancora tempo per prendere provvedimenti in materia climatica, ma stiamo tergiversando ed è a causa di questa incertezza che Venezia e altri posti magici scompariranno.
Tutti questi temi sono incastrati in una trama incalzante e ricca di avvenimenti, il cui tempo della storia è molto breve, circa le ventiquattro ore del giorno di carnevale, senza contare i flashback, ed è forse per questo che come romanzo è molto efficace: la precisione lessicale dell’autore gli consente di non usare mai due parole dove ne basta una sola e non ci sono storpiature per allungare inutilmente il brodo. Il segreto è proprio mostrarci come funzioni l’interazione delle quattro diverse voci protagoniste con la città, anche proponendoci degli interessanti ribaltamenti, come ad esempio mostrandoci situazioni in cui lo studio delle materie umanistiche sia la strada più diretta per accedere al mondo del lavoro, ma anche esse vengono ormai vissute in ottica utilitaristica e consumistica.
In questo piccolo gioiellino di climatic fiction ci viene mostrato su una realtà particolare l’effetto a lungo termine della nostra pigrizia in materia ambientale, del nostro tergiversare sulle cause politiche che contano davvero e della mancanza di lungimiranza sulle istanze sociali. L’Ultimo Carnevale si muove sulla falsariga di libri come Il Ministero per il futuro ed è un peccato che non se ne sia parlato di più.
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