mercoledì 25 giugno 2025

The Spell Shop

  • Titolo: The Spell Shop
  • Titolo originale: The Spell Shop
  • Autrice: Sarah Beth Durst
  • Traduttrice: Bendetta Gallo
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN:
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama


Kiela ha trascorso anni a lavorare in solitudine nella Grande Biblioteca imperiale di Alyssium, in compagnia solo di Caz, un'arguta e apprensiva pianta parlante. A Kiela va bene così, da sempre preferisce i libri alle persone. Ma quando nella capitale scoppia una violenta rivoluzione, è costretta a fuggire con il suo unico tesoro: manuali di antichi incantesimi, custoditi contro ogni legge. Arrivata sulla remota isola di Caltrey, Kiela scopre che il luogo della sua infanzia non è più lo stesso: la magia che un tempo lo nutriva è svanita, lasciando unicorni, gatti alati, spiriti della foresta e le altre creature magiche sempre più deboli. Kiela vuole aiutare, e preparare rimedi magici con un negozio di marmellate come copertura è la soluzione perfetta per guadagnarsi da vivere e salvare l'isola. Tutto sembra andare per il verso giusto, se non fosse per le intrusioni del vicino di casa, Larran, un affascinante allevatore di cavalli mer, deciso a farle abbattere ogni barriera. Kiela è combattuta tra il desiderio di fidarsi e la paura che aprirsi agli altri possa distruggere tutto ciò che ha costruito. Una storia magica e dolcissima per chi crede che il vero incantesimo sia essere pronti a lasciarsi amare.

Recensione e commento

Ma quanto è carina la copertina ceca?
Dopo vari tentativi sono arrivata alla conclusione che il cozy fantasy, e il cozy anche non di genere, è estremamente personale e bisogna rivedersi in qualcosa perché piaccia.

Questo per dire che comprendo ogni singolo motivo per cui diverse persone che conosco affermano che si aspettassero di più da questa lettura o ne sono un po’ deluse, ma io personalmente l’ho amato, perché mi sono rivista in tantissime cose, anche dal punto di vista delle tematiche trattate ce ne sono alcune tra le più care al mio cuore.

Tanto per cominciare, la popolazione non si divide in gruppi: non ci sono maggioranze o minoranze, ma solo individui unici. La protagonista stessa ha la carnagione azzurra e i capelli blu e tra centaure, o creature con corna altissime, oppure ali gigantesche, o ancora pelle coriacea o di colori particolari, non esiste uno standard fisico e non ci sono corpi conformi o non conformi. Tuttavia questo pone il facilmente risolvibile problema, dato che la soluzione di basa sull’ascolto dell’altrǝ, di rendere accessibile per tuttɜ i luoghi pubblici, poiché una porta potrebbe essere troppo stretta o troppo bassa per l’unǝ o l’altrǝ. In questo senso, spazi come il panificio o il negozio di marmellate sono importantissimi a livello comunitario e spesso la narrazione si concentra proprio qui, dove le persone vanno sia a nutrirsi di cibo delizioso, sia a confrontarsi, parlare di come affrontare le difficoltà che la loro cittadina sta affrontando. Il senso di coralità è palpabile sin dall’inizio quando gli scambi di leccornie, che sono piccoli lussi in un territorio sull’orlo della carestia, e piccole commissioni raccontano di una comunità pronta a proteggersi a vicenda proprio perché consapevole di doversi unire per sopravvivere. L’empatia e la gentilezza sono considerate forza, non debolezze.

Si parla di liberalizzazione della conoscenza in un momento storico complesso, perché un vecchio regime, basato sulla nobiltà che mantiene il suo privilegio anche tenendo per sé la magia, e uno nuovo sta sorgendo. The Spell Shop si apre con una rivoluzione e Kiela che fugge da una città in fiamme per andarsi a rifugiare sull’isoletta in cui è nata. Qui si rende conto di molte cose, tanto per cominciare mette in discussione la sua intera vita: c’è una discrepanza tra ciò che ha pensato di volere per tutta la vita e ciò che vuole davvero. Si rende conto che la vita a Caltrey non è una vita da cui scappare e forse il paesello delle sue origini è proprio il luogo in cui può realizzare i suoi sogni. Tendenzialmente rifuggo i libri che parlano di libri, troppo spesso c’è un mal riposto senso di superiorità che occhieggia troppo al pubblico in modo facilone, ma qui per fortuna il romanzo prende una sterzata diametralmente opposta: Kiela si rende conto che la vita fuori dalla biblioteca ha un valore, che i libri sono importanti quando la conoscenza è condivisa e che una vita di solitudine non è così auspicabile soprattutto dopo essersi auto convinta che fosse ciò che voleva. Nella grande città Kiela si era convinta che la routine fosse giusta, che andare a scuola e poi trovare un lavoro fosse giusto solo perché è così che si fa e questo non significa che le siano state imposte delle scelte, solo che spesso le nostre vite frenetiche ci inghiottono prima che ce ne rendiamo conto e spesso ne vediamo le idiosincrasie solo dopo che il ciclo si è rotto forzatamente. In determinati casi, The Spell Shop esce un pochino dai canoni del cozy perché il trauma esiste, è presente ma in un certo senso solo perché è nella natura delle cose: l’isola non è un posto dove i traumi vengono affrontati ed elaborati, ma il luogo dove ci si rifugia da essi. A ogni abitante è capitato qualcosa di brutto, ma lì ha trovato la sua serenità e grazie all’aiuto della protagonista, che, portando con sé la magia, riesce a far rifiorire l’intero borgo riuscirà. Uscire dalla crisi economica e climatica è possibile grazie a uno sforzo collettivo che mette al centro la cura degli spazi collettivi e individuali come forma della cura dell’altrǝ. 

L’assenza di violenza si porta fino alla fine, quando qualsiasi tipo di conflitto viene risolto senza mai prendere nemmeno in considerazione l’annientamento altrui, anche se personalmente ho avuto la sensazione che il finale sia stato un po’ tirato per le lunghe (per non parlare del fatto che il capitolo extra è completamente inutile a livello narrativo ed è anche inverosimile a livello immersivo). Non è un romanzo basto tanto sulla caratterizzazione dei personaggi, che sono a metà tra l’essere macchiette e tuttotondo, è l’interazione tra di loro, ma soprattutto l’ambientazione con tutto il contesto culturale che reggono il libro e lo rendono una coccola. 

The Spell Shop non è il libro della vita, questo è sicuro, ma non pretende di esserlo, vuole essere per noi un rifugio, una piccola isola felice in cui non esistono problemi insormontabili, c’è spazio per tuttɜ e le case profumano di marmellata e cannella. È stata per me una lettura sorprendente perché, nonostante tutto, si è rivelata più politica di quanto avrei immaginato prima di iniziarla.





mercoledì 18 giugno 2025

Hunger Games - L’Alba sulla Mietitura

  • Titolo: Hunger Games -  L’Alba sulla Mietitura
  • Titolo originale: Sunrise on the Reaping
  • Autrice: Suzanne Collins
  • Traduttrice: Simona Brogli
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN:
  • Casa editrice: Mondadori
Trama

All’alba dei cinquantesimi Hunger Games, i distretti di Panem sono in preda al panico. Quest’anno, infatti, per l’Edizione della Memoria, verrà sottratto alle famiglie un numero doppio di tributi rispetto al solito. Intanto, nel Distretto 12, Haymitch Abernathy cerca di non pensarci troppo, l’unica cosa che gli interessa è arrivare vivo a fine giornata e stare con la ragazza che ama. Quando viene chiamato il suo nome, però, il ragazzo vede infrangersi tutti i suoi sogni. Strappato alla sua famiglia e ai suoi affetti, viene portato a Capitol City con gli altri tre tributi del Distretto 12: una ragazza che per lui è quasi una sorella, un esperto in scommesse e la ragazza più presuntuosa della città. Non appena gli Hunger Games hanno inizio, Haymitch comprende che tutto è stato predisposto per farlo fallire. Eppure qualcosa in lui preme per combattere... e far sì che la lotta si estenda ben oltre l’arena

Recensione e commento

Un’intera generazione è stata segnata dall’uscita della trilogia di Hunger Games. Si è trattato di una dirompente novità nel panorama ya di quel periodo che ha portato al risveglio politico di molte adolescenti in un momento cruciale della loro formazione.

Ho letto e amato quella serie proprio in quegli anni, quando era un fenomeno pop al suo apice, per cui capirete la trepidazione mista ad ansia con cui mi approcciai a La Ballata dell’usignolo e del serpente, pubblicato quando ormai ero adulta e rischiavo di trovarlo deludente. Temevo potesse trattarsi di un prodotto fanservice che non avrebbe avuto nulla da dire e invece, felicemente, dovetti ricredermi perché quel romanzo, politologicamente perfetto, raccontava di tutte le piccole scelte, dei bivi della vita che alla fine portano un cattivo a diventare tale, tramite una catena di eventi che lo conduce a commettere atti orribili e per essi autoassolversi

Eppure, un po’ me lo sentivo che il libro su Haymitch non sarebbe stato all’altezza sia perché è successo quello che temevo inizialmente riguardo al romanzo su Snow, un po’ perché nonostante ci potessero comunque essere degli spunti interessanti da approfondire, restano comunque delle grandi occasioni mancate.

Già la premessa in sé è molto più traballante rispetto a ciò a cui l’autrice ha abituato il suo pubblico, perché di per sé scrivere un libro su Haymitch è già sintomo di un prodotto fanservice: noi sappiamo già tutto su di lui. Sappiamo che ha vinto gli Hunger Games, per cui viene tolta completamente la tensione che tiene incollate alle pagine, sappiamo persino le modalità attraverso le quali vince perché ci vengono raccontate il La ragazza di Fuoco, sappiamo che è diventato un alcolista a causa di tutti i ragazzini del suo distretto che ha visto morire anno dopo anno, senza poter fare nulla per salvarli. Sappiamo che Haymitch è un sopravvissuto che non è mai davvero uscito dall’arena nonostante tutta la sua voglia di vivere, e per quanto da un lato questo sia proprio l’aspetto che avrebbe dovuto essere maggiormente sfruttato, mostrandoci come Haymitch sia diventato l’Haymitch che conosciamo, dall’altro lato questo non solo non succede, ma addirittura resta un protagonista estremamente passivo.

L’Alba sulla Mietitura non rende omaggio a Haymitch perché cerca di fare qualcosa di diametralmente opposto ai libri che hanno Katniss come protagonista e nel farlo risulta parodistico, risulta la fanfiction di sé stesso, e sembra un’appendice attaccata a posteriori che non si incastra bene con la trilogia principale. Infatti, gli Easter egg sono forzati, i personaggi tanto amati della trilogia entrano in scena in maniera poco credibile, al punto da fare sembrare sia Capitol City, sia il Distretto 12 dei piccoli villaggi con pochissime persone, non degli Stati o delle grandi città. Questo crea dei problemi anche a livello di cifre, perché a un livello puramente matematico tutti i ragazzi e tutte le ragazze un anno o l’altro finirebbero sul palco del giorno della mietitura, proprio in virtù del numero ridotto, così come crea dei problemi il cast ridottissimo di personaggi di Capitol City. Le possibilità narrative per inserire personaggi secondari erano vaste, ma Collins ha creato delle situazioni inverosimili raffazzonate che altro non sono che fanservice.

Purtroppo non finisce qui, perché i difetti continuano. L’elemento che più mi ha dato fastidio è la totale mancanza di merito nella sua vittoria. Katniss aveva vinto perché era una proverbiale tempesta perfetta: una persona con delle abilità specifiche in un luogo adatto alle sue esigenze, mentre Haymitch è un miracolato, non vince per ablità o scaltrezza, ma perché qualcuno dall’alto ha deciso così per motivi politici e questo espediente, tra l’altro, viene sfruttato pochissimo perché come espediente poteva non essere male, ma manca totalmente l’immersione. Haymitch non ha motivi validi per comportarsi come fa e le sue emozioni sono sempre troppo blande per essere credibili. Si presenta in gara già sconfitto, non deciso a sopravvivere e questo è un elemento che stride terribilmente con il personaggio che ci è stato presentato nella trilogia. Non ha senso che un vincitore che dà ai suoi tributi il solo consiglio di “restare vivi” una volta nell’arena sia un tale disastro nel voler portare a casa la pelle, ritenendosi quasi un agnello sacrificale per cause più grandi. Non funziona proprio a livello narrativo nell’ottica selle serie nel suo complesso, anche se poteva funzionare, a livello puramente teorico, se il romanzo fosse  autoconclusivo. Haymitch doveva essere un vincitore, non un vincente: avremmo dovuto fare il tifo per lui sapendo già come sarebbe andata a finire, ovvero con lui alcolista e depresso, ma qui assistiamo a una persona eccessivamente idealista per farsi piegare, non vediamo, se non proprio sul finale tirato via, la persona che diventerà nella trilogia. Non ci viene raccontato un ragazzo che vince a dispetto delle probabilità, con le unghie e con i denti che che esce dall’arena senza che l’arena esca veramente da lui, ci viene mostrato un rivoluzionario a cui è andato male il colpo di stato e ciò è incoerente rispetto a ciò che sappiamo di lui dalla serie principale. Inoltre, sono moltissimi le contraddizioni rispetto ai libri su Katniss: stando agli eventi a cui assistiamo qui spesso Haymitch dovrebbe sapere delle cose che non sa, dire delle cose che non dice, avere delle opinioni che non ha. È questo che intendo quando dico che non è uno spin off che si sposa bene con la serie principale: la confuta in troppe occasioni.

Haymitch assomiglia a Katniss in tutte le cose sbagliate, in piccoli momenti citazionisti vuoti di significato, non in ciò che li ha uniti e consentito di capirsi anche nei silenzi. È come se Collins nel cercare di rendere la storia qualcosa di nuovo abbia in realtà stiracchiato tutto in modo tale da sfibrare la storia e renderla vuota e nel cercare di dire qualcosa di nuovo crea ridondanze dove non dovrebbero essercene.

Il messaggio che l’autrice intendeva mandare attraverso questo romanzo è la capacità dei media di manipolare le informazioni, creando delle narrazioni divergenti dalla verità e che rendono le persone coinvolte impotenti di raccontare la propria versione. Bello sulla carta, ma inefficace nell’esecuzione, che si perde in una storia talmente inverosimile, parodistica di sé stessa e a tratti barocca che rende la trama sopra le righe ma il contenuto troppo blando.

In conclusione, L’alba sulla mietitura è un libro scarico, privo del senso di critica dei suoi predecessori e che non ha molto da dire. È uno spin off che non rende omaggio al suo protagonista e gli fa fare brutta figura. Spero che Suzanne Collins si ravveda e riprenda a scrivere solo quando ha qualcosa da dire. 

mercoledì 4 giugno 2025

Two Twisted Crowns

  • Titolo: Two Twisted Crowns
  • Titolo originale: Two Twisted Crowns
  • Autrice: Rachel Gillig
  • Traduttrice: Lucia Feoli
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788809979499
  • Casa editrice: Giunti
Trama


Nel capitolo conclusivo della dilogia, Elspeth deve affrontare il peso di ciò che ha fatto, mentre lei e Ravyn si imbarcano in una pericolosa missione per salvare il regno ormai in preda a un re tiranno e alla magia nera. Elspeth e Ravyn hanno raccolto la maggior parte delle dodici Carte della Provvidenza, ma l'ultima – e la più importante – resta da trovare: gli Ontani Gemelli. Per recuperarla prima del Solstizio e liberare il regno, dovranno attraversare l'oscura foresta avvolta dalla nebbia. L'unico che può guidarli è il mostro che abita la mente di Elspeth, l'Incubo, ma lui non sembra più disposto a collaborare…

Recensione e commento

Il verbo “spremere” è spesso utilizzato con accezione negativa. “Mi ha spremuto come un limone” si dice quando una situazione ci prosciuga le energie. Eppure, la spremitura di un frutto di per sé non serve a prosciugarlo, ma a trasformarlo in qualcosa di diverso, spesso di più raffinato ed evoluto e ciò vale sia per la spremuta d’arancia, sia per la spremitura dell’uva per fare il vino. 

In questo senso, Two Twisted Crowns non è stato spremuto. È rimasto un acino d’uva, potenzialmente brunello di Montalcino ma mai diventato tale. E la colpa di ciò non è esclusivamente di Rachel Gilling, che visibilmente mancava dell’esperienza necessaria per fare di meglio, ma anche di tutto lo staff che non l’ha adeguatamente accompagnata nella stesura di un romanzo che si accontenta di essere ciò che è e non di ciò che potrebbe essere.

Perché non è possibile che un* editor professionista non abbia colto tutte le contraddizioni che sin dalle primissime pagine si susseguono: flussi di coscienza di personaggi che credono, come nel più classico bipensiero orwelliano, che due cose contraddittorie possano essere contemporaneamente vere. Delle figure professionali avrebbero dovuto accorgersi che troppe volte le dinamiche delle scene non sono chiare, rimangono aleatorie e poco verosimili e spaziano dalle scene di combattimento in cui i persinaggi si feriscono in modi non identificabili, a scene che dovrebbero essere un po’ sensuali ma che inevitabilmente rompono il patto di veridizione quando un personaggio si sfila gli stivali dai piedi soltanto dopo essere già rimasto in biancheria intima. 

A Two Twisted Crowns mancano direzione e chiarezza di intenti e ciò è palese sin dall’inizio, perché se in One Dark Window la voce narrante corrispondeva al punto di vista di Elspeth, qui assistiamo a una sterzata improvvisa e vediamo un’alternaza di pov tra Ravyn, Elspeth ed Elm. Quest’ultimo è unicamente incentrato sulle paturnie amorose di Elm verso il suo interesse amoroso, mancando completamente il punto della narrazione: ci sarebbe una maledizione da spezzare, in teoria, ma questi due pensano solo ad accoppiarsi. I capitoli a loro dedicati sono quelli che occupano più spazio, eppure sono anche quelli meno interessanti perché non raccontano nulla che sia funzionale alla trama. Oltre a questo, a mio avviso la cosa più grave in assoluto è che il sistema magico venga costantemente piegato alle esigenze di trama. È un continuo fare eccezioni per l’uno o per l’altra che dovrebbero subire determinati effetti della magia ma questo non succede mai.  I motivi non ci sono dati sapere, ma è chiaro che tutto è funzionale a mantenere intatta l’impenetrabile plot armour del cast.

Allo stesso modo, non si contano nemmeno gli dei ex machina, in particolare, la quest che gli altri personaggi affrontano, quelli che non sono in balia dei propri ormoni, è totalmente senza senso: il risultato che si ottiene è lo stesso che si sarebbe ottenuto comunque, anche senza di essa, la qual cosa mi è sembrata una mancanza di rispetto nei confronti del tempo che ho speso per arrivare alla fine e scoprire che è stata tutta una presa in giro. Inoltre, la struttura stessa quella quest non tiene perché le tempistiche sono gestite male: per andare da A a B si impiega circa tre giorni, mentre da B ad A basta una mezza giornata. Di nuovo: ma l’editor?

Ennesimo vorrei ma non posso è tutta la parte dedicata a Elspeth, persa nella propria mente. Mi duole dire che questa sia stata la peggiore occasione sprecata di tutto il romanzo, perché avrebbe potuto essere un viaggio dentro sé stessa, alla ricerca del proprio io mentre affrontava i suoi demoni, i traumi, le sue paure. E invece resta lì e incontra gente, mentre aspetta passivamente che le cose accadano. E in questo senso, anche l’Incubo, un personaggio interessantissimo nel primo libro, perde tantissima potenza, rivelandosi per niente di più che l’ennesimo deus ex machina con dei poteri francamente ridicoli e che non fanno nessuna paura. Tutto ciò che nel primo volume era interessante ma in fase embrionale, qui non trova né sviluppo né risposte, confermando che, con tutta probabilità, la trama non è stata concepita in modo organico nell’ottica dei due volumi. 

Mi intristisce il pensiero di ciò che questa dilogia avrebbe potuto essere e invece alla fine si è rivelata una doppia mancanza di rispetto sia verso l’autrice, che non è stata aiutata professionalmente, sia verso di noi, che ci stiamo abituando a storie sempre più scadenti.

The Spell Shop

Titolo: The Spell Shop Titolo originale: The Spell Shop Autrice: Sarah Beth Durst Traduttrice: Bendetta Gallo Lingua originale: inglese C...