- Titolo: The Atlas Six
- Titolo originale: The Atlas Six
- Autrice: Olivie Blake
- Traduttrice: Roberta Verde
- Lingua originale: inglese
- Codice ISBN: 978-8820073190
- Casa editrice: Sterling & Kupfer
Trama
Segreti. Tradimenti. Potere. Benvenuti nella Società Alessandrina. «Cos'altro se non la morte potrebbe conferire una tale vita alla conoscenza che proteggiamo?» Ogni dieci anni, ai sei maghi più talentuosi in circolazione viene offerta la possibilità di conquistarsi un posto nella Società Alessandrina, l'istituzione più segreta ed esclusiva del mondo, che garantirà loro potere e prestigio oltre ogni limite. In occasione della nuova iniziazione, il misterioso Atlas Blakely sceglie: Libby Rhodes e Nico de Varona, due fisicisti che controllano gli elementi e sono in competizione da tempo immemore; Reina Mori, una naturalista che comprende il linguaggio della vita stessa; Parisa Kamali, una telepatica per cui la mente non conosce segreti; Callum Nova, un empatico in grado di far fare agli altri qualunque cosa; e Tristan Caine, capace di smascherare qualsiasi illusione. Ciascuno dei prescelti dovrà dimostrare di meritare l'accesso alla Società e lottare con tutte le sue forze per ottenerlo, sebbene ciò significhi stringere alleanze con i nemici giurati e tradire gli amici più fidati. Perché, anche se i candidati straordinari sono sei, i posti nella Società sono solo cinque. E nessuno vuole essere eliminato.
Recensione e commento
Ho fatto bene ad aspettare che scemasse un po’ il fermento per questo romanzo, perché sono sicura che se lo avessi letto appena uscito ne sarei rimasta molto delusa.
Ma ho moltissimo da contestualizzare, tantissimo da dire su questo libro che non è brutto tout court e ha alcuni difetti che vanno inquadrati nella giusta situazione.
Dark academia o no?
Tanto per cominciare, si è fatto gran parlare di dark academia, ma lo è effettivamente? Ho fatto delle ricerche e sono arrivata alla conclusione che secondo alcuni punti di vista lo è, secondo altri no. Il dark academia non è un genere, è un’estetica che coinvolge non solo una palette di colori, ma soprattutto un immaginario che riguarda la cultura e lo studio, soprattutto letterario e dei classici Latini e Greci e ricalca il modello di college inglese. Di The Atlas Six possiamo dire che ha sicuramente le atmosfere giuste, ma manca della centralità della letteratura. C’è solo un personaggio che se ne interessa in maniera particolare e, sfortunatamente, resta sempre sullo sfondo. Inoltre, i protagonisti sono tutti adulti, che hanno quindi concluso tutti i gradi di istruzione e, sebbene si trovino a Londra e ci sia una biblioteca, forse definirlo “college” è un po’ forzato, date sia l’età dei personaggi, che il poco spazio che viene dedicato all’ambientazione, biblioteca esclusa.
Troppa fisica?
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I protagonisti |
Leggendo le varie recensioni su questo libro, ho notato che è stato molto divisivo: c’è chi lo ha amato alla follia e chi lo ha detestato. Io mi trovo nel mezzo, perché non l’ho odiato, ma nemmeno l’ho trovato qualcosa di sconvolgente. In particolare, mi sono saltate all’occhio le recensioni che affermavano che questo romanzo contenesse molta fisica, cosa che per alcune persone era un pregio, per altre un difetto. La mia sensazione a riguardo è che le parti scientifiche siano state scritte da una persona appassionata, ma non esperta, qualcuno che, come me, può divertirsi a guardare i video divulgativi su YouTube e magari ci capisce qualcosa, ma che non è assolutamente addetta ai lavori. Questo aspetto è sempre un difetto? Dipende. Non considero l’inaccuratezza scientifica un difetto quando si trova in un libro in cui la scienza non è centrale. In
Cinder, ad esempio, non lo era, e ci sono passata sopra quando “vaccino”, “cura” e “antidoto” sono stati usati come sinonimi, perché Cinder di mestiere fa la meccanica, non la virologa, ed è credibile che non sappia la differenza. Eppure sono stata intransigente quando in
Il Rintocco sono state dette delle assurdità, perché quel libro aveva l’obiettivo di essere accurato scientificamente, facendo parlare esperti nei vari settori.
In The Atlas Six ho notato che ci sono moltissimi concetti ridotti all’osso e davvero tanto tanto semplicistici, il che costituisce un problema per il semplice motivo che sono addetti ai lavori a parlare, spesso tra di loro. E delle persone appena uscite dall’università, con una laurea specifica per piegare le leggi dell’universo e che, quindi, sono esperte di fisica e di scienze naturali, non dovrebbero, a rigor di logica, parlare come se dovessero semplificare un concetto, fino ad arrivare al conceptual stretching. Ho trovato la cosa un po’ illogica e incoerente, mi ha dato fastidio perché mi ha dato l’idea che il libro fosse un po’ pretenzioso e alla lunga privo di contenuti. Voi potreste dirmi che è stato fatto per renderlo fruibile al pubblico, e io vi risponderei che se un libro mi venisse venduto come incentrato sulla fisica, la fisica è ciò di cui vorrei leggere, anche perché chi non la apprezza non ha amato il libro nemmeno con i concetti semplificati, quindi secondo me si doveva fare meglio di così.
Il sistema magico
Uno degli aspetti che ho trovato interessanti in The Atlas Six è il sistema magico e la sua organizzazione pratica in questo universo. I medeiani non sono scollegati del resto del mondo, anzi, ne fanno parte e ricoprono talvolta dei ruoli di prestigio e, come ho accennato prima, compiono degli studi appositi per sviluppare le abilità magiche. Alcuni di questi poteri, come quelli dei fisicisti, non sono nulla di particolarmente originale, anzi, quando cercano di spiegare i loro poteri scientificamente ho alzati gli occhi al cielo per le inesattezze; altri poteri, invece, sono molto originali o già visti ma presentati in modo nuovo. Tristan, ad esempio, è in grado di smascherare le illusioni, è in grado di vedere il mondo come è in realtà. A un certo punto viene addirittura affermato che sia in grado di vedere la realtà oggettiva, ma per quanto sia in grado di non farsi infinocchiare dalle illusioni magiche, questo, semplicemente, non è possibile. Bellissima idea, ma affermare di vedere il mondo nella sua totalità per come è in realtà è un’affermazione troppo ardita e decisamente inesatta: non si può avere una visione globale, si può vedere solo una porzione per volta e, inoltre, Tristan è un essere umano con il suo bel pacchettino di bias cognitivi. Ho trovato il suo potere molto interessante fino al punto in cui la cosa non è stata tirata per i capelli in questo modo.
A mio modesto parere, il potere sviluppato meglio è quello di Parisa, la telepatica. La sua non è di certo un’abilità del tutto nuova nella narrativa speculativa, eppure questa volta ho trovato tutto interessante perché Parisa non si imbatte solo nei pensieri consci, quelli già districati che si trasformano in flusso di coscienza, ma anche in quelli inconsci, nelle sensazioni su cui deve lavorare, nelle parti di psiche che si cerca di tenere nascoste e che non sono ancora pensieri. Ho trovato che il potere di Parisa, per quanto non abbia apprezzato lei come personaggio, sia stato quello sviluppato nel modo più coerente e convincente.
I personaggi
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La povera Reina a cui è stato dedicato poco spazio |
The Altas Six, ormai lo avrete letto ovunque, si regge sui protagonisti. Ovviamente, ho delle cose da dire anche su questo, figuriamoci, perché io ho due problemi: il primo è che ho letto
Dio di Illusioni molto prima di questo libro, e mi rendo conto che lo sto paragonando con un mostro sacro della letteratura, ma avendo il romanzo di Donna Tartt come punto di riferimento di cosa sia un dark academia e di come funzioni un libro che si basa sui personaggi, è chiaro che non potevo trovare tutto perfetto.
The Atlas Six è strutturato in capitoli a pov alternato, ogni capitolo porta il nome della figura che sta parlando. Il punto è che se non ci fossero i nomi dei personaggi all’inizio di ogni capitolo, non si capirebbe di chi è il punto di vista, perché le voci sono davvero tanto uniformi, quasi intercambiabili e i personaggi sono caratterizzati solo quando passano attraverso lo sguardo degli altri, la loro caratterizzazione passa più attraverso ciò che pensano gli altri, che attraverso i propri flussi di coscienza, che sono più principalmente dei flashback o la narrazione di eventi filtrati dalla propria percezione. Tutti i protagonisti usano la stessa sintassi, gli stessi schemi linguistici, lo stesso lessico ed è per questo che è difficile distinguerli quando sono loro a parlare, mentre gli atri sono riconoscibili perché vengono descritti da chi parla, che spiega cosa ne pensa e quali sono i pregi e difetti di ciascuno. Anche le persone amorali o immorali perdono totalmente il loro fascino di villain quando sono loro a parlare, perché in qualche modo il viaggio nella loro psiche è tutt’altro che una spirale discendente nella perversione, anzi, dà quasi l’idea di avere a che fare con qualcuno che viene frainteso, quasi noioso e ordinari. Di fatto, il loro pov è esattamente identico a quello di tutti gli altri personaggi e manca totalmente il tipo di empatia che chi legge prova per creature come quelle di Donna Tartt o di Patrick Suskind, per le quali ci si ritrova a fare il tifo nonostante siano oggettivamente delle brutte persone. In alcuni punti della trama succede anche il contrario: quando viene detto a delle persone comuni che devono commettere delle azioni orribili (o viene ricordato loro che ne hanno già commesse) la cosa viene spesso liquidata in due pagine con un’alzata di spalle, con pochissimi dilemmi morali e nessun tipo di lotta interiore, anche quando il conflitto etico dovrebbe essere centrale.
Va inoltre detto che alcuni personaggi hanno più spazio di altri. Reina, ad esempio, rimane molto sullo sfondo, forse troppo, quasi secondaria, dato che ha pochissimi capitoli dedicati ed è praticamente solo funzionale agli altri. Ma il più grande problema, per me è…
Il finale (NO SPOILER)
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La copertina del seguito |
…il finale. Personalmente, il gran colpo di scena è stato incredibilmente prevedibile, da un certo punto del libro in poi, ma non è questo che mi ha fatto storcere il naso, quanto il fatto che sia stato gestito male dal punto di vista letterario. A un certo punto, a settanta pagine dalla fine, accade qualcosa che i protagonisti non avevano previsto (sebbene gli fosse stato detto più volte che qualcosa di simile sarebbe successo), e la voce narrante, non sapendo come far mettere insiemi i pezzi ai protagonisti, affida a un personaggio esterno, che fino a quel momento non aveva avuto un suo pov, il compito di fare un lungo spiegone (cinquanta pagine) dove racconta tutta la sua vita, cosa è successo e cosa ha a che fare con il mistero in questione. È questa la parte che ho trovato più forzata, perché secondo me è stato un espediente molto cheap, non sarebbero mancate le occasioni per fare diversamente, anche perché nella trama gli indizi c’erano (altrimenti io non ci sarei arrivata) e queste cinquanta pagine finali hanno spezzato il ritmo e decisamente rotto la magia del mistero, perché il suo svelamento non avviene in modo teatrale o sorprendente. Viene semplicemente raccontato con una lunghissima digressione. Questo punto nello specifico per me non presenta parti salvabili, è solo un grosso no, si poteva fare meglio in modi letterariamente più eleganti.
Pregi
Tutto quello che ho detto finora potrebbe far pensare che il libro sia una schifezza totale. Non è così, ci sono anche degli elementi che funzionano molto bene: oltre allo sviluppo delle abilità magiche, la prosa è uno dei maggiori punti a favore, perché, nonostante sia uniforme in tutti i pov, è in grado di convincere chi legge di qualsiasi cosa. È altisonante e magniloquente anche quando tratta di luoghi comuni. Olivie Blake riuscirebbe a rendere interessante le frasi “quando ero piccolina io qua era tutto campagna”, “la frutta prima era più buona, ora sa solo di acqua” e il sempreverde “Pippo Baudo è proprio un gran professionista”. Probabilmente è stato questo l’aspetto più convincente e che nonostante tutto mi ha fatta andare avanti con la lettura, rendendomela piacevole.
Conclusioni
Per essere un libro originariamente autopubblicato, chapeau, veramente, ho letto delle cose pubblicate da case editrici di qualità molto inferiore. È un capolavoro? No, ma nonostante questo è un libro che funziona sotto diversi aspetti. Ci sono molti elementi che non mi hanno convinta, ma potrebbero decisamente venire migliorati nei seguiti, che sono già stati pubblicati in patria, voglio dare loro un’occasione.
Anche io penso che bisogna ridimensionare l'aspettativa riguardo ad argomentazioni scientifiche a seconda del tipo di libro o oper. L'accuratezza non è necessaria sempre
RispondiEliminaEsatto, dipende sempre dal tipo di libro
EliminaConcordo su tutto, io devo dire che appena l'ho letto l'ho amato ma se ci penso a mente fredda vedo alcuni difetti. Devo dire che comunque è stata una lettura che mi è piaciuta tantissimo perché mi ha proprio risucchiato, anche con i paroloni e gli spiegoni ho letto tutto in poco tempo, attendo il secondo con ansia anche se il colpo di scena finale non è così sconvolgente 😂
RispondiEliminaA me è successo con Nevernight di essere stata entusiasta sul momento ma che po l’entusiasmo fosse andato scemando col tempo
EliminaZosma
A parte dire che sono d'accordo su tutto, vorrei parlare un attimo del principio di indeterminazione di Heisenberg, perché è chiaro che l'autrice non abbia capito cos'è. Che differenza fa che il tizio che si muove di notte tra i lampioni cammini o si teletrasporti? Perché, se il tizio era un mago questo proverebbe che Heisemberg era un povero fesso, quando ciò che Heisenberg ha osservato è proprio i limiti di midurazione? Semmai l'avvalora, perché sppunto quello che Heisenberg aveva osservato era che non era possibile conoscere la traiettoria dell'uomo quando scompariva dai punti illuminati. Non so perché questa cosa specificamente mi abbia dato vosì fastidio quando tutte le parti scientifiche sono un problema, ma avrei voluto andare dall'autrice a lamentarmi! Tra l'altro proprio questo principio è utile a ricordare che la stessa osservazione/misurazione di un fenomeno può modigicarlo, altro che la realtà 'oggettiva' visibile da Tristan (personaggio che, rivordiamolo, vede i quanti. Lui vede i quanti! Bah.)
RispondiEliminaDetto ciò spero che nel secondo libro l'autrice lavori di più sia sulla struttura del romanzo che sul rendere i personaggi qualcosa in più che 'fighi tormentati'
A me personalmente hanno dato più fastidio tutte le congetture sul tempo, erano sempre troppo semplificate o addirittura inesatte e sarei più di una volta entrata nel testo con l’indice alzato a dire “beh, questo non è del tutto esatto, permettimi di aggiungere una cosa”. E ripeto, in qualsiasi altro libro forse avrei lasciato passare. Non posso farlo nella misura in cui chi parla è addetto ai lavori
RispondiEliminaZosma
Sì, vero pure questo. Poi andare a toccare il tempo è una cosa molto complicata, raramente gli spiegoni fantasy/fantascientifici sul tempo risultano credibili.
EliminaNon conoscevo questo libro. Ma sembra molto bello. Ma anche io penso che certi libri sia meglio aspettare a leggerli per non bruciarsi la lettura
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