mercoledì 26 giugno 2024

La Ragazza Guerriera

  • Titolo: La ragazza guerriera
  • Titolo originale: Warrior girl unearthed
  • Autrice: Ageline Boulley
  • Traduttrice: Cristina Proto
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788817183765
Trama

Perry Firekeeper-Birch, sedici anni, sa da sempre di essere la gemella imperfetta, la combinaguai, ma anche quella spensierata, e il miglior pescatore di Sugar Island. La sua vita le piace così com’è e non ha alcun desiderio di allontanarsi da casa per studiare in una prestigiosa università. Ma mentre cresce il numero di donne indigene scomparse e la sua famiglia viene coinvolta in un’indagine per omicidio, Perry inizia a mettere in discussione quello che accade attorno a lei, soprattutto quando scopre che ci sono persone senza scrupoli che profanano le tombe dei suoi antenati e cercano di trarre profitto da antichi manufatti che dovrebbero appartenere di diritto alla sua tribù. Spinta dal desiderio di rivendicare l’eredità del suo popolo, Perry non ha altra scelta che buttarsi nell’impresa disperata di riportare a casa gli oggetti appartenuti ai suoi antenati. Non è sola: può contare sulla sua competitiva e amatissima gemella, sul loro vecchio amico d’infanzia e sul nuovo irreprensibile e affascinante ragazzo venuto dalla città. Vecchie rivalità, segreti e rapine fallite proveranno a sbarrarle la strada, ma non potranno impedirle di portare alla luce una spaventosa verità. Età di lettura: da 12 anni.


Recensione e commento

Questo libro mi ha fatta arrabbiare. Mi ha fatta proprio uscire fuori dai gangheri. E ha fatto bene, perché era precisamente questo il suo interno.

Quando mi sono approcciata a La ragazza guerriera, titolo e copertina mi avevano fatta pensare a un fantasy, invece mi sono trovata davanti a un romanzo di narrativa young adult che mescola temi attualissimi, coming of age e thriller in un’amalgama ben scritta, ritmata e credibile. Questo romanzo è come i suoi personaggi: niente è solo qualcosa. Per cui ogni persona del cast ha varie caratteristiche che sono più che semplici etichette decise a tavolino dall’autrice che voleva rappresentare più varietà umane possibili. Questo è proprio uno dei moniti della storia, che mette in guardia dai pericoli di affibbiare etichette alle persone, ridurle a un token, a una singola cosa da feticizzare e per quella odiarle o amarle. E questo non vale soltanto per quello che succede alle persone native da parte dei bianchi, poiché accade anche tra persone della stessa comunità, anche quando non concerne la questione razziale o culturale. Una ragazza di sedici anni perfettamente normale non può essere etichettata come “quella sfaticata” da contrapporre alla “gemella sveglia” solo perché non ha ancora trovato qualcosa da amare al punto da volerla fare sempre bene. Una ragazza non è perbene solo perché prende ottimi voti che raggiunge tramite l’ansia sociale di fallire. Succede così tanto in meno di quattrocento pagine, che sono volate via, che mi sono stupita di come Angeline Boulley sia riuscita a fare entrare così tanti concetti, affrontati benissimo, in poco spazio. 

Oltre a questo tema, La Ragazza guerriera parla anche di appropriazione culturale riuscendo ad andare così in profondità di un concetto tanto (ma tanto) frainteso e minimizzato che in un paio di occasioni mi è rotolato via un paio di lacrime. Attraverso gli occhi di Perry vediamo come il governo degli Stati Uniti (e non solo quello) tratti le nazioni di nativi in modo totalmente ingiusto, approfittando, e a volte creando di proposito, di vuoti legislativi per poterne trarre vantaggio. L’autrice ci spiega come i trattati che intimano di restituire alle famiglie i loro oggetti rubati (RUBATI!) dalle tombe dei loro cari vengano totalmente bypassati o serenamente ignorati, di come oggetti di importanza religiosa o anche soltanto pregni di valore affettivo e culturale vengano venduti a prezzi esorbitanti perché finiscano nella casa di qualche riccone per essere sfoggiati come oggetti esotici di lusso: decorazioni, non oggetti con un valore intrinseco. Nella postfazione Angeline Boulley spiega che molte delle scene che racconta nel libro sono realmente accadute a lei o a persone che conosce e molte di esse sono scioccanti: come vi sentireste se domani un archeologo o un’archeologa andassero nella vostra tomba di famiglia col favore delle tenebre, tirassero fuori dal terreno le ossa di vostra nonna e le mettessero dentro una scatola di cereali asserendo che tutto questo viene fatto per un bene superiore? Io penso che non vi farebbe piacere, specialmente se il governo del vostro Paese dicesse che no, non necessariamente quello che è stato rubato deve essere restituito, dato che deve essere studiato. In tutto il libro la rabbia di Perry, la sua frustrazione, sono state le mie, ho sentito veramente tutte le sue emozioni e penso che questa sia la vera potenza della narrativa: spiegare attraverso l’empatia dei concetti di cui spesso ci si riempie la bocca senza averli mai davvero capiti nel profondo. 

La protagonista percorre una strada che la porta a comprendere che non conta solo il fine, ma anche i mezzi e che fare le cose nel modo giusto ha importanza. Sul finale, dopo tutte le sue epifanie, avrei voluto abbracciarla e sono stata felice di vedere che Perry ha compreso finalmente di poter scegliere per sé le sue etichette e persino cambiarne qualcuna. Durante il suo percorso la vediamo affrontare gli effetti catastrofici della colonizzazione che coprono letteralmente qualsiasi cosa. Persino il cibo è stato colonizzato, perché molto di quello che nel Cinquecento è stato importato dall’Europa si è rivelato dannoso per le popolazioni indigene che ancora oggi hanno una genetica che rende più probabile l’insorgere di determinate malattie. Proprio nell’instancabile tentativo di mantenere bilanciata la propria vita, la famiglia di Perry cerca di costruire una bolla di felicità non dando mai nulla per scontato e cercando di mantenere vive delle tradizioni salutari anche in termini di produzione di cibo proprio. Tutto questo sforzo costante per il mantenimento di costumi che a un certo punto hanno rischiato di andare completamente perduti, poiché le persone della generazione dei nostri nonni sono state strappate dalle loro famiglie e affidate a bianchi che avevano il compito di “civilizzarli” anche tramite l’uso della violenza e della mortificazione, per cui non avendo più avuto contatti con le famiglie di origine hanno perso moltissimo in termini di cultura. Sotto questo aspetto, Boulley ci fa notare come in determinati ambienti con “cultura” viene inteso un punto di arrivo al quale si giunge tramite un percorso accademico spesso elitario, mentre in realtà questa parole dovrebbe denotare tutto un contesto che parla di chi siamo nel qui e ora che è frutto del percorso delle generazioni precedenti e di quello che ci hanno lasciato. La cultura è qualcosa in cui siamo immersɜ come nello spazio tempo, non è necessariamente una scalata su una montagna. Solo che tutto ciò che non è frutto di lavoro accademico e che differisce dalla cultura dominante viene relegato come folklore, come carnevalata da mettere in scena per i turisti.

Ultima precisazione: La Ragazza guerriera non è il sequel di Un Grammo di Rabbia, ma comunque ci sono dei riferimenti che potrebbero essere spoiler del libro precedente perché fanno riferimento a una personaggia secondaria e al suo passato. Sono comunque fruibili separatamente senza problemi.

La Ragazza guerriera è la dimostrazione di quanto possa essere interessante un romanzo quando chi lo scrive ha qualcosa da dire e nel farlo non sottovaluta il suo pubblico. A mio avviso un libro validissimo che fa giustamente indignare e scoprire il modo di pensare di chi fino a ora è statǝ cancellatǝ.

martedì 18 giugno 2024

Il Ladro Linguanera

  • Titolo: Il Ladro Linguanera
  • Titolo originale: The Blacktongue Thief
  • Autore: Christopher Buehlman
  • Traduttrice: Donatella Rizzati
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9791259675750
  • Casa editrice: Fazi
Trama


In un mondo dove la morte è costantemente dietro l’angolo, l’onore è un lusso che pochi possono permettersi.
Kinch Na Shannack è debitore di una considerevole somma verso la Gilda dei Prenditori, che gli ha impartito un’impeccabile istruzione per diventare ladro, insegnandogli, tra le altre cose, a scassinare serrature, scalare muri, usare il coltello, raccontare bugie, piazzare trappole, nonché qualche piccolo incantesimo. Decide quindi di nascondersi nel folto della foresta per mettere in pratica quello che ha imparato contro il primo malcapitato che si troverà a passare di lì. Purtroppo per lui, però, si trova davanti Galva, ancella della dea della morte e abile guerriera, sopravvissuta alle feroci guerre contro i goblin; sta viaggiando in cerca della sua regina, scomparsa dopo che la città del nord in cui si trovava è caduta in mano ai giganti. È così che Kinch, a cui Galva risparmia la vita, viene costretto dalla Gilda a seguire la ragazza in un viaggio che unirà per sempre i loro destini. I due si troveranno coinvolti in un’epica avventura segnata da inaspettati pericoli e doppi giochi da svelare, in un paese devastato dalle guerre, dove i goblin sono affamati di carne umana e mostri leggendari si rifugiano nelle profondità del mare.
Con grande ironia e spregiudicatezza, Kinch trascina il lettore in un’avventura ricca di azione e colpi di scena, tra strane creature assetate di sangue, tatuaggi magici e segreti che possono rivelarsi fatali.

Recensione e commento

Sentivo davvero il bisogno di tornare a leggere qualche bel fantasy vecchio stile e in questo mi è venuta in aiuto la casa editrice Fazi, che mi ha gentilmente inviato il file digitare del nuovo romanzo di Christopher Buehlman, per quanto debba ammettere che la mia scelta è stata influenzata anche dalla traduttrice: Donatella Rizzati per me è una garanzia, ha tradotto i miei libri preferiti e in genere le vengono affidati romanzi che non possono deludermi.

Inoltre, sono sempre particolarmente incuriosita quando si tratta di libri ambientati in un fantamedioevo che parlando di ladri, specialmente dopo il panel di Stranimondi dello scorso anno, quando il grande Luca Tarenzi ha parlato di questo aspetto legandolo alla Storia e trovandone analogie e differenze (chi c’era, sa quanto è stato epico quel panel).

Per me Il Ladro Linguanera è stato una boccata d’aria fresca. Tanto per cominciare, sia il worldbuilding che il sistema magico sono raccontati con dovizia di particolari, eppure l’autore è abile nello svelare ciò che ci serve senza mai fare infodump. Il mondo in cui il protagonista si troverà a compiere il suo arco di formazione in un fantamedioevo popolato da gilde di vario tipo e creature magiche. Dico arco di formazione e non dell’eroe perché il nostro Kinch ha poco a che fare con questo concetto: è coraggioso, sì, ma quando serve, e ha anche tantissima paura senza mai vergognarsi di dircelo in modo chiaro. Inoltre, non pensa mai prima agli altri, la sua priorità è rivolta verso sé stesso e questo lo porta ad agire in modo coerente con il mondo impietoso in cui vive. Kinch è un personaggio umano ed è per questo che riesce a esserci tanto simpatico: abbandona qualsiasi idea di perfezione dell’eroe senza macchia e sfocia spesso nell’autoironia.

Consiglio particolarmente il libro di Buehlman a chi prova nostalgia per i fantasy vecchio stile, di quelli con gilde di vario tipo, ladri, streghe, guerrieri. Per voi, Il Laadro Linguanera dal ritmo calmo ma mai noioso, sarà una vera coccola e una boccata d’aria fresca. 

domenica 16 giugno 2024

L’ultima degli immortali

  • Titolo: L’ultima degli immortali
  • Titolo originale: The Night Hunt
  • Autrice: Alexandra Christo
  • Traduttrice: Laura Pettazzoni
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788834744829
  • Casa editrice: Fanucci
Trama


Atia è una Nefas, creatura immortale che si nutre di incubi e paure. Essendo l’ultima della sua specie, vive nell’ombra per sfuggire all’ira vendicativa degli dèi. Silas è un Messaggero, incaricato di consegnare missive e traghettare i morti come punizione per un passato che nemmeno ricorda. Atia non si sognerebbe mai di allearsi con uno come lui, ma quando infrange una sacra legge e gli dèi sguinzagliano una serie di mostri per darle la caccia, Silas le fa una proposta che non può rifiutare: l’aiuterà a sconfiggere gli dèi e vendicare la sua famiglia, se in cambio lei farà altrettanto per spezzare la maledizione che lo affligge, ripristinando così la sua umanità. Tutto ciò che devono fare è uccidere tre potenti creature: un vampiro, una banshee e uno degli dèi che ha distrutto le loro vite. Solo combattendo fianco a fianco riusciranno a riscrivere il loro destino.

Recensione e commento 

Alexandra Christo in passato ha consigliato a chi pubblicava il suo primo romanzo di non leggere mai le recensioni online, specialmente se negative. Ebbene, penso che alla fine qualcuna lei l’abbia letta e le abbia fatto anche bene, perché ha finalmente corretto tutti quei piccoli errori che rendevano mediocri delle storie che potevano essere bellissime.

Infatti, in L’ultima degli immortali, Christo approfondisce finalmente il worldbuilding, raccontandoci di un mondo diviso in regni, ciascuno governato da uno degli elementi alchemici, e ci racconta di divinità, mostri e messaggeri. Una delle cose che mi aveva lasciata perplessa in La Principessa delle anime, oltre all’ambientazione abbozzata, era la costante presenza di dei ex machina anche da un punto di vista tecnologico: ogniqualvolta alla protagonista serviva tirarsi fuori da una situazione spuntava fuori un oggetto tecnologicamente troppo avanzato per quel mondo che la tirava fuori dai guai. Tipo Nobita di Doraemon. Finalmente qui ho trovato tutto coerente, sia in termini di composizione del worldbuilding in tutte le sfaccettature, sia per quanto riguarda la coerenza interna della storia.

A questo proposito, ho apprezzato tantissimo la chimica tra i personaggi e il fatto che l’autrice parta sempre con delle protagoniste improbabili, ci racconta sempre una sorta di arco di redenzione di un’antagonista. Questa volta ci parla di una creatura mostruosa che si nutre delle paure degli esseri umani e che viene maledetta dopo averne ucciso uno per sbaglio. A maledirla è uno dei messaggeri degli dei, Silas, che è un personaggio che mi ha particolarmente convinta perché si trova in una sorta di limbo: vorrebbe di più dalla sua esistenza e si annoia a svolgere un normale compito amministrativo. Anche i personaggi secondari, che nei romanzi precedenti erano macchiettistici e spesso funzionali solo a sacrificarsi al momento giusto per la salvezza dei due protagonisti, qui hanno una reale caratterizzazione psicologica ed entrano nella storia in modo fluido e credibile, non si tratta di semplici appendici della protagonista o del protagonista. Anche il fatto che io non sia riuscita a fiutare il finale a dieci pagine dall’inizio del libro è positivo: c’erano tre tipi di finale possibili e non sapevo quale sarebbe stato scelto da Christo. Sono davvero contenta che sia crescita come autrice, questa storia mi ha fatto sentire che ha finalmente compiuto quel passettino in più che era assolutamente nelle sue corde.

Quella somiglianza incredibile
tra la protagonista Atia
e Noora della band Power Metal
Battle Beast
Se proprio devo trovare un difetto, è che in questo romanzo gestito a doppio pov le voci di Silas e di Atia mi sono sembrate troppo simili nella gestione dei loro flussi di coscienza.  Non fraintendetemi, ho apprezzato che entrambi fossero disillusi e sarcastici, e in qualche modo guidati da interessi egoistici, ma quando riprendevo il libro in mano dopo averlo interrotto non capivo immediatamente quale fosse la voce narrante perché non sono abbastanza differenziate nei pensieri e negli schemi linguistici.

Sono felice di vedere quanto sia cresciuta Alexandra Christo, che ha scritto finalmente un libro totalmente credibile, ben ritmato e pensato in ogni dettaglio. Ottime idee e messe su carta magistralmente.

martedì 11 giugno 2024

Sheridan - La Profezia dello Straniero

  • Titolo: Sherden - La Profezia dello Straniero
  • Autrice: Melania Muscas
  • Lingua originale: italiano
  • Codice ISBN: 9788809937383
  • Casa editrice: Giunti
Trama


Nelle acque del Grande Verde sorge un'isola dominata da un antichissimo popolo: Sherden. Qui Arvara, sacerdotessa nelle cui vene scorre il sangue delle janas, le donne immortali che per prime hanno abitato queste terre, ha il dono di leggere nel futuro. E la profezia che annuncia è catastrofica: tre eventi rovinosi cancelleranno per sempre la civilità shardana. Parole ineluttabili, che fanno serpeggiare il panico tra le città del Nord e del Sud, spingendole le une contro le altre. Dopo l'avvento dell'Onda che sommerge l'isola, la prima parte della profezia è compiuta. Adesso ciò che scatena l'angoscia è la minaccia del “secondo nemico”, la conquista di Sherden da parte di uno straniero e della sua gente. Ma chi è davvero questo straniero? Uno di quelli che abitano l'isola, e contro cui la setta dei credenti, spinta da un odio cieco, sta ingaggiando una violenta epurazione? O forse qualcuno che arriverà da fuori? Cinque punti di vista, cinque personaggi di cui seguiamo il destino, e le cui storie finiscono inesorabilmente per intrecciarsi: Arvara, discendente della Profetizzante; Jabari, giovanissimo straniero esiliato; Felìtzi, maledetta dal tocco mortale di una delle cogas, creature malvagie e portatrici di sventura; Brennar, fratello del cabu al governo del Nord; infine, Thaeni, la guida della Resistenza, pronta a tutto pur di difendere il diritto degli stranieri ad abitare l'isola. La struttura e le atmosfere del Trono di Spade si fondono con gli elementi del folklore sardo, nel primo capitolo di una trilogia fantasy in cui la storia antica funge da ispirazione per creare un universo unico.

Recensione e commento

È relativamente difficile per me parlare di Sherden - La Profezia dello Straniero, perché penso che essere nata e cresciuta nei posti in cui questo romanzo è ambientato possa cambiare la mia percezione della storia. 

Infatti, molti dei luoghi che vengono descritti sono radicati nel mio cuore. Quella che vedrete qui non è la Sardegna delle cartoline o delle riviste per turisti: è quella selvaggia e spirituale. Quella di un popolo magari internamente diviso, ma accomunato dall’amore per la sua terra e che da essa trae nutrimento e forza. L’intento di Melania Muscas per me è chiarissimo ed è quello di ridare dignità a una civiltà - quella nuragica - che è sempre stata accusata di “non aver mi fatto nulla di importante”. I nuragici sono esistiti in uno dei momenti di massimo splendore per le civiltà mediterranee e avendo avuto contatti con le più importanti di queste, è impossibile che non abbiano fatto “nulla di importante”. È proprio in questo contesto che Muscas intesse la sua trama, prendendosi sicuramente delle licenze storiche, come racconta lei stessa nelle note finali, ma incastonando la finzione narrativa nel mito e il mito nella Storia. Per cui, moltissime delle personalità più conosciute della mitologia e dell’epoca agiscono ai margini dell’intreccio di Sherden - la Profezia dello Straniero, ma si fiuta benissimo che le loro azioni avranno (o hanno avuto in un passato che si perde nel tempo) delle ripercussioni inimmaginabili. Ai personaggi di Omero e Virgilio si amalgamano anche quelli storicamente esistiti che aiutano le cinque voci del romanzo a compiere le loro imprese.

Al mix di leggenda, mito e Storia, Muscas aggiunge un sistema magico basato sul folklore sardo: troviamo creature fatate come janas e cogas che in questo contesto sono proprio coloro che conferiscono poteri e immortalità. Spero vivamente che tutto questo, assieme all’ambientazione, che è ciò che ho preferito dell’intero romanzo per la sua solidità e originalità, possa invogliare più persone possibile a cercare di conoscere un luogo che viene considerato sempre e solo come meta per il turismo di massa.

Poi, personalmente, ho preferito l’ultimo quarto del libro perché è quello maggiormente ritmato e dove si arriva al sodo. C’è un susseguirsi di eventi continuo e vengono tirate le fila di tutto ciò che è stato raccontato in precedenza. L’unica critica che mi sento di muovere è che in determinate situazioni si potesse snellire leggermente, ma per il resto l’autrice si pone sempre le domande giuste: trova sempre il modo di fornire un’informazione nel modo più funzionale possibile - quasi sempre tramite discorsi diretti credibili, dove davvero i personaggi devono parlare di qualcosa che non conoscono - e non ci sono flussi di coscienza macchinosi in cui la voce narrante si dilunga in spiegazioni che servono a chi legge ma che appesantiscono. In generale ho apprezzato tantissimo che la prosa non si perdesse mai in chiacchiere, riuscendo a essere diretta senza perdere morbidezza. Non bisogna necessariamente dilungarsi in manierismi per essere poetici.

L’organicità dell’opera nel suo complesso si traduce anche nella caratterizzazione dei personaggi. Su questo aspetto ho diverse precisazioni d fare, perché in un certo senso non c’è stata nessuna protagonista (o nessun protagonista) con cui io sia entrata in sintonia fino in fondo. Nel senso che talvolta concordavo con loro, ma altrettante volte invece avrei fatto totalmente l’opposto. Non c’è stat* nessun* che mi abbia completamente rubato il cuore, ma ciò di per sé non significa niente, racconta solo del mio rapporto con loro. Mi spiego meglio: non devo necessariamente trovare piacevole una protagonista o un protagonista per trovare che sia credibile. Ho seguito comunque con piacere e curiosità le loro avventure per quanto spesso non mi trovassi d’accordo con loro o con le loro ragioni proprio perché anche nel momento in cui agivano in modo totalmente opposto a come avrei fatto io, mi sembrano comunque delle persone reali degne del mio rispetto. Ho trovato apprezzabile anche che ci fosse varietà, perché tra di loro troviamo guerrieri, anziane, donne a capo di una rivolta e adolescenti.

A questo proposito, un’altra cosa che mi è piaciuta della penna dell’autrice è che non fa mai ricorso alla pornografia del dolore: nelle situazioni in cui un altro autore o un’altra autrice avrebbero fatto ricorso a qualcosa di scenografico e scioccante, Muscas sceglie la via difficile del raccontare il dolore in modo credibile. Le scene di battaglia sono cruente (perché come altro dovrebbero essere delle scene di battaglia?) e le ho trovate particolarmente convincenti, perché non ci sono imprese eroiche compiute a dispetto di agonie fisiche insopportabili: il dolore è dolore e come tale è invalidante e non ci saranno scene in cui verranno sollevati compagni moribondi pur avendo le braccia maciullate (torniamo al discorso che l’autrice si pone sempre le domande giuste su come essere verosimile). Nessun/a ha una plot armour, non c’è qualcun* che l’autrice preferisca al punto da essere tirata o tirato fuori dai guai per grazia divina solo perché deve salvarsi, e in questi tempi fatti di protagonist* coccolat* non è affatto scontato. 

Tirando le somme, penso che questo romanzo si capisca al meglio da una prospettiva isolana, perché moltissimi luoghi ricordano siti realmente esistenti che sono nell’immaginario del popolo sardo, così come il folklore alla base del sistema magico. Eppure, credo che allo stesso tempo Sherden - La Profezia dello Straniero sia un libro adattissimo a chiunque piaccia il genere perché è un ottimo libro, scritto con maestria e competenza. 

Per cui, se volete lanciarvi in un’avventura originalissima a base di nuraghi, intrighi e leggende, questo è sicuramente un titolo che non potete farvi scappare, vi aspettiamo a Sherden.


Ps. In genere utilizzo delle foto prese dal web. Questa volta ho preferito usarne alcune che ho scattato (o mi sono state scattate) durante qualche gita in famiglia. Questo per dire quanto sento miei questi luoghi.

martedì 4 giugno 2024

Tanti piccoli Fuochi

  • Titolo: Tanti piccoli Fuochi
  • Titolo originale: Little Fires everywhere
  • Autrice: Celeste Ng
  • Traduttrice: Manuela Faimali
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 978-8833935799
  • Casa editrice: Bollati Boringhieri 
Trama

1998, Shaker Heights, Cleveland, Ohio. Una comunità fondata su un insediamento Shaker e popolata da una maggioranza di benintenzionati democratici e abbienti, seguaci, anche se non proprio rigorosi, delle drastiche regole di vita stabilite dai loro predecessori. E due protagoniste diversissime: Elena Richardson, quattro figli, perfezionista, impegnata in attività benefiche, ricca, che incarna la filosofia Shaker; Mia, madre single che ha scelto una vita itinerante fatta di lavori saltuari per dedicare tutto il tempo libero alla fotografia artistica, al momento occupata come domestica in casa Richardson in cambio di un piccolo alloggio. Mia ha una figlia adolescente, Pearl, che stringe amicizia con i ragazzi Richardson, si trova benissimo a Shaker Heights e convince la madre a metter fine al loro vagabondaggio. Ma presto quella che dovrebbe essere una svolta decisiva nella vita delle due donne diventa un problema. Quando un'amica dei Richardson cerca di adottare una neonata sinoamericana, Elena e Mia si ritroveranno schierate su due fronti opposti nella successiva battaglia per la custodia, che vede contrapposte la madre adottiva americana e la madre naturale cinese. Nella mente della democratica Mrs Richardson scatta il sospetto che Mia nasconda un passato torbido, ed è decisa a fare chiarezza. Ma la sua indagine ossessiva avrà un costo altissimo per tutti. Con uno stile fluido, paragonato dalla critica americana a quello di Elena Ferrante, Celeste Ng mette a nudo controversi, attualissimi, problemi sociali – immigrazione, povertà, razza, adozioni, e diffusa ipocrisia – e insieme esplora la natura di arte e identità, il peso dei segreti, la forza del legame materno. E il pericolo del credere che seguire le regole possa proteggerci dall'imprevisto.

Commento

Proverò a fare del mio meglio nel parlavi di questo libro, ma mi sembra giusto avvisarvi che non mi sento all’altezza: è un vero pezzo di letteratura e mi sto permettendo di recensirlo solo perché se n’è parlato troppo poco.

Prima di azzardarmi a mettere le mani sulla tastiera per scrivere la bozza di questo articolo ho letto Tanti piccoli Fuochi per due volte e ho preso una marea di appunti, e nonostante ciò non andrò nemmeno vicina a rendere la complessità di questo romanzo. Con Celeste Ng è sempre così: all’inizio sono perplessa e poco convinta, alla fine del libro mi esplode il cervello per la sua genialità. La seconda lettura, effettuata col senno del poi, mi ha consentito di vedere la maestria, invisibile a una prima occhiata, con cui l’autrice ha costruito Tanti piccoli Fuochi, che apparentemente si apre in modo noioso e ordinario, ma in realtà cela una stratificazione di interpretazioni e significati che ci vengono presentati sin dall’inizio senza che ne siamo a conoscenza. 

La forza dei libri di Celeste Ng è proprio questa, lo era anche in I nostri Cuori perduti, ovvero il non offrire mai una risposta semplice a problemi complessi, non dare nulla per scontato. Celeste Ng non crea dicotomie, punta il dito sui fenomeni che osserva ma non dice chi abbia ragione anche quando ci sono due fazioni a fronteggiarsi. Ho amato questo romanzo per lo stesso motivo per cui ho amato I nostri Cuori perduti, cioè perché mostra le complessità dell’animo umano, crea dei personaggi talmente vividi e sfaccettati che sembra di conoscerli. In particolare, all’interno della trama troviamo varie questioni di natura economica e personale che le protagoniste, si troveranno ad affrontare. Ed è stato solo con la seconda lettura che mi sono resa conto che moltissime delle situazioni descritte fossero in realtà assimilabili, ma l’autrice è stata talmente abile nel creare contesti diversi, sfumature diverse, background diversi per le persone che interagiscono che a una prima occhiata non mi ero resa conto che stavano vivendo la stessa cosa in maniera diversa. 

Le protagoniste della serie TV (credetemi, la 
qualità non ha niente a che vedere con il libro…)

Esattamente nello stesso modo in cui ogni protagonista pensa e agisce in modo diverso davanti allo stesso evento, così anche l’interpretazione della storia dipenderà dal vissuto di chi legge, dai suoi bias cognitivi e dal suo sistema di valori. Non c’è mai una risposta giusta o univoca quando si tratta di decidere a chi affidare una bambina, se alla sua madre biologica o a dei genitori affidatari abbienti in grado di darle una vita molto borghese. E in questo senso, mi sono resa conto che per alcune delle protagoniste della vicenda il privilegio è come lo spazio-tempo: ci sono immerse ma non ne hanno consapevolezza. Ad esempio Elena, una donna borghese che ha rinunciato alla carriera dei suoi sogni per inseguire la stabilità economica, giudica molto male chiunque abbia una vita diversa dalla sua e utilizza come metro di giudizio la sua esperienza anche quando si tratta delle vite altrui. Insomma, non si rende conto che non tutte nella vita hanno avuto genitori in grado di pagare loro il college e comprare loro una casa senza colpo ferire. Non riesce mai a cambiare prospettiva e comprendere che ci sono persone che sono state nelle condizioni di accettare dei soldi per fare qualcosa che nessuno al mondo vorrebbe mai fare perché, pur facendo tre lavori, non potevano pagare un semestre all’università. Eppure Elena interpreta le vite altrui sulla base delle scelte che ha fatto lei, non in base a condizioni di partenza diametralmente opposte. Io parlo di Elena perché il mio vissuto mi porta a essere in totale opposizione con lei in questa precisa fase della mia vita, ma se fossi una donna di quarant’anni con quattro figli probabilmente anche a me interesserebbe solo la stabilità economica. Vi dico che davvero tutto in questo libro è relativo a cosa pensate voi nel preciso momento della vostra vita in cui lo leggete. Per Elena le uniche cose che contano sono le regole, tranne nel momento in cui è lei a doverle forzare per il proprio tornaconto personale. E trova sempre un motivo per giustificarsi, per asserire di averlo fatto a fin di bene. Lei, dal suo pulpito, decide chi è persona perbene e chi no e per lei è davvero tutto questione di merito, anche la maternità. Per lei e per i personaggi fortemente borghesi come lei all’interno di Tanti piccoli Fuochi, desiderare ardentemente qualcosa e avere il denaro per comprarlo corrisponde ad averne diritto, anche quando si deve sottrarre qualcosa a chi a meno. In questo libro non c’è retorica, non ci sono moralismi né frasi a effetto, ma ci sarà chi cambierà un divano ogni due anni per rinnovare l’arredamento e chi non ne ha mai posseduto uno in vita sua, chi spende diecimila dollari come se nulla fosse e chi dà un’estrema importanza al denaro proprio perché non ne ha. C’è sempre chi prende senza chiedere e pretende con arroganza quando si sente rispondere un no, e chi dona senza nemmeno accorgersi, che non sa nemmeno di aver dovuto rinunciare a qualcosa, chi si illude di non essere razzista perché fa beneficienza e chi vive il razzismo sulla propria pelle tutti i giorni a causa di un sistema creato per tagliare fuori intere categorie.

Anche qui, come in I nostri Cuori perduti, è centrale il ruolo dell’artista. L’arte vissuta come fenomeno dirompente e scomodo, non come fenomeno estetico adatto a essere esposto in salotto. L’arte serve a mostrare, non a essere mostrata. È uno specchio per chi siamo davvero che ci restituisce la nostra immagine per come è, non come vorremmo che fosse.

Tanti piccoli Fuochi è un’infinità scala di grigi, è un libro che racconta una storia di ordinaria follia da osservare con la lente d’ingrandimento per coglierne le idiosincrasie. Celeste Ng critica senza giudicare, mostra senza prenderti per mano e non si prende la responsabilità di digerire il testo per chi lo legge. La sua bellezza consiste proprio nel fatto che dica “arrangiati, pensa quello che ti pare” e nel farlo sia di una delicatezza impossibile da descrivere in una recensione e impossibile da imitare. 

Apprendista cercasi

Titolo: Apprendista cercasi Titolo originale: Apprentice to the villain Autrice: Hannah Nicole Maehrer Traduttrici: Cecilia Pirovano & ...