sabato 29 luglio 2023

Scholomance - La Cerchia d’Oro

Buongiorno, amori miei! La stesura di questa recensione è stata una vera maratona, quindi cominciamo subito dopo aver ringraziato Francesca per aver organizzato l’evento dedicato a questo libro e la casa editrice per averci fornito il file in anteprima. 


  • Titolo: Scholomance - La Cerchia d’Oro
  • Titolo originale: Scholomance - The golden Enclaves
  • Autrice: Naomi Novik
  • Traduttrice: Simona Brogli
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804731627
  • Casa editrice: Mondadori
Trama


Non ero più alla Scholomance. Avevo liberato gli studenti e imprigionato tutti i nefasti al posto nostro, dopodiché avevo separato la scuola dal mondo con quei mostri famelici stipati dentro, destinandoli a un eterno sgranocchiarsi reciproco. Ora, quindi, potevo dormire senza pensieri, fare qualsiasi cosa e andare in qualsiasi luogo volessi. Ed era lo stesso per chiunque altro, dall'ultimo ragazzino che avevo guidato fuori dalla Scholomance a tutti quelli che non avrebbero mai dovuto frequentarla. Fatta eccezione per Orion, scomparso nell'oscurità. Fuggire dalla Scholomance sembrava un sogno impossibile, invece, in qualche modo, si è avverato per El e i suoi compagni di classe, anche se alla ragazza è costato molto caro. Oltretutto il mondo non è affatto diventato un posto sicuro per tutti i maghi, anzi. La pace e l'armonia sono ancora un traguardo lontano per le cerchie di ogni Paese. Perché qualcuno ha raccolto il progetto di distruggerle una volta per tutte e lo sta portando avanti con fermezza. A questo punto, dopo tanta fatica fatta per uscirne, l'unica soluzione per El sembra proprio tornare indietro, trovare un modo cioè per rientrarci, alla Scholomance.


Recensione e commento


Prima di stendere la bozza della recensione che state leggendo sono andata a rivedere quelle dei due libri precedenti (le trovate qui) per vedere quale fosse nel dettaglio il mio parere. Ora che sono alla fine del viaggio posso dire una sola cosa. Naomi Novik è un genio.
Il mio parere sul primo romanzo, Scholomance, era molto tiepido, quasi neurale, tanto che avevo inserito questo titolo tra quelli dei libri che mi sono piaciuti ma che non rileggerei. Invece ora, dopo aver concluso la trilogia, so che ci vorrò tornare un giorno. Ma andando con ordine, provo a raccontarvi perché. 

Ho già detto varie volte che la trilogia di Deadly Education non è un romanzo pigliatutti e lo ribadisco: mentre leggevo mi capitava di pensare che El, la protagonista, fosse simile a Greta Thumberg: non per questioni ideologiche, ma perché è impossibile non avere un’opinione su di lei, nel bene o nel male non vi dimenticherete mai di lei una volta chiuso il libro. Per me personalmente è stato un piacere ritrovarla qui, con una psicologia sempre coerente e in linea con quella che già abbiamo visto nei due libri precedenti, sempre sarcastica e pungente, arrabbiatissima come solo un’adolescente può essere (questo in particolare è il tratto della sua personalità che ho trovato più credibile. Io da adolescente ero SEMPRE arrabbiata e come me tantissime ragazze che conoscevo. Altro che protagoniste ya naïve). El, però, non è il solo motivo per il quale la serie di Scholomance potrebbe non fare al caso vostro: per quanto in questo terzo libro ci sia più azione, è comunque vero che per arrivarci bisogna passare per i lunghissimi passaggi di infodump che riguardano il sistema magico, il quale ci viene raccontato in ogni singolo dettaglio, ogni singolo incantesimo e ogni brandello di sortilegio vengono sviscerati anche per pagine e pagine, la qual cosa a mio gusto personale va bene così (nel caso di questa serie nello specifico, ma non vale universalmente) anche perché Naomi Novik riesce a rendere le spiegazioni colloquiali, una conversazione tra El e chi legge.

Ma qui arriva quello che a mio avviso è un rischiosissimo colpo di genio da parte dell’autrice: il fatto che ci abbia raccontato il sistema magico in modo maniacale, così nel dettaglio, in modo ossessivo nei primi due volumi serve per fare in modo che la società creata all’interno della storia sia interpretabile alla luce del sistema magico senza che la voce narrante debba imboccare chi legge. Non so se mi sono spiegata adeguatamente, ma riprovo: il sistema magico nei primi due libri era TUTTO e ci è stato presentato in modo così dettagliato che le implicazioni del suo funzionamento nella società ci appaiono così ovvie che l’autrice non ha bisogno di spiegarci cosa dobbiamo pensare di una determinata dinamica perché ci ha fornito degli strumenti infallibili per arrangiarci da noi. E io apprezzo. Se c’è qualcosa che mi rende indigesto un libro è l’ingerenza della voce narrante in come io debba interpretare quello che leggo, voglio essere lasciata libera di formarmi la mia opinione in base a quello che mi è stato detto, senza essere imboccata e Novik riesce nell’intento. In modo contorto e rischioso, ma ci riesce. Rischioso perché la struttura della trilogia è fatta al contrario, perché è come se prima ci raccontasse i principi filosofici su cui si fonda una società e soltanto dopo ci portasse a viverci dentro. Insomma, soltanto alla fine avremo gli strumenti per valutare a posteriori elementi che si presentano nel primo o nel secondo libro. In questo modo, però, Novik ha sicuramente scremato tantissimo il pubblico, poiché il primo volume non era particolarmente accattivante, e moltissime persone si saranno scoraggiate nell’attesa che lei venisse al punto qui, nel terzo libro. Io mi vanto di essere una persona paziente e sono contenta di aver perseverato nella lettura di questa trilogia che per me è andata in crescendo, anche se in modo poco canonico (adoro!), forse perché sono una persona che ama essere stupita, e ho infatti apprezzato che anche gli eventi prevedibili fossero collocati in una posizione tale da renderli interessanti e verosimili, magari in punti della storia non centrali. 

E quale sarebbe il punto, alla fine della fiera? Sono un sacco, i punti, tanto che sembriamo nella settimana enigmistica e se li uniamo viene fuori il disegnino di un animaletto, che in questo caso è un fauciomaco. Tanto per cominciare, la società magica è uno specchio della nostra, con le solite dinamiche di potere e quant’altro, solo che a volte per vedere i nostri problemi abbiamo bisogno di analizzarli in modo astratto e il fantasy aiuta moltissimo in questo. In La Cerchia d’Oro troviamo una condensazione del capitalismo individualista: ognuno per sé, decenni spesi a lavorare come schiavi per avere il minimo indispensabile per sopravvivere e anche quando ci si trova dalla parte fortunata del mondo ce la si racconta come se fosse una gran bella cosa avere a mala pena di che mangiare, un tetto sulla testa e poche ore per dormire prima di tornare al lavoro. Allo stesso tempo, ci si trova in un momento storico in cui si comincia a comprendere che un sistema di questo tipo non è sostenibile e ha delle conseguenze, ma come al solito, la parte potente del mondo non si assume la responsabilità di aver sfruttato i deboli e anzi, impedisce loro di raggiungere un livello di benessere anche vagamente simile ricorrendo agli stessi metodi usati da loro secoli prima, perché sarebbe globalmente troppo pericoloso. Insomma, tutti pensano sempre di meritare di meglio, ma nessuno è mai disposto rinunciare anche soltanto a un brandello di privilegio e il mondo individualista che ci era stato presentato alla Scholomance, una scuola esclusivamente finalizzata al creare competenze spendibili sul mercato del lavoro magico e non alla creazione di persone complete sotto ogni punto di vista, qui arriva all’ennesima potenza e ci mostra tutte le esasperazioni di un mondo che è come una coperta che viene tirata troppo da una parte o dall’altra. La protagonista nell’arco della serie recrimina più volte a sua madre di non aver mai voluto far parte di una cerchia che sarebbe stata in grado di tenerle entrambe al sicuro, ma con il progredire della storia non solo El comprende le ragioni di sua madre, una donna gentile, mai oppressiva, che le lascia spazio per crescere, esprimersi e ribellarsi, ma arriva anche a stimarla e condividere la sua opinione: non è mai giusto venir meno ai propri principi in nome di ciò che fa più comodo così come non è giusto sacrificare i figli altrui per salvare i propri.
Per cui si comincia la costruzione di un mondo diverso, più giusto ed equo, tuttavia anche in questo caso in modo disilluso e senza idealismo, perché la distruzione dello status quo è sì inevitabilmente giusta sul lungo termine, ma come ogni crisi che si rispetti crea dei disastri inenarrabili alle vite di chi lo vive sul momento, richiede un’enorme fatica e soprattutto è molto complesso smantellare un qualsiasi sistema che per quanto disfunzionale sta comunque marciando: rimuovere uno solo dei suoi ingranaggi rischia di far crollare l’intero castello di carte, anche se si regge sul nulla. Insomma, Naomi Novik ha usato un sistema magico manualisticamente dettagliato per sbatterci in faccia le conseguenze del colonialismo (soprattutto quello inglese), l’ipocrisia di un’istruzione elitaria basata sulla competitività e una società che racconta di quanto ti stia proteggendo mentre è lei stessa ad aver creato i mostri che ti divorano. 

Quindi, nonostante El sia una protagonista sempre arrabbiata che potrebbe addirittura meritare il vostro disprezzo e nonostante la brutalità di un mondo che letteralmente può mangiarti, ho percepito la saga di Scholomance nel suo complesso come un inno alla gentilezza, al guardare le cose che riteniamo normali da un’altra prospettiva e renderci conto che sono sbagliate, dopodiché smettere di farcele andare bene solo perché ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. 

Forse avrete capito che Scholomance come serie mi è piacuta tantissimo, ma non la consiglio tout court, dovete tentare e vedere se faccia al caso vostro. Per me vale la pena provare e vi invito ad andare a vedere le recensioni delle altre donzelle affinché possiate avere gli elementi per valutare se imbarcarvi in questa lettura fortemente politica e divisiva. 

Se avete letto l’articolo fino a qui veramente chapeau, vi voglio bene, grazie mille 💜

mercoledì 26 luglio 2023

E non vissero per sempre felici e contenti

Ciao, bellezze! Oggi si parla di un libro chiacchieratissimo. Ringrazio Rizzoli per la copia omaggio e come al solito, bando alle ciance.

  • Titolo: E non vissero per sempre felici e contenti
  • Titolo originale: The Ballad of neverafter
  • Autrice: Stephanie Garber
  • Traduttrice: Maria Concetta Scotto di Santillo
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788817178396
  • Casa ed trice: Rizzoli
Trama


Dopo che Jack la tradisce, Evangeline Volpe giura che non si fiderà mai più di lui. E ora che ha scoperto la sua magia, può anche risolvere le situazioni rimaste in sospeso, e anche riscattare la possibilità di un lieto fine che Jack le aveva portato via. Ma deve continuare a fare i conti con la profezia che la condanna a essere la «chiave» capace di aprire il leggendario Arco del Valory. Eve si intestardisce a fare tutto da sola, ma deve rassegnarsi: non può. L’aiuto di Jacks le è necessario ma, al tempo stesso, questo aiuto diventa sempre più disinteressato. Man mano che i due si conoscono meglio, e si conoscono davvero, l’attrazione che li ha sempre, in fondo, legati, diventa sempre più forte e meno difficile da negare. Quali che fossero gli obiettivi di partenza di Jacks alla fine – e senza l’ausilio di alcuna magia – si riducono a uno solo, a inseguire la possibilità concreta di una felicità insieme a Eve. Il destino però, o meglio il Tempo, pare decidere diversamente. Insieme, dovranno combattere vecchi amici, nuovi nemici, e una magia che gioca con testa e cuore. Evangeline si è sempre fidata del suo cuore, ma questa volta non sa se può farlo…


Recensione e commento

E non vissero per sempre felici e contenti è uno dei sequel che aspettavo con maggiore trepidazione quest’anno: il suo predecessore, C’era una volta un Cuore spezzato, mi aveva fatta ridere di gusto e mi aveva colpita per la sua capacità di filare via senza scossoni di insensatezza, ma caratterizzato per una leggerezza che è difficile da ottenere. 

Nella mia testa Apollo e Federico Fashonstyle
sono la stessa persona,
hanno lo stesso gusto sobrio nel vestire
A mio parere, scrivere un libro leggero, di quelli che facciano staccare la spina e conventano di evadere dalla realtà, non è per nulla semplice e a mio avviso Stephanie Garber non è riuscita a bissare il successo del primo libro della nuova serie ambientata nel mondo di Caraval. Fra i miei contatti e fra le blogger che seguo io sono una voce molto fuori dal coro, ma sono stati tanti gli elementi a farmi storcere il naso e a rendermi questa lettura meno godibile di quello che mi aspettavo. Tanto per cominciare, manca completamente la vena comica che tanto avevano apprezzato in C’era una volta un Cuore spezzato. Lì i personaggi di Luc e Apollo erano delle drama queen che avrei visto bene sul palcoscenico assieme a Elton John, mentre qui perdono la loro verve e la loro patina scintillante. Il ritmo, poi, non è serratissimo, come lo era nel libro precedente, poiché l’azione si concentra solo all’inizio e alla fine, mentre tutta la parte centrale è praticamente scevra di eventi e si focalizza su una quest che ha degli esiti banali e poco verosimili per la facilità con cui viene portata a termine, un po’ come se l’autrice, per compensare il tirarla troppo per le lunghe nei libri della saga precedente, qua tenda invece a tagliare corto anche dove dovrebbe dilungarsi. 

Immagini che puoi sentire
Ma l’elemento che veramente non sopporto più e al quale vorrei dire basta una volta per tutte è il continuo forzare o bypassare il consenso. Vorrei che una volta e per sempre il fatto che succeda qualcosa alla protagonista (o anche solo che si abbia il sospetto possa essere successo) mentre si trova in stato di incoscienza venisse problematicizzato e non romanticizzato. Evangeline che si sveglia un giorno con la sottoveste alzata e dice “whatever” non è verosimile e mi ha fatto venire i brividi, perché ho delle amiche alle quali è successo e sono finite prima in ospedale e poi in terapia. Così come non è assolutamente accettabile che il coprotagonista maschile si permetta di allungare le mani senza il consenso della ragazza in questione, fingendo che il contatto sia accidentale. Sono troppo vecchia per trovare queste cose accettabili con la scusa che “tanto lei è attratta da lui”: è un concetto sbagliato che mi disturba molto ed è proprio il dover pensare a questo tipo di cose durante la lettura che me l’ha resa meno godibile e mi ha impedito di fare il tifo per la ship. Alla mia veneranda età vorrei più storie sane e meno maschi gelosi che braccano le donzelle e minacciano di morte ogni potenziale rivale. Non mi viene neanche più da arrabbiarmi, ormai alzo solo gli occhi al cielo.

La focalizzazione sulla storia d’amore a scapito della verosimiglianza e della costruzione di tutto il resto, ha contribuito anche a un declino nella psicologia di Evangeline, che nel primo libro mi era piaciuta molto: da estroversa, attiva e sognatrice, qua diventa un po’ statica e credulona, anche un po’ in balia dei suoi ormoni a scapito della razionalità che aveva mostrato. Un vero peccato, perché mi è sembrato un appiattimento e una regressione rispetto alle sue potenzialità, un po’ come se fosse diventata intercambiabile con qualsiasi altra protagonista overpowered di questo periodo.

La copertina del terzo libro 
“Fra, ma quindi non ti è piaciuto nulla?”. Dai, non esageriamo, non è assolutamente tutto da buttare. Il fatto che io abbia trovato E non vissero felici e contenti un po’ sottotono rispetto al libro precedente, non significa che non mi sia piaciuto nulla. Ormai sapete che tendo a concentrarmi sulle cose negative, ma del resto è una caratteristica del cervello umano! Ci sono diverse cose che mi sono piaciute, per me l’ambientazione è sempre il punto di forza: per quanto non sia pienamente sfruttata, è proprio la parte che mi ha consentito di vivere la lettura in modo escapista. La descrizione dei luoghi, degli oggetti magici, di tutto ciò che è insolito, mostra quanto l’immaginazione di Stephanie Garber possa essere sconfinata e in grado di proiettarci in un mondo tutto nuovo. Sarebbe bello se tutta questa inventiva si applicasse anche alla gestione dei rapporti umani, che invece, come già detto, sono un po’ la solita solfa. In questo senso, da Garber mi aspetto molto di più, proprio perché dimostra di saperlo fare: l’immaginazione di mondi nuovi non dovrebbe essere prerogativa dei luoghi, ma dovrebbe riguardare anche una diversa gestione dei rapporti interpersonali, che possono essere vari e ampi e non devono ricalcare le dinamiche tossiche del mondo primario.

E non vissero felici e contenti è un romanzo che si legge in pochissimo tempo, ma che soffre un po’ della sindrome del libro di mezzo a causa dei difetti che lo fanno rallentare e perdere di quelle leggerezza che mi serviva in questo periodo. Il finale tiene con il fiato sospeso e fa ben sperare per il capitolo conclusivo, auspicando che Garber non si perda un’altra volta.

venerdì 21 luglio 2023

Lavinia

  • Titolo: Lavinia
  • Titolo originale: Lavinia
  • Autrice: Ursula K. Le Guin
  • Traduttrici: Natascia Pennacchietti e Costanza Rodotà
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788879070980
  • Casa editrice: Cavallo di ferro
Trama


In omaggio all'Eneide di Virgilio, Ursula K. Le Guin dà voce a un personaggio silenzioso e minore del poema: la principessa Lavinia, moglie italica dell'eroe troiano Enea. Ed è proprio attraverso il racconto della giovane, stavolta protagonista e artefice del suo destino, che ripercorriamo gli ultimi libri dell'opera virgiliana, guardandoli da un diverso punto di vista. Lungo un filo tutto nuovo che congiunge fra loro i pochi cenni a Lavinia nell'Eneide l'autrice narra l'infanzia e l'adolescenza di questa ragazza nell'idillico mondo preromano, il turbamento di fronte alla scelta dei pretendenti alla sua mano, l'arrivo del valoroso straniero secondo quanto annunciato da un oracolo, e poi la guerra. Prorompendo dagli stretti confini che le ha imposto Virgilio, la principessa Lavinia del Lazio si muterà a sua volta in un'eroina, nell'emblema di una forza che non è solo violenza e armi, e si farà delicata portavoce del diritto all'autodeterminazione.


Recensione e commento

Non so veramente cosa dire. Lavinia è uno di quei (pochi) libri che sono riuscita a leggere senza pensare a nulla se non alla storia che contengono. I libri che mi hanno fatto quest’effetto si possono contare sulle dita di una mano e sono quelli in cui il lato tecnico è talmente elevato senza avere bisogno di sforzarsi e di pavoneggiarsi da mettersi completamente al servizio del messaggio di fondo: tecnica e contenuto non solo vanno di pari passo, ma si amalgamano.

Ursula del mio cuor

Inoltre, Lavinia è il primo retelling mitologico in grado di soddisfarmi. In quelli scritti in questi ultimi anni, la figura mitologica di riferimento è trattata spesso e volentieri come vittima delle circostanze, banderuola nelle mani del destino di cui le persone brutte, sporche e cattive si approfittano. Ecco, Lavinia no. Lavinia agisce all’interno di un ruolo socialmente rigido, è vero, ma all’interno di quel ruolo è pienamente padrona di sé stessa ed è una protagonista attiva che ha ben chiaro il concetto di pietas e mai accetta di venir meno al suo dovere neanche davanti alle prepotenze di chi sta, in linea teorica, più in alto di lei. Le sue fasi della vita, da bambina a fanciulla, da fanciulla a moglie, da moglie a madre e da madre a vedova sono tutte pienamente vissute fino in fondo, da parte sua non ci sono piagnistei nemmeno nei momenti di profondissimo dolore, la sua sofferenza è sempre vissuta al massimo esattamente come la gioia, in modo lucido, con una saggezza, una maturità emotiva e tridimensionale che a molte protagoniste oggi manca.

Lo stesso Enea non è il solito marito possessivo privo di empatia e tronfio nel proprio ruolo, quanto un uomo ritratto nella sua mitezza quotidiana, quando non è mostrato nella furia per la quale era famoso in battaglia. Un eroe noto per la sua incrollabile pietas e un degno compagno per una donna sensibile come Lavinia. Non è, insomma, il classico uomo che non deve chiedere mai impegnato a spadroneggiare su tutto quello che ritiene suo, ma piuttosto un essere umano pieno di dubbi, riflessivo e saggio che ha a tratti bisogno di essere sostenuto da Lavinia, la quale non è una donzella indifesa né un trofeo: è una donna spiritualmente centrata alla quale rivolgersi nei momenti di crisi. 

Con pochissime parole e con una poetica chiarezza di pensiero Ursula K. Le Guin è riuscita a ritrarre in modo vivido e realistico una figura mitologica della quale non ci è pervenuto tantissimo, poiché appare nell’Eneide solo marginalmente e quasi tutto quello che sappiamo di lei è stato scritto da Tito Livio, per cui l’autrice ha potuto inventare la sua voce quasi da zero, pur non ricorrendo mai a lunghe spiegazioni. Le Guin ha voluto dare voce a una donna che fino a questo punto è stata una comparsa, offrire una scelta a colei che è stata ritratta come causa involontaria, ma mai la narratrice si fa carico del compito di educare chi legge. Lavina non è un libro didattico e non ci saranno gli spiegoni lunghi e prolissi che tanto mi danno fastidio quando le autrici americane cercano di insegnarmi qualcosa che ho abbondantemente studiato a scuola. Sono molte le scene di vita quotidiana in cui vengono raccontate le attività femminili; la guerra, infatti, è qualcosa che Lavinia conosce marginalmente, per sentito dire o perché vede le cose dall’alto, poiché non può viverle in prima persona.

La maestria di Le Guin si spinge al punto da riuscire a integrare anche Virgilio, figura che le consente di citare marginalmente anche Dante. Lavinia, nella finzione letteraria, è consapevole di essere una figura a cui è stata data vita solo tramite le parole del poeta, che, quasi per ironia della sorte, subisce la pena del contrappasso dantesco e non viene mai nominato, come le anime del limbo a cui lui stesso appartiene. Il suo nome viene detto esplicitamente una sola volta in posizione di sostantivo inteso come sinonimo di “guida” e personalmente ho trovato geniale l’intera gestione della figura del poeta, del dialogo con la protagonista, di come lei stessa fosse consapevole di essere una figura letteraria e di come Virgilio sarebbe stato guida di qualcun altro dopo di lei. È attraverso tutte queste piccole sottigliezze che l’autrice riesce a dimostrare la sua eleganza letteraria: è evidente che dietro quest’opera, come ogni altra uscita dalla sua penna, ci sia uno studio matto e disperatissimo, ma lei non ha alcun bisogno di farne sfoggio perché riesce a metterlo al servizio della storia che sta narrando senza alcun bisogno di pavoneggiarsi.

Lavinia è un titolo che avrei sottolineato dalla prima all’ultima riga, ho consumato un intero blocco di segnapagina per evidenziare i miei passaggi preferiti: quelli in cui ho ritrovato la me stessa di oggi o quella che sono stata o che sarò domani. Le parole di Le Guin hanno una potenza emotiva che riesce sempre a scuotermi e ad aprire una breccia nella mia anima, come se sapesse sempre quale tasto toccare, con delicatezza e fermezza. È un romanzo che è al tempo stesso scivolato via velocissimo e mi è rimasto dentro in modo permanente ed è il motivo per cui ho voluto parlarne, dato che non mi sento degna di recensire Le Guin. Non ho mai letto un retelling mitologico che anche soltanto vi si avvicinasse per qualità. Ve lo consiglio specialmente se avete già delle nozioni di epica, perché non è sicuramente un libro didascalico, ma sono sicura che potrete trovare in questo testo qualcosa che vi rappresenti anche qualora non abbiate mai approfondito il tema. 


giovedì 20 luglio 2023

Beasts & Beauty - Fiabe pericolose

Buongiorno, bellezze! Grazie di essere passate a trovarmi qui sul blog oggi, per questa muova recensione per la quale devo ringraziare Ambra per aver organizzato e l’editore per aver fornito l’omaggio del libro.


  • Titolo: Beasts & Beauty - Fiabe pericolose
  • Titolo originale: Beasts & Beauty - dangerous Tales
  • Autore: Soman Chainani
  • Traduttrice: Alessandra Guidoni
  • Illustratrice: Julia Iredale
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804751922
  • Casa editrice: Mondadori

Trama

La Bella che combatte come la Bestia, Cappuccetto Rosso che inganna e uccide il lupo, Raperonzolo che rifiuta il principe per restare nella torre, Jack che non si arrende al suo destino e va in cerca dell'amore, Wendy che cresce e abbandona l'Isola che non c'è: dodici fiabe, dodici racconti intrecciati di magia, mistero e ribellione. Storie pericolose che svelano verità inesplorate, lontane dalle regole del lieto fine. Dimenticate le fiabe che avete sempre letto e preparatevi a immergervi nel lato oscuro di ognuno di noi. Età di lettura: da 11 anni.


Recensione e commento 

 La cosa bella dei racconti è che, poiché lo spazio fisico che occupano è minore di quello dei romanzi, paradossalmente, o forse non così tanto, è maggiore lo spazio che possono occupare dentro di noi a lettura finita.

L’altra opera dell’autore, 
 a cui fa riferimento uno dei racconti

Beasts & Beauty non fa eccezione: alcuni dei racconti che contiene sono destinati a rispecchiarsi più di altri, che magari possiamo trovare incomprensibili o non adatti alla nostra specifica sensibilità, o potrebbero esserci indifferenti, ma quel che è certo è che ne troveremo almeno uno che parla al nostro cuore.

Non voglio dilungarmi nel recensire i racconti singolarmente e so che questo articolo verrà un po’ più corto del solito, preferisco parlarne in linea generale per non fare spoiler, ma posso dirvi che le storie che contiene sono quelle più conosciute, da Cappuccetto rosso, a Peter Pan, da Cenerentola a La Sirenetta, ma non nella versione disneyana che ci è stata accostata durante l’infanzia. È una versione più oscura, più spietata, che ricalca sicuramente la crudezza dei Fratelli Grimm, ma in una chiave un po’ più moderna, quasi verosimile nella tridimensionalità che viene attribuita alle voci protagoniste e agli interessanti ribaltamenti dei rapporti interpersonali. 

Molti di questi racconti contengono degli argomenti trigger, ma pur tenendo fermo questo punto, mi sento di dire che questo libro scorrevole sia adatto a una lettura disimpegnata ma che lasci comunque qualcosa a fine lettura. 

lunedì 17 luglio 2023

Starling House

  • Titolo: Starling House
  • Lingua: inglese
  • Autrice: Alix E. Harrow
  • Casa editrice: Tor Books
  • Codice ISBN: 9781250799050
  • Data di uscita: 3 ottobre 2023
  • Ringrazio l’editore per la copia digitale omaggio in anteprima
Trama


Opal is a lot of things--orphan, high school dropout, full-time cynic and part-time cashier--but above all, she's a determined to find a better life for her younger brother Jasper. One that gets them out of Eden, Kentucky, a town remarkable for only two things: 

1) a surprising amount of unexplained bad luck and natural disasters

2) the only known sightings of E. (Eleanor) Starling, a reclusive nineteenth-century author whose only published book, The Underland, was considered almost as shocking as the author’s later mysterious disappearance. 

But Starling left behind one other thing: the imposing house that bears her name. Everyone agrees that it’s best to ignore the uncanny mansion, and its misanthropic heir, Arthur . Almost everyone, anyway..

I should be scared, but in the dream I don’t hesitate.

Opal knows better than to mess with haunted houses or brooding men, but still can't resist a chance to see inside Starling House. So when an unexpected opportunityunexpected opportunity arises, she jumps at it. Besides, it means double the money to put towards her brother’s escape fund.

But sinister forces are digging deeper into the buried secrets of Starling House, and Arthur’s own nightmares have become far too real. As Eden itself seems to be drowning in its own ghosts, Opal realizes that she might finally have found a reason to stick around. 

In my dream, I’m home.

And now she’ll have to fight.


Recensione e commento

Starling House ha un sacco di difetti, non ha una grande trama e tecnicamente parlando è il romanzo più debole di Alix E. Harrow. E l’ho amato completamente.

Ma andiamo con ordine. La protagonista è Opal, per una volta non una ragazza adolescente bella impossibile ma con gli specchi di legno, anzi, Opal è una donna di 26 anni con i denti marci, il mento troppo appuntito e il suo aspetto esteriore nella media è uno dei motivi per i quali è automatico provare empatia per lei. Allo stesso tempo, Alix Harrow, da buona insegnante di Storia, è bravissima a cristallizzare i problemi di una generazione nel suo contesto: in Le Diecimila Porte di January si trattava dei problemi di passaggio tra un’epoca e un’altra, in Le Streghe in Eterno di capitalismo, lotta di classe e di genere. Qui abbiamo i problemi dei cosiddetti “millennial”, un’intera generazione senza prospettive sul lungo termine, senza stabilità e senza futuro, che riesce a malapena a sbarcare il lunario con dei lavori sottopagati, che ha smesso di avere dei sogni perché non ha la possibilità di realizzarli, così come non ha un posto da poter realmente chiamare casa, perché non esiste un luogo da sentire totalmente proprio. Una generazione che deve preoccuparsi di quello che è necessario, mai di quello che vuole, perché quelle precedenti hanno divorato tutto, sacrificato il futuro di chi sarebbe venuto dopo per il proprio tornaconto personale e per accumulare una ricchezza che oggi segna un enorme divario tra ricchi e poveri, avvelenando il mondo senza farsi troppi scrupoli. Harrow non ha risparmiato critiche al capitalismo, elemento che è particolarmente apprezzabile da parte di un’autrice americana. Insomma, Starling House ha toccato dei tasti abbastanza dolenti della mia anima e lo ha fatto spietatamente, senza fare sconti. 

Il problema di Opal non è comprendere se il bel tenebroso di turno ricambi i suoi sentimenti o meno, ma trovare un modo per finanziare i costosi studi di suo fratello minore. I suoi denti marci sono il sintomo di un Paese (gli Stati Uniti) in cui non ci si può permettere nemmeno di avere delle cure mediche decenti, in cui tutto deve passare in secondo piano per poter a mala pena stare a galla. Da qui iniziano i passaggi simbolici e metaforici ai quali Alix Harrow ci ha abituate, perché il sogno di un posto da chiamare casa diventa vero e proprio viaggio onirico quasi ossessivo, così come il tenersi a galla nella vita prende un significato letterale quando Opal ci racconta dell’incidente stradale in cui è finita nel fiume, quando è quasi morta. Ci sono anche altre stratificazioni di significato attraverso il consueto uso dei simboli dell’autrice (ci sono piante rampicanti note per aggrapparsi a qualsiasi cosa e per la loro tenacia, uccelli famosi per la loro capacità di adattamento, ma non starò qui a tediarvi, voi ci vedrete quello che vorrete).

E poi c’è la casa in sé. Un organismo vivo, che cambia forma, in grado di attrarre a sé la persona designata a diventarne guardiana e che in qualche modo porta i segni delle generazioni precedenti che l’hanno resa ciò che è, nel bene e nel male. È intuibile da titolo che il nucleo della narrazione sarà proprio lei. È il simbolo del passato che ci influenza e che si manifesta fisicamente nel presente con degli effetti a catena, con i suoi fantasmi e demoni. Un po’ come ne Il Giardino Segreto, anche qui il prendersi cura della casa è indice dell’inizio di un processo di guarigione interiore, ma che al tempo stesso contiene le stesse cose che consumano un’anima dall’interno.

Insomma, mi conoscete, datemi una catabasi e sono perdutamente vostra (semicit). Infatti, sul finale è necessario scendere fino alle fondamenta della casa, più in profondità possibile, per fare pace con il proprio passato, ma anche con quello delle proprie antenate, perdonare noi stesse e loro, perché anche le loro azioni ci hanno rese chi siamo per via di come ci hanno lasciato il mondo. Serve una guarigione completa dal trauma generazionale, un dolore che, quasi come i geni, viene tramandato alla propria stirpe. Alla fine, dentro ognuna di noi, alla base di qualsiasi azione, c’è solo una ragazzina ferita, fraintesa, che vuole solo un po’ di comprensione, vuole solo giustizia, per poter guarire e smettere di ferire a propria volta, cessando di avvelenare tutto. Nessuna di noi è una sola cosa: non siamo solo vittime e non siamo solo carnefici, una cosa può amalgamarsi nell’altra e ognuna di noi sta combattendo contro qualcosa che non è visibile dall’esterno.

Emotivamente è un romanzo che ho trovato ineccepibile, però per deontologia mi sembra giusto dirvi
anche i difetti. Per quanto il suo incipit e il tema centrale mi abbiano ricordato il mio adoratissimo Il Mare senza Stelle, Starling House ha dei problemini di struttura: tanto per cominciare c’è un’alternanza di due pov che ho trovato poco sensata. I capitoli da parte di Opal sono in prima persona singolare, quelli da parte di Arthur sono in terza persona e sono molto saltuari. Ho trovato questa divisione poco funzionale e non molto efficace. Inoltre, in alcune parti del libro ci sono delle note a piè di pagina, un po’ come in Le Diecimila Porte di January, che però si diradano via via e da un certo punto del libro in poi sono totalmente assenti. La parte fantasy, poi, appare solo dalla seconda metà del romanzo in poi, mentre per tutta la prima metà viene solo fatta intuire. Non sono sicura che questo sia un oggettivo difetto, ma di sicuro vi servirà per decidere se buttarvi su questa lettura, che potrebbe non fare al caso vostro in un periodo in cui avete voglia di un sistema magico caratterizzato e complesso.

A conti fatti, penso che questa volta Harrow abbia voluto concentrarsi maggiormente sulla sfera emotiva e scrivere un libro meno cervellotico e tecnico. Starling House è un libro che vi comprenderà e nonostante questo vi prenderà a calci, mi ha emozionata tantissimo ed è uno dei pochissimi romanzi a essere riuscito a farmi dimenticare di pensare troppo. 

mercoledì 12 luglio 2023

Le Navi di Ossa

Ciao, bellezze! Sono contenta di portarvi finalmente la recensione di Le Navi di Ossa. Ringrazio tantissimo l’editore per la copia omaggio e senza ulteriori indugi apriamo le danze.

  • Titolo: Le Navi di Ossa
  • Titolo originale: The Bone Ships
  • Autore: R.J. Barker
  • Traduttore: Francesco Vitellini
  • Illustratore: Tom Parker
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788882375102
  • Casa editrice: Elara & Odoya
Trama


Da secoli le Isole Gaunt e le Cento Isole si combattono in una guerra senza tregua, scontrandosi nei vasti mari dell’Arcipelago Sparso su antichissime navi costruite con le ossa di draghi marini ormai estinti. I motivi di quell’ostilità si perdono nel passato più remoto, dove storia e leggenda si intrecciano. Joron Twiner non ha il privilegio di servire su una candida nave della flotta: per aver sfidato in duello l’assassino del padre, un umile pescatore, è stato condannato a solcare i mari a bordo del Tide Child, una nave nera, una nave dei morti. Al comando di altri condannati per vari crimini, Joron affoga nell’alcool l’incapacità, l’umiliazione e la paura che prova. La sua vita cambia quando l'audace e feroce dama di nave “Lucky” Meas reclama il comando del suo Tide Child. Sono entrambi reietti, eppure il fato ha in serbo altro per loro: un arakeesiano, un drago marino considerato estinto da secoli, è stato avvistato in acque lontane. Con un equipaggio di criminali ed emarginati, Meas e Joron si mettono sulle sue tracce: il drago è una preda troppo ghiotta e chiunque lo catturi non otterrà solo la gloria, ma vincerà la guerra. La migliore tradizione piratesca incontra la creatura fantasy per eccellenza, il drago, una creatura non solo magica e misteriosa ma anche una eccezionale macchina da guerra. Tra antiche leggende e flutti impetuosi...


Recensione e commento

Sono ragionevolmente certa che in qualsiasi parte d’Italia viviate, si parlerà di chi abita nel paese vicino più o meno così: “Guarda, non so neanche se discendiamo dalla stessa linea evolutiva…non so nemmeno se siano forme di vita a base di carbonio quelli là, né se siano in grado di emettere dei suoi comprensibili in una lingua conosciuta”. Avete presente, no? La classica rivalità tra Pisa e Livorno, che però è traslabile un po’ ovunque.

Ecco, Le Navi di Ossa praticamente parla di questo, ma in chiave fantastica: si tratta di prendere una faida millenaria tra territori vicini e guardarla da una prospettiva tale da farla sembrare ridicola. I protagonisti della storia sono gli Scartati, gli ultimi, il gradino più basso di una società brutale e spietata che sono considerati talmente abbietti da non meritare nemmeno una condanna a morte normale, per cui vengono mandati su una cosiddetta “nave di morti” (il Tide Child, nel caso specifico) dalla quale potranno scendere solo o cadaveri o tramite un’azione di innegabile eroismo. Questo è l’antefatto, ma quello che succede, a conti fatti, è che non solo un equipaggio di reietti, criminali, alcolisti e quanto di peggiore possiate pensare, lentamente guarisce, si risolleva e acquisisce autostima, ma soprattutto che grazie alla loro missione segreta, scortare l’ultimo drago d’acqua indenne per evitare il protrarsi della guerra, riescono a cambiare prospettiva sui propri pregiudizi. 

Vedete, quando si parla di narrativa inclusiva è facile che la mente vada subito alle tematiche LGBTQI+, che comunque qui hanno un minimo di rappresentazione, ma per quanto mi riguarda essa ha un senso più ampio che abbraccia il raccontare la diversità nella sua totalità, ma soprattutto sovvertire lo schema narrativo per cui il diverso va annientato. E qui mi ricollego alla premessa: sono numerose le parti in cui Joron, il protagonista, si trova a interagire con creature non umanoidi considerate inferiori, disgustose, innaturali (povero stolto! Tutto ciò che esiste è naturale!) e non potendosi sottrarre a quel contatto, tramite un'iniziale forzatura, entra in empatia con chi non aveva mai pensato potesse provare sentimenti. È il caso del gullaime, un esemplare appartenente a una razza di maghi dall’aspetto di uccello in grado di controllare il clima, che nonostante la sua evidente utilità a bordo di una nave è comunque ostracizzato, additato come disgustoso, non senza una sana dose di ipocrisia, dal momento che il suo popolo viene schiavizzato e mutilato dagli esseri umani proprio in virtù della loro utilità. Il gullaime è stato il mio personaggio preferito dell’intero romanzo, è stato impossibile per me non mettermi nei suoi panni e non comprendevo come fosse possibile non farlo per il protagonista, che per fortuna è venuto a più miti consigli e ha un innegabile arco di formazione. 

Anche il drago, generalmente creatura da uccidere posta a guardia di un castello per impedire il salvataggio di una principessa, oppure destriero da cavalcare in battaglia, qui è invece da proteggere e scortare in sicurezza, proprio perché si eviti di versare altro sangue. Lo stesso schema, poi, si ripete anche con gli abitanti delle isole Gaunt con le quali il popolo dei nostri sono in guerra da tempo immemore. Infatti, condurre in salvo il drago d’acqua richiede uno sforzo congiunto che inevitabilmente porta a confrontarsi e conoscersi, superando il reciproco disprezzo.

Tuttavia, non vorrei che pensaste che Le Navi di Ossa sia un libro carino e confettoso dove l’amore vince su tutto e il bene trionfa sul male: ci sono lacrime, sudore e sangue, scene di battaglia e la società in cui si sviluppa la trama è spietata, non esiste compassione, le mutilazioni e le brutalità sono all’ordine del giorno. È una società complessa, profondamente ritualizzata e tuttavia non priva di contraddizioni. Il worldbuilding è sicuramente accurato, eppure alcune cose potrebbero essere disturbanti a seconda della vostra sensibilità, ad esempio, per me lo è stato la costruzione della società matriarcale: non sono sicura di quale sia stato il messaggio di fondo dell’autore, non sono neppure sicura che volesse mandarne uno, ma la crudeltà connessa questo tema, con annessa violenza sui bambini, in certe parti ha rischiato di sopraffarmi. È l’elemento del libro che tutt’ora, a lettura conclusa e sedimentata, faccio fatica a sbrogliare e in effetti ci ho pensato a lungo, giungendo alla conclusione che forse devo prenderla per come è e basta, con le contraddizioni e ipocrisie intrinseche di qualsiasi società.

Le Navi di Ossa è stato l’interessante primo capitolo di una trilogia che spero vada in crescendo. Qui ho assistito alla formazione del protagonista e di chi lo circondava, la conclusione fa tirare un sospiro di sollievo, ma la strada è ancora lunga e spero di poter leggere presto il seguito di questa interessante premessa.

mercoledì 5 luglio 2023

Intervista a Sara Loffredi, autrice di Sete

 Buongiorno, bellezze! Oggi nessuna recensione, ma torno sul blog con un’intervista a una gentilissima autrice di un nuovo libro edito per Rizzoli, che ringrazio per la copia omaggio. Lei è Sara Loffredi, l’autrice della distopia tutta italiana intitolata Sete. Bando alle ciance, andiamo a leggere di cosa abbiamo parlato Sara e io!

  • Titolo: Sete
  • Autrice: Sara Loffredi
  • Codice ISBN: 9788817174275
  • Casa editrice: Rizzoli

Buongiorno, Sara, ti va di presentarti e parlarci un po' di te come persona e autrice?

Ciao, io mi chiamo Sara Loffredi, sono un’autrice e una formatrice. La mia principale occupazione è il progetto Sana e robusta costituzione, in cui rientrano i libri che ho pubblicato per Rizzoli e per il Battello a vapore rivolti alla scuola primaria e secondaria di primo grado. Sono libri come La Costituzione degli animali e Le elezioni degli animali,che raccontano com’è nata la nostra Costituzione e la spiegazione del sistema democratico ai bambini della primaria, e la Casa di Paolo, che invece è un libro per ragazzi su Paolo Borsellino che racconta di un centro per ragazzi creato dal del fratello nella loro casa d’infanzia per salvare i ragazzini dalla strada. Mi occupo dei progetti di Sana e robusta costituzione dal 2019. Prima di quell’anno lavoravo in una casa editrice giuridica, la Giuffré, nella quale ero responsabile di area e in cui mi occupavo delle parole del diritto per i professionisti. Contemporaneamente avevo già pubblicato, avendo esordito nel 2014 con La felicità sta in un altro posto edito Rizzoli, poi nel 2017 Non sarà sempre così di Piemme e nel 2020 Fronte di scavo con Einaudi, che sono invece romanzi per adulti. Nel 2019 ero a cavallo tra queste due vite, perché continuavo a lavorare in una casa editrice giuridica e contemporaneamente avevo già pubblicato. Due vite che cominciavano a essere un pochino in conflitto, non c’era più energia per entrambe, allora nel 2019 ho fatto la scelta di dimettermi e cercare di spiegare le parole dei diritto ai bambini e ai ragazzi, questo per me era centrale, è una delle cose che mi piace di più fare. 

Ciò che mi ha colpito di Sete è stato lo stile ricercatissimo, prima ancora della trama e delle tematiche trattate. Quanto tempo dedichi alla cura della prosa? Hai un processo di scrittura istintivo o più studiato?

Il mio modo di scrivere in altri progetti come La Casa di Paolo è rivolto a ragazzi delle medie e usa un linguaggio diverso, più semplificato e meno ricercato. Qui mi è venuto istintivo alzare un pochino il registro e spero che non sia d’intralcio alla storia, per quanto sia innegabile che lo stile e la storia vadano di pari passo, sono due parti di un solo ingranaggio che per funzionare ha bisogno di entrambi. Spero di aver fatto una scommessa in qualche modo io possa vincere. Sicuramente non è esattamente un libro basico perché ci sono vari livelli di lettura e molti simboli, c’è tutto un mondo che io chiamo Oltre nel libro che ha una parte quasi esoterica e quindi più complessa. Io però mi fido dei lettori, mi fido dei ragazzi, mi fido anche di com’è venuto fuori Sete, le cose vengono fuori con la loro anima e Sete è venuto fuori con la propria. Quindi spero che lo stile non sia un punto debole, ma un punto forte.

Una foto di Sara Loffredi

 Oggi più che mai è importante educare le nuove generazioni all'ecologia e la letteratura è un mezzo potentissimo per riuscirci. Hai scritto Sete con il preciso intento di mandare questo messaggio o quello è venuto da sé mentre la creavi? Insomma, è nato prima l'uovo o la gallina?

Sete è un progetto diverso, nel senso che è un romanzo ambientato nel 2055, in un futuro distopico dove l’acqua è finita e le residue sorgenti sono sotto controllo militare e la poca piovana è raccoglibile ma non scambiabile, per cui fiorisce il mercato nero. In questa distopia ci sono tre ragazzi che provano a trovare una soluzione per salvare la terra e io infatti li chiamo “arcadiani”, proprio perché l’arca ha salvato dal diluvio come loro hanno il compito di salvare la terra dal diluvio asciutto. Sete non rientra in senso stretto nel progetto sulla legalità spiegata ai ragazzi, noi siamo moltitudini, quindi abbiamo tante cose da dire, anche i romanzi per adulti di cui ti parlavo prima hanno tematiche diverse, però Sete in qualche modo ha una radice comune perché il tema della condivisione delle risorse, soprattutto quelle che si faranno scarse come l’acqua, è un tema di educazioni civica e di convivenza civile.  Era fondamentale per me parlare di questa tematica perché gli esseri umani davanti a un bene scarso hanno l’istino di appropriarsene per la salvaguardia della propria vita. Ovviamente siamo una collettività e quindi tutto va visto in quest’ottica, tutti i temi che da sempre agitano la politica sono temi di collettività e secondo me era importante metterlo in mezzo vestendolo con un racconto avventuroso, che facesse di questa tematica qualcosa di puramente narrativo, quindi in questo senso è nato prima l’uovo, anche se le nuove generazioni sono molto più sensibili all’ecologia: mio figlio di dieci anni è molto più sensibile al tema di quanto lo fossi io alla sua età. In questo la scuola e la famiglia hanno un ruolo fondamentale, ma è la società che si sta muovendo perché anche i movimenti ecologisti sono fatti dai giovani, perché il mondo è loro e lo sarà sempre di più, per cui è a loro che io volevo parlare.

Alcune letture trascendono l'età e stupiscono per la loro trasversalità: in quale target vedi meglio Sete, fra i libri per ragazzi o gli ya?

Sete è idealmente rivolto ai ragazzi dai 15-20 anni, ma non andrei molto più in basso. Mi sono chiesta se non avessi fatto un errore a tenere lo stile un pochino alto. Lo vedrei bene in quella fascia di età, soprattutto per via dello stile.

La varietà di personaggi in questa distopia è molto ricca, abbiamo anche un afrodiscendente. La narrazione è fuori dalla spazio e dal tempo o esiste qualche luogo che possiamo riconoscere? 

Non ho avuto il pensiero meditato razionalmente di inserire un personaggio afrodiscendente, però è venuto fuori che c’erano tante diversità tra questi personaggi e che  ognuno di loro aveva una storia e una vita completamente diversa. Ho avuto una sorellina in affido originaria della Costa d’Avorio, per cui mi è venuto spontaneo fare un omaggio a quest’esperienza della mia vita e a lei. Il tempo è molto chiaro, siamo nel 2055, lo spazio è ipoteticamente un mondo senza confini di Stato, nel senso che avendo questa crisi idrica spinta al punto da avere un apparato militare sovranazionale a gestire tutte le residue fonti d’acqua ho immaginato che sia un nord Italia o un sud Europa, ma con delle città che si fondono l’una nell’altra, megalopoli senza soluzione di continuità, territori assolutamente urbanizzati senza avere la campagna in mezzo a dare spazio. 

Esistono altre opere che ti hanno invogliata a trovare la tua voce in questo genere letterario? Hai qualche consiglio di lettura da darci?

Sono tante quelle che mi hanno aiutato a trovare la mia voce. Uno è il mio libro feticcio, Le città invisibili di Italo Calvino che è stracitato all’interno di Sete in tanti punti. È un libro per me fondamentale, ne possiedo una delle prime edizioni, la cui copertina è stata riportata all’interno della trama come citazione. Altro libro fondamentale è La Strada di McCarthy che è il libro nel quale la catastrofe si fa sfondo ma modo di far raccontare una storia che faccia emergere la parte umana nonostante tutto. In La Strada ci sono un padre e un figlio, non sappiamo cosa sia successo perché vivono in un mondo in cui c’è stato un evento catastrofico ignoto che però ha distrutto la civiltà, ma loro cercano di rimanere umani. È un libro sul rimanere comunque umani. Un altro libro che consiglio sempre è Cecità di Saramago, autore che amo molto. Poi, un’altra trilogia che amo è quella di Kent Haruf, ho amato molto il suo stile asciutto a cui cerco sempre di ispirarmi per avere frasi che vadano dritte al punto, in cui ci sia tutto il necessario, ma niente di più, come quando arrivi a scarnificare qualcosa e resta solo il principio fondante.

Domanda un po' scomoda: hai già una tempistica per l'uscita del prossimo titolo? Puoi svelarci qualche dettaglio?

Il primo Sete non finisce davvero perché è stato creato un mondo, sono stati creati dei personaggi, quindi sarebbe molto bello continuare a farli vivere. Vedremo. Non ho la sicurezza di scriverlo, anche perché bisogna vedere che fortuna avrà Sete.

Ci sono altri temi che ti stanno a cuore di cui hai intenzione di scrivere in futuro? 

Sto scrivendo un nuovo libro rivolto a un target adulto a cui mi dedicherò quest’estate; un libro sul corpo, tema che ultimamente mi sta veramente a cuore, del quale vorrei trovare una lettura che ne metta insieme altre, un po’ come i puntini che si uniscono, sia emotiva, sia fisica, sia mentale e che restituisca al corpo il senso che tante volte io ho perso nella mia vita. Secondo me, il corpo è un oggetto scomodo: la nostra mente, la nostra anima è molto più ampia, la corporeità in qualche modo ci limita. Però ovviamente siamo qui fisicamente e il corpo è mezzo e strumento per vivere la vita, le emozioni, le sensazioni, le esperienze. È interessante vedere quanto sia limite e quanto sia possibilità.

Grazie mille di aver accettato di sottoporti a questa piccola intervista, sei stata gentilissima. C'è qualcosa che vorresti aggiungere che magari ho dimenticato di chiederti? 

Figurati, tu sei stata molto gentile. Voglio aggiungere che la scrittura è qualcosa che mi appartiene da sempre e nella quale credo. A volte, come tutte le cose vorrei che le cose fossero più semplici, quando mi confronto con il mondo editoriale. Mi sembra un buon momento per dire che quello che ami profondamente fare ha valore in ogni caso: io scrivo ovviamente per farmi leggere, altrimenti lo farei per me stessa e sarebbe un esercizio legato all’ego e basta. Invece preferisco vivere la scrittura come un dialogo che voglio continuare a sostenere. Vorrei che arrivasse a più persone possibile e secondo me Sete ha questa possibilità, glielo auguro, è una storia che ho amato tanto e che mi ha dato tanto, per la quale ho fatto un passo fuori dalla mia confort zone. Spero di aver vinto la scommessa e anche in caso contrario, io continuerò a scrivere.

lunedì 3 luglio 2023

The Daemoniac

  • Titolo: The Daemoniac
  • Titolo originale: The Daemoniac
  • Autrice: Kat Ross
  • Traduttrice: Jessica Dichiara
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9791280523280
  • Casa editrice: Saga

Trama


Sherlock Holmes incontra X-Files in questo mistero paranormale di Gilded Age! È l’agosto del 1888, appena tre settimane prima che Jack lo Squartatore terrorizzi Whitechapel, un altro assassino si aggira per le strade di New York. La sua opera porta i tratti distintivi di una possessione demoniaca, ma la detective dilettante Harrison Fearing Pell è certa che la sua preda sia un uomo in carne e ossa. E spera di farsi una reputazione risolvendo il bizzarro caso prima che l’uomo che la stampa ha soprannominato Mr. Hyde colpisca ancora. Dallo squallore dei Five Points alle bische d’alta classe del Tenderloin e alle scintillanti dimore della Fifth Avenue, Harry segue le tracce di un killer spietato, scoprendo alcuni imbarazzanti segreti delle più ricche famiglie dell’alta società di New York lungo la strada. Gli omicidi sono un caso di magia nera o un semplice ricatto? E il sentiero porterà più vicino a casa di quanto avesse mai immaginato?


Recensione, commento e approfondimento

Uno dei propositi di quest’anno riguardava leggere più libri di editori indipendenti, per cui sono subito saltata sul treno appena la mia amica Francesca mi ha proposto di partecipare a questo evento, per il quale Saga ha fornito il file in anteprima.

L’elemento che ho maggiormente apprezzato di The Daemoniac riguarda proprio il nucleo della storia: sono state la ricerca del serial killer, la raccolta degli indizi, gli inseguimenti a convincermi. I personaggi coinvolti, con un movente, un’occasione o che semplicemente sembrano sospetti, sono numerosi e ciò contribuisce a rendere la narrazione ritmata, soprattutto sul finale, nel momento in cui il cerchio comincia a stringersi per andare a inchiodare l’assassino. Se proprio devo trovare dei difetti a riguardo, mi viene da dire che i protagonisti siano marginali rispetto alla storia, non sempre psicologicamente approfonditi e alle volte cassa di risonanza per Harry, la voce narrante, ma personalmente non ho percepito questo fattore come disturbante proprio perché per me è stato importante che fosse il caso a essere al centro del romanzo, così come mi ha fatto molto piacere che ogni singolo dettaglio apparentemente paranormale, alla fine delle vicende avesse una spiegazione perfettamente razionale. 

La protagonista, Harry, incarna un po’ lo spirito rivoluzionario dell’epoca, cerca di emergere dal ruolo sociale imposto alle donne in un mondo tanto governato dalle convenzioni quanto ipocrita, ma soprattutto cerca, in quanto figlia minore, di uscire dall’ombra che la sua brillante sorella maggiore proietta su di lei. Harry cerca di emergere, di dimostrare di valere e di essere in grado di risolvere il mistero con metodo e razionalità anche senza intromissioni da parte della sua castrante sorella. Lei è sicuramente il personaggio con il quale è più facile entrare in empatia, soprattutto perché è suo il punto di vista, mentre gli altri personaggi sono a lei funzionali e alle volte molto sullo sfondo. A differenza di altre serie sullo stesso filone narrativo pubblicate di recente (e che potrebbero avere una risonanza maggiore a livello mediatico. Maniscalco, sto guardando te!), qui la protagonista è effettivamente la persona che trova gli indizi e li interpreta, con l’aiuto dei suoi amici, naturalmente, ma rispetto alla serie di Kerri Maniscalco, Harry è Sherlock Holmes in questa storia, non Watson.

La cornice storica, poi, è sicuramente approfondita, alle volte anche troppo, quando sfocia in digressioni che spezzano i dialoghi con descrizioni della città o di fatti storici non necessariamente essenziale alla narrazione di quel momento. Tuttavia, grazie all’immersione storica è stato possibile per l’autrice creare una struttura particolare: The Daemoniac diventa quasi un crossover, in cui, per quanto sullo sfondo, alle volte agiscono dei personaggi realmente esistiti, oppure personaggi di altre opere letterarie. Sir Arthur Conan Doyle, ad esempio, è il padrino di Harry e ci sono occasioni in cui funge da guida tramite lettere e consigli, pur non apparendo mai sulla scena di persona. E poi c’è Nellie Bly, chiamata proprio così nel 
Nellie Bly
testo, pur essendo pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran, colei che ha inventato il giornalismo investigativo sotto copertura. Conoscevo già la sua figura ed essendomi la sua personalità fortissima già nota, non mi sono stupita di vederla intervenire con forza nell’intreccio. È stata colei che, ispirata dal libro di Verne, ha completato un viaggio intorno al mondo in 72 giorni, ma è stata anche suffragetta e soprattutto reporter, diventata poi notissima al grande pubblico grazie al suo lavoro sotto copertura come finta paziente in un ospedale psichiatrico per denunciarne le condizioni disumane. Lei e in seguito altre voci giornalistiche come la sua, furono soprannominate “muckrakers”, ovvero “rastrellatori di fango”, da Roosevelt in persona, perché, in un periodo storico in cui la divisione tra ricchi e poveri era innegabile e in cui il mondo occidentale cominciava a soffrire di mali quali il sovraffollamento, le condizioni di lavoro disumane, la povertà estrema (che era la discriminante tra subire e commettere un crimine impunemente) si rivelò necessario che qualcuno si occupasse di portare alla luce questi mali sociali, denunciandoli e mettendo le mani nel fango, etichetta che nella mente di Roosevelt era dispregiativa ma che a mio parere rende l’idea e a conti fatti non è riuscita a fermare le penne dei giornalisti di quel periodo, che hanno appunto dato vita al giornalismo d’inchiesta.

Se amate l’età vittoriana e le storie ispirate alle vicende di Jack lo Squartatore, non potete farvi scappare The Daemoniac

Fonti:


L’ultima degli immortali

Titolo: L’ultima degli immortali Titolo originale: The Night Hunt Autrice: Alexandra Christo Traduttrice: Laura Pettazzoni Lingua original...